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  • Oggi ti parlerò di una scintilla

    Oggi ti parlerò di una scintilla

    Oggi ti voglio parlare di una scintilla. Una piccola fiammella che, se lasciata ardere, può accendere il fuoco della risurrezione dentro di te. E non è una risurrezione che aspetta la morte: può trasformare la tua vita qui e ora!

    Il mio in(solito) commento a:
    “Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole” (Giovanni 5,17-30)

    Ogni giorno, nelle nostre preghiere, proclamiamo: “Credo la resurrezione della carne, la vita eterna” (Simbolo apostolico) oppure “Aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà” (Simbolo niceno-costantinopolitano). Ma… ci crediamo davvero? Oppure sono solo parole che scivolano via, senza lasciare traccia?

    Gesù è stato chiarissimo: “In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno” (v. 25). Ma c’è di più: “Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (v. 24).

    La “scintilla di Dio”. Chi mi segue da un po’ sa che è un concetto a me molto caro. È quella luce che brilla nel profondo del cuore di ognuno di noi: la nostra anima. In alcuni risplende forte, illuminando il cammino proprio e altrui. In altri, il dolore, la fatica della vita, hanno alzato una cortina di fumo attorno a questa fiammella, facendola apparire fioca. Ma è solo un’illusione. Perché dietro quella nebbia, la scintilla continua ad ardere. E non è solo un dono di Dio: è Dio stesso che dimora in noi.

    “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4), ci dice Gesù. Ed è questa la chiave del Paradiso: essere in Lui. Là, come scriveva Sant’Agostino, non avremo altro desiderio che restare con Dio per sempre. Perché il nostro cuore sarà colmato, appagato, nella gioia più piena.

    E allora? Cosa ci attende? Ce lo dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Con la morte, il corpo dell’uomo cade nella corruzione, mentre la sua anima va incontro a Dio, pur restando in attesa di essere riunita al suo corpo glorificato” (CCC 997). Sì, risorgeremo. Tutti. “Tutti gli uomini che sono morti” (CCC 998).

    Questa certezza mi ha dato pace nei momenti più dolorosi della mia vita. E spero possa darla anche a te. La morte non è la fine. È solo un nuovo inizio.

    Sì, lo so: quando qualcuno che amiamo se ne va, il dolore è immenso. Ci sentiamo svuotati, smarriti. Ma la persona che amiamo, in quel preciso istante, non è più lì. E non perché sia sparita nel nulla, ma perché ha già iniziato a vivere in una forma nuova.

    Per quanto ci addolori, non dobbiamo trattenerla. Gesù stesso, risorto, ha detto a Maria Maddalena: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre” (v. 21). Dobbiamo accompagnare i nostri cari con la preghiera, lasciarli liberi di brillare nella luce di Dio. E loro sapranno esserci vicini, anche nelle piccole cose di ogni giorno.

    Ecco il grande mistero: la vita non finisce, si trasforma. Quello che conta davvero non è il corpo che lasciamo, ma l’anima che vive per sempre, riscaldata dalla luce di Dio e immersa nel Suo Amore #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “L’Ascensione”, di Benjamin West, 1810, olio su tela, 125×86 cm, Denver Art Museum, USA

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  • Non credi al miracolo?

    Non credi al miracolo?

    Se noi rifiutiamo di credere in ciò che non capiamo, di fatto rifiutiamo l’esistenza dei miracoli. Rifiutiamo l’idea che Dio possa intervenire nelle nostre vite. Peggio ancora, mettiamo in dubbio la stessa esistenza di Dio

    Il mio in(solito) commento a:
    All’istante quell’uomo guarì (Giovanni 5,1-16)

    Miracolo si definisce un “fatto sensibile straordinario, fuori e al di sopra del consueto ordine della natura, che si considera operato da Dio direttamente o per l’intermediazione di una sua creatura” (Il Vocabolario Treccani, 2003). Per certificare un miracolo la Chiesa prescrive che abbia tre inequivocabili caratteristiche: deve essere immediatoinspiegabile scientificamente e duraturo nel tempo

    I miracoli sono interventi di Dio, riguardo ai quali possiamo dire che, per amore, Egli compie un’eccezione per ciò che supera la nostra natura e la nostra comprensione.

    In questi tempi inquinati da un eccessivo materialismo, è difficile credere ai miracoli. Oggi tendiamo a guardare soltanto quello che possiamo misurare con i cinque sensi, solo ciò che può essere tradotto in formule matematiche. Ma se noi rifiutiamo di credere in ciò che non capiamo, di fatto rifiutiamo l’esistenza dei miracoli. Rifiutiamo l’idea che Dio possa intervenire nelle nostre vite. Peggio ancora, mettiamo in dubbio la stessa esistenza di Dio.

    Rimaniamo chiusi nella nostra routine e non siamo disposti ad accettare tutto il bello che ci circonda. I miracoli ci sbocciano attorno, mentre noi rimaniamo impermeabili: è come se Dio ci scorresse addosso e noi lo lasciassimo scivolare via. Le nostre vite piene di impegni, i mille affanni che ci attanagliano, le numerose incomprensioni, le troppe ferite, gli inevitabili fallimenti ci hanno imprigionati in una cella angusta fatta di pareti tappezzate di aspettative insoddisfatte. Tutta questa frenesia acceca la nostra anima e toglie luce alla nostra esistenza. Desideriamo troppo dalla vita e… finiamo per non vivere. Decidiamo anche noi che l’ultima ora non basti per compiere miracoli. Ma non è mai troppo tardi per Dio!

    È la debolezza del genere umano che porta a non riuscire a credere a qualcosa di così bello da essere vero. È l’incapacità di comprendere pienamente qualcosa di infinitamente grande quanto è Dio. È la piccolezza dell’uomo di fronte all’onnipotenza di Dio. Quante volte anche noi, amici cari, dimostriamo di non essere aperti al soprannaturale? Quante volte preferiamo negare che un evento sia mai accaduto, semplicemente perché non ce lo possiamo spiegare alla luce delle nostre conoscenze? “No, mi sarò sbagliato, non posso aver visto questa cosa”… e così via. Ma il nostro atteggiamento di negazione di quanto non riusciamo a spiegarci, di fatto impedisce che il miracolo stesso si possa realizzare. 

    I miracoli accadono ancora oggi, attorno a noi, tutti i giorni, ma noi non riusciamo a rendercene conto. Ogni giorno, cari amici, accanto a noi, avvengono piccole cose, che non possiamo comprendere. Che non sappiamo capire. Sono segni che ci parlano della grandezza di Dio. La debolezza del genere umano ci porta a non riuscire a credere a qualcosa di così bello da essere vero. E’ l’incapacità di comprendere pienamente qualcosa di infinitamente grande quanto è Dio. E’ la piccolezza dell’uomo di fronte all’onnipotenza di Dio. 

    Siamo disposti a mettere da parte per un attimo lo scetticismo ed accettare l’idea che esistano condizioni speciali in cui, l’ordine naturale delle cose, può venire sospeso da Dio e possono manifestarsi eventi fuori dall’ordinario?

    “A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici” (vv. 2-3). Impossibile non notare il parallelismo con le vasche riempite con le acque provenienti dalla sorgente che sgorga nella Grotta delle apparizioni a Lourdes. “Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare” (vv. 4-9).

    Che cosa ricaviamo dalla lettura di questi versetti? È vero: ci sono luoghi, sulla terra, dove il cielo sembra essere più sottile e pare di sentire Dio più vicino. Posti nei quali ci rifugiamo quando ci sentiamo smarriti e cerchiamo Dio: LourdesFatimaMedjugorje e tanti altri. Ed è un bene che esistano questi luoghi così speciali, perché il richiamo che sentiamo lì, ci permette di abbassare le nostre difese e di essere più bendisposti nei confronti del soprannaturale. Così, più propensi ad ascoltare Dio, riusciremo a sentirlo. E guariremo, dentro e fuori: ci convertiremo, torneremo alla fede, rafforzeremo la nostra anima ed il nostro corpo. Ed è assolutamente bene che noi ci rechiamo in questi posti per cercare Dio, per sentirci più vicini a Lui, per nutrire la nostra sete di infinito, per ritrovare noi stessi. Andiamoci! Io lo farò e ci tornerò più volte. Sarò molto felice se qualcuno di voi vorrà unirsi a me: ci avvicineremo a Dio, anche attraverso la Vergine Maria, Ponte tra cielo e terra.

    Ma non sono tanto i luoghi ad essere speciali, quanto lo è il nostro stato d’animo, in quei luoghi: siamo noi a permettere il miracolo perché proprio “lì” ci sentiamo più aperti al trascendente.

    Il paralitico di Betzatà guarisce lo stesso, anche senza venire immerso nella piscina. Il miracolo non ha bisogno dell’acqua e neppure di un posto speciale. Perché il vero luogo dove avviene il miracolo è la nostra anima. Parte sempre dentro di noi la guarigione di Gesù: dalla nostra volontà, dalla nostra fede, dal nostro essere aperti a Lui, dal nostro essere disposti ad accogliere il soprannaturale, dal nostro permettere che Dio “ci agisca dentro” #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Troppe regole non ti salveranno...
    Il dipinto di oggi è: “Cristo Risorto in Gloria”, di Guido Reni, 1614, affresco, cupola del Santissimo Sacramento, Duomo di Ravenna

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  • Il miracolo dell’anima

    Il miracolo dell’anima

    I miracoli più grandi sono quelli silenziosi. Non fanno rumore, non scuotono la terra, non incendiano il cielo. No. Sussurrano nel profondo dell’anima e la trasformano dall’interno.

    Il mio in(solito) commento a:
    “Va’, tuo figlio vive” (Giovanni 4,43-54)

    Fidarsi di Dio è un atto di coraggio. Prova a immaginare: un padre disperato lascia il figlio morente nel suo letto e si mette in cammino. Sono ventisei chilometri da percorrere, ventisei chilometri di paura, di speranza, di battiti accelerati. Ma è la fede a fargli muovere i passi, è la fede a dargli la forza di proseguire.

    Finalmente, davanti a Gesù, vorrebbe solo una cosa: portarlo con sé, trascinarlo fino a casa, perché guarisca il suo bambino. Ma il Maestro gli chiede qualcosa di più. Un salto nel buio. Un atto di fiducia assoluta. Non andrà con lui, gli basterà una parola: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (v. 48).

    Quante volte anche tu, anche io, ci comportiamo così? Vorremmo che i miracoli si manifestassero con effetti speciali, con lampi nel cielo, con suoni fragorosi. E invece Dio agisce nel silenzio, lavora dentro di noi, trasformando il cuore prima ancora della realtà.

    Ma quel padre non si arrende. Supplica ancora: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia!» E Gesù risponde con poche parole: «Va’, tuo figlio vive».

    E accade.

    Il padre si mette in cammino. Si fida. Crede. E mentre torna a casa, gli vengono incontro i servi, con il volto illuminato dalla gioia: «Tuo figlio vive!» Quando? Esattamente nell’ora in cui Gesù ha pronunciato quelle parole.

    Ecco il miracolo. Non solo la guarigione del figlio, ma la rinascita di una fede nuova. Quell’uomo, d’ora in poi, non sarà più lo stesso.

    E tu? Riesci a crederci? Riesci a fidarti di Dio anche quando tutto sembra andare storto? Perché è proprio lì, in quel buio che ti sembra senza fine, che Dio è più vicino di quanto immagini. Ti sta sussurrando: «Alzati. Vai avanti. Cammina.»

    La fede che Gesù ci chiede è una forza rivoluzionaria. Non si lascia schiacciare dalla realtà, ma la trasforma. È il coraggio di credere contro ogni speranza, di sperare contro ogni logica.

    Il problema della fede, spesso, è la mancanza di gioia. Lo ha detto anche Papa Francesco:
    “Quando viviamo nella sfiducia, chiusi in noi stessi, contraddiciamo la fede, perché anziché sentirci figli per i quali Dio fa grandi cose, rimpiccioliamo tutto alla misura dei nostri problemi e ci dimentichiamo che non siamo orfani: abbiamo un Padre in mezzo a noi, salvatore potente” (Bucarest, 31 maggio 2019).

    Allora non fermarti. Non chiuderti nelle tue paure. Alza lo sguardo oltre l’orizzonte. Respira la vastità di Dio. Lascia che il vento dello Spirito ti porti dove non avresti mai osato arrivare.

    E ricordati: i miracoli migliori sono quelli che nascono in silenzio, dentro il cuore #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi é: “L’intercessione di Gesù e della Vergine”, di Lorenzo Monaco (Piero di Giovanni), 1402, tempera su tela, 239×153 cm, The Met, New York

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  • Ecco la ricetta per la tua risurrezione!

    Ecco la ricetta per la tua risurrezione!

    Dentro di noi c’è una nostalgia radicata, una fame di Dio che non si spegne mai davvero. Anche quando ci allontaniamo da Lui, per un po’ l’eco della Sua presenza rimane. Rinneghiamo Dio, ma è la Sua luce a tenere insieme i pezzi della nostra vita.

    Il mio in(solito) commento a:
    Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita (Lc 15,1-3.11-32)

    Tornare alla vita. Quante volte, nei momenti più bui, abbiamo desiderato avere questo potere? Eppure, sai una cosa? Possiamo davvero risorgere. Non nel senso fisico, certo, perché per quello dovremo attendere il giorno in cui Gesù ci aprirà le braccia. Ma possiamo sperimentare una risurrezione personale, proprio come il figliol prodigo di cui ci parla l’evangelista Luca.

    Possiamo rialzarci dalle nostre cadute, lasciare il passato alle spalle e ricominciare. Possiamo cambiare vita. Possiamo convertirci. E tutto parte da una scintilla, una piccola luce che arde dentro di noi: il desiderio di cambiare, il coraggio di riconoscere i nostri errori. Ma attenzione: quella scintilla non nasce da noi, è un dono. È la fiammella che Dio stesso ha acceso nella nostra anima, quella stessa luce che ci rende simili a Lui.

    Perché sì, dentro di noi – in ciascuno di noi – c’è sempre una fiammella di bontà e amore. Anche nell’anima più dura, anche dietro il muro più spesso di malvagità, odio o invidia, quella luce non si spegne mai. È la stessa fiamma che ha illuminato il cuore del buon ladrone sulla croce, San Disma. In un solo istante, in un solo guizzo di quella scintilla, si è salvato ed è stato il primo santo “canonizzato” da Gesù stesso.

    E allora, non disperiamo mai! Non importa quanto grande sia la nostra colpa, quante volte siamo caduti, quante ferite ci portiamo dentro. Dio è qui. Vicino. Pronto ad accoglierci, pronto ad abbracciarci non appena faremo ritorno a Lui.

    Perché siamo figli. E un Padre non smette mai di amare i suoi figli.

    A volte, per paura o per mancanza di comprensione, ci allontaniamo da Dio. Altre volte è la tentazione a metterci di traverso. Ma vivere senza di Lui? È come vivere in bianco e nero. La vita senza Dio perde colore, perde sapore. È come camminare al buio: prima o poi, inciampi.

    Dentro di noi c’è una nostalgia radicata, una fame di Dio che non si spegne mai davvero. Anche quando ci allontaniamo da Lui, per un po’ l’eco della Sua presenza rimane. Rinneghiamo Dio, ma è la Sua luce a tenere insieme i pezzi della nostra vita. Fino a quando non si spegne del tutto. E allora ci scontriamo con la realtà: la vita, senza di Lui, è un’infinita rincorsa di qualcosa che non sappiamo nemmeno identificare.

    A quel punto, il cuore torna a cercare. Cerchiamo Gesù, quel Gesù che non ha nemmeno un posto dove posare il capo. Ecco la sete di infinito, ecco il bisogno di nutrirci del Pane Vivo che è Lui.

    Allora, che aspetti? Cambia la tua vita, fallo adesso, non rimandare! Credi in un futuro diverso, con Dio al tuo fianco. E vedrai: la vita tornerà a sorriderti #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Il Sacro Cuore di Gesù”, di Carl Dietrich, 1842, olio su tela, 84 x 68.7 cm, Collezione privata

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  • Quel peccato da evitare…

    Quel peccato da evitare…

    Tieniti forte, perché stiamo per fare un salto nel tempo. Duemila anni all’indietro. Destinazione? Un tempio. Lì ci aspetta Gesù. Vieni con me?

    Il mio decisamente in(solito) commento a:
    “Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo” (Luca 18,9-14)

    C’è odore d’incenso nell’aria. Fenditure di luce filtrano dagli alti finestroni, insinuandosi nella penombra del tempio. Guarda lì, alla tua sinistra… Lo vedi? Quell’uomo sembra un faraone! Il copricapo scintilla di gemme preziose, le sue vesti sono ampie, sgargianti, esagerate. Frange vistose gli scivolano dalle ginocchia fino ai piedi. Il braccio sinistro è avvolto da un lungo nastro di cuoio, alla cui estremità è legato l’astuccio con le Scritture. Sta ritto, impettito. Parla con voce alta, come un attore su un palco:

    «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini: ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo» (vv. 11-12).

    Perfetto, impeccabile… O almeno così crede. Snocciola i peccati degli altri con una sicurezza disarmante: ladri, ingiusti, adulteri… Ma chi vuole convincere? Gli altri, o se stesso? Parla forte, così forte da coprire la voce della sua coscienza. E intanto disprezza l’altro uomo. Quale uomo? Te lo stai chiedendo, vero? È laggiù, nell’ombra, rannicchiato dietro una colonna. La testa bassa, il petto che si solleva e si abbassa con il ritmo della sua mano che lo percuote. «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (v. 13).

    Ed eccolo, il momento. Gesù entra in scena.

    Un brivido. Lui avanza a passi decisi. Lo vedi? Sta arrivando proprio qui, accanto a noi! I suoi capelli danzano a ogni falcata. Gli occhi… oh, i suoi occhi! Luminosi, tagliano l’aria come una lama affilata. E vanno dritti verso il fariseo. La sua mascella si serra. I pugni si stringono. È come se lo sentissimo pronunciare: «Guai a voi!» (cfr. Mt 23). Il tono è duro, non lascia scampo: ipocrisie, simulazioni, arroganza… «Sepolcri imbiancati», così li chiama (cfr. Mt 23,27).

    Ma poi… poi lo sguardo di Gesù cambia. Si addolcisce. La mano destra si apre in un gesto pacato, indicando il pubblicano. E la sentenza cade, netta, definitiva:

    «Questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» (v. 14).

    E di nuovo i suoi occhi tornano al fariseo. Li immagini i suoi pensieri? Quelli che fanno l’elemosina solo per essere ammirati. Quelli che pregano a voce alta non per parlare con Dio, ma per farsi sentire dagli uomini. Quelli che digiunano solo per mettersi in mostra. Quelli che cercano i primi posti. Quelli pieni di sé, gonfi d’orgoglio, convinti di essere gli unici custodi della verità.

    Ma non vedono nulla. Non vedono Dio.

    Giustificano il loro lusso, le loro ricchezze, con il pretesto di dare gloria al Signore. Ma dentro sono aridi, vuoti. Ciechi. La loro religiosità è solo apparenza. E quando un uomo è convinto di possedere la verità assoluta, non ascolta più, non vede più, non comprende più. Diventa sordo. Diventa cieco.

    Ed è allora che l’umanità si paralizza. La verità, quando viene strumentalizzata, si trasforma in sopruso. E i farisei, che avrebbero dovuto essere uomini di fede, diventano mostri. Mostri capaci di condannare perfino il Figlio di Dio.

    Chi si sente giusto, chi si crede senza peccato, finisce per giudicare tutto e tutti. Invece di guardarsi dentro, punta il dito contro gli altri. Si crede migliore. Più capace di un esperto, più colto di uno studioso, più veloce di un atleta… Più giusto di Dio.

    E così la sua lingua si muove più veloce della testa. E troppo più veloce del cuore.

    Ci sono peccati evidenti, facili da riconoscere. Il ladro sa di rubare. L’assassino sa di uccidere. Il bugiardo sa di mentire. E in fondo, il seme di Dio che è dentro di loro continua a gridare. Può essere soffocato per un po’, ma non tace per sempre. E quando viene ascoltato, quando quel seme riesce a farsi sentire, può accadere il miracolo: il pentimento.

    Ed ecco perché i peccatori ci passeranno avanti nel Regno di Dio.

    Ma c’è un altro tipo di peccatore. Quello che non si riconosce tale. Quello che si sente perfetto. Che giudica, condanna, deride. Che vede la pagliuzza nell’occhio degli altri ma ignora la trave nel proprio (cfr. Luca 6,41).

    E proprio perché non ammette il suo peccato, non chiede perdono. E proprio perché non chiede perdono, non potrà mai riceverlo. Resta cieco. Non vede quando Gesù passa per invitarlo alla conversione. Non lo riconosce quando passa per offrirgli la salvezza.

    Ma tu… tu tieni gli occhi aperti. Tienili sempre spalancati, perché Gesù passa. E io prego che tu sappia riconoscerlo #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Sacro Cuore di Gesù”, di pittore di scuola italiana, 27×18 cm, Abbotsford House, Melrose, Regno Unito

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  • La ricetta dell’amore

    La ricetta dell’amore

    Se esiste un passo del Vangelo capace di svelare il segreto dell’universo, è proprio questo: l’amore, incontenibile e sconcertante, capace di ribaltare ogni logica umana! Sei pronto a lasciarti travolgere? Scopriamolo insieme nel mio in(solito) commento a:

    Amerai il Signore tuo Dio. Amerai il prossimo tuo (Marco 12,28-34)

    L’amore… ah, l’amore! Chi lo ha provato sa bene che è una forza travolgente, capace di sollevarti da terra e farti sfidare l’impossibile. Per chi ami davvero, non c’è distanza che tenga, non c’è notte troppo buia, non c’è ostacolo insormontabile. Se a chiamarti è quella voce speciale, salti giù dal letto, attraversi la città e fai il possibile – e l’impossibile – per essere lì. L’amore vero mette l’altro prima di te stesso. Rinunceresti a tutto pur di salvare chi ami da un dolore, una malattia, una caduta nel buio.

    Se queste parole ti risuonano nel cuore, allora vieni con me: facciamo un salto ancora più in alto e pensiamo a Gesù. Lui ha guarito, sfamato, liberato. Ha donato se stesso senza riserve, pur sapendo che ogni suo atto d’amore lo avvicinava sempre più alla croce. Scribi e farisei stringevano il cerchio, l’invidia cresceva, la condanna si faceva sempre più vicina. Eppure, Gesù non si è mai tirato indietro. Mi tornano in mente le parole di quel canto:

    “Non esiste amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici…”

    Non è una frase da canzonetta. È Vangelo puro: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

    E fin qui, forse, riusciamo a capirlo. Dopo tutto, ci sono eroi che danno la vita per chi amano. Ci sono storie di uomini e donne che si sacrificano per salvare gli altri. Ma Gesù è andato oltre. Ha dato la sua vita anche per chi lo odiava, per chi lo ha tradito, per chi lo ha condannato. Per i suoi amici? Certo. Ma soprattutto per i suoi nemici.

    Pensaci un attimo: l’abbiamo lasciato solo. Gli abbiamo preferito Barabba. Ci siamo lavati le mani. Lo abbiamo rinnegato, tradito, abbandonato. Pietro è fuggito. Giuda l’ha venduto. Gli altri apostoli si sono dileguati. Eppure, Gesù ci ha guardati e ha detto:

    “Non vi chiamo più servi, […] ma vi ho chiamato amici” (Gv 15,15).

    Perfino Pilato, Erode, i farisei, coloro che lo hanno condannato e inchiodato alla croce… anche loro erano nel suo cuore. Anche loro erano amati. Anche noi, con le nostre debolezze, i nostri tradimenti, le nostre distanze.

    Ed ecco il punto in cui tutto si ribalta: anche noi siamo chiamati ad amare così. Facile? Per niente. Possibile? Sembrerebbe di no. Perché come si fa ad amare chi ci ha feriti? Come si può perdonare chi ha distrutto vite, chi ha seminato dolore? Come si può amare un nemico? Eppure, Gesù lo ha fatto. E sulla croce ha pregato per chi lo stava uccidendo:

    “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

    Sant’Agostino ci svela il segreto: “Essi infierivano, ed egli pregava. Essi gridavano ‘Crocifiggilo!’, ed egli supplicava: ‘Padre, perdonali’.” L’amore di Gesù è senza misura, senza confini, senza limiti. Lui ha scelto di vincere il male con il bene, non con la spada, ma con la croce.

    E noi? Possiamo provare a seguirlo? Possiamo imparare ad amare così? Se ci sembra impossibile, ascoltiamo ancora Agostino:

    “Ama il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente. Non rimarrà in te nulla con cui potrai amare te stesso. Solo allora sarai capace di amare davvero.”

    Gesù ci sfida a un amore che rivoluziona il mondo. E tu, sei pronto ad accettare la sfida? #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Christus Consolator” di Carl Heinrich Bloch, 1875, olio su tela, Brigham Young University Museum of Art

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  • La dannazione? È un cuore senza più amore!

    La dannazione? È un cuore senza più amore!

    Il male, in fondo, non è altro che assenza di bene. Dove manca l’amore, avanza l’oscurità. È successo a Satana: il suo cuore si è riempito di orgoglio e invidia, fino a svuotarsi completamente di Dio. Ed è questa la vera dannazione: non il fuoco, non le fiamme, ma un cuore senza più amore.

    Il mio in(solito) commento a:
    Chi non è con me è contro di me (Luca 11,14-23)

    La battaglia tra il bene e il male non è iniziata con l’uomo. No, c’era già prima. Perché se la Genesi ci racconta del peccato originale, a tentare Adamo ed Eva fu il serpente. E in lui il male era già presente. Anzi, era lui il Male.

    Ma chi è il Male? Strano a dirsi, ma alla nascita era un angelo. Un angelo splendente… che ha fatto la scelta sbagliata.

    Gli angeli, fin dal primo giorno della Creazione, partecipano alla gloria di Dio. La Bibbia ne parla spesso: «Benedite il Signore, voi tutti, suoi angeli, potenti esecutori dei suoi comandi» (Salmo 102). E ancora: «Egli ha dato ordine ai suoi angeli… di portarti sulle loro mani» (Salmo 90). Persino San Paolo scrive: «Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero?» (Ebrei 1,14).

    Gli angeli, proprio come noi, sono stati creati liberi. Liberi di scegliere. Liberi di sbagliare. Ma con una differenza: loro, che vivevano alla presenza di Dio, avevano una conoscenza molto più profonda del mistero divino. E per questo, quando alcuni di loro hanno scelto il male, lo hanno fatto con piena consapevolezza.

    E Dio? Dio è misericordioso, sì, ma proprio come un maestro non perdona l’allievo capace che non studia la lezione, mentre è indulgente con chi davvero non riesce a capire… così non ha risparmiato quegli angeli ribelli. «Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò in abissi tenebrosi» (2 Pietro 2,4). E così, da creature luminose, divennero tenebre. Separati da Dio per sempre.

    Ma noi siamo diversi. Noi, spesso, sbagliamo senza renderci conto delle conseguenze. Cadiamo nei tranelli del male, inciampiamo nelle nostre fragilità. E Dio lo sa. Per questo ci tende sempre la mano. Per questo il Suo perdono è sempre pronto per chi lo accoglie.

    Il male, in fondo, non è altro che assenza di bene. Dove manca l’amore, avanza l’oscurità. È successo a Satana: il suo cuore si è riempito di orgoglio e invidia, fino a svuotarsi completamente di Dio. Ed è questa la vera dannazione: non il fuoco, non le fiamme, ma un cuore senza più amore.

    Eppure Dio non si rassegna. Quando ci allontaniamo, Lui ci insegue. Ci cerca. Ci aspetta. Perché il Suo sogno è salvarci tutti. È portarci con Sé. Lo ha detto chiaramente Gesù: «Quand’ero con loro, io conservavo coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto» (Giovanni 17,12). E allora non abbiate paura. Non importa quante volte cadiamo. L’importante è rialzarci e tornare a Lui. Perché le porte degli inferi non prevarranno! (Matteo 16,18). È la Sua promessa. E le promesse di Dio non falliscono mai #Santanotte!

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La tentazione sulla montagna”, di Duccio di Buoninsegna, 1308, tempera e oro su tavola, 214 x 412 cm Museo dell’Opera del Duomo, Siena

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  • Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. Cosa significa?

    Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. Cosa significa?

    L’intero decalogo può essere letto attraverso la lente dell’amore. I cattivi sentimenti sono inutili: sono tossici, ci appesantiscono e ci fanno stare male. Noi dobbiamo amare. E basta. Perché siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio.

    Il mio in(solito) commento a:
    Chi insegnerà e osserverà i precetti, sarà considerato grande nel regno dei cieli (Matteo 5,17-19)

    È tornato il Dio vendicativo e punitivo che sembrerebbe emergere dai libri più antichi della Bibbia? O forse stiamo fraintendendo questo brano del Vangelo?

    Questa pagina di Matteo va “masticata” e “digerita” con cura, perché può sembrare complessa. San Matteo scrive: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Matteo 5,17-19).

    Una lettura superficiale potrebbe vedere questo brano come “graffiante”, come se Gesù volesse esibire una severità dimenticata tra le pagine dell’Antico Testamento. Ma dov’è finita la misericordia? Non è così! Una riflessione più attenta rivela lo stesso Gesù innamorato dell’uomo che conosciamo. Un Gesù che desidera solo il nostro bene, offrendoci una chiave di lettura dei Comandamenti per vivere una vita migliore. Un Gesù che non giudica, ma propone un’alternativa cristiana alla vita del mondo. Un Gesù che “ci aggiusta il cuore”, scavando fino alla radice del problema.

    Riflettiamo un istante: non adirarsi con il proprio fratello, non offendere, riconciliarsi… Cristo traccia il cammino del buon cristiano, mettendo in pratica il comandamento dell’amore, la legge superiore a tutte le altre. Se amiamo il nostro fratello, non ci adireremo con lui, non lo offenderemo, non gli faremo un torto.

    Il significato si chiarisce proseguendo nella lettura: “Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (vv. 23-24). Le risposte a un’offesa sono due: vendetta o perdono. Chi sceglie la vendetta crede di guarire una ferita provocandone un’altra. Ma il male non è mai una medicina. La vendetta rende il mondo cieco, come diceva Kalil Gibran: “Occhio per occhio. Se fosse applicata questa legge il mondo sarebbe cieco”. L’altra strada, quella difficile ma unica veramente percorribile, è il perdono. L’amore.

    Tutti i comandamenti discendono da questo, il primo e più alto: “Ama il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questo” (Marco 12,30-31). Con l’amore si aggiusta ogni cosa: amando il mio fratello, non gli farò del male. Se abbiamo divergenze, parlerò cercando di fargli capire dov’è l’errore e, se amo, sarò perfino disposto ad accettare che l’errore potrei essere io. Amando, non sottrarrò nulla che non mi venga offerto spontaneamente.

    L’intero decalogo può essere letto attraverso la lente dell’amore. I cattivi sentimenti sono inutili: sono tossici, ci appesantiscono e ci fanno stare male. Noi dobbiamo amare. E basta. Perché siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. E “Dio è amore”, come leggiamo nella prima lettera di Giovanni: “Amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”. (1 Giovanni 4,7-8). L’amore aggiusta il cuore e rende inutile il peccato. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Il Discorso della montagna”, di Carl Heinrich Bloch, 1877, olio su rame, 104 × 92 cm, The Museum of National History at Frederiksborg Castle, Hillerød, Danimarca

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  • Annunciazione: la sconvolgente consapevolezza di Maria

    Annunciazione: la sconvolgente consapevolezza di Maria

    Una lama di luce taglia l’aria, irrompendo dalla finestra. Maria, sorpresa, lascia cadere il fuso con cui stava filando una lana candida e morbida. Un soffio di vento fa danzare le pagine di un libro, e in quell’istante tutto cambia: il trascendente e l’immanente si intrecciano, e appare l’Arcangelo Gabriele.

    Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce (Luca 1,26-38)

    Quali sensazioni avrà provato la giovane Maria all’arrivo dell’Arcangelo Gabriele? Timore? Sorpresa? Consapevolezza? Trepidazione? Non ci è dato di entrare così in intimità con il pensiero della Vergine per scrutarlo. Ma, mentre nel caso dell’annuncio a Zaccaria appare evidente la paura, leggendo queste righe sembra quasi che Maria sia rimasta calma senza scomporsi. Stava ascoltando un essere sovrumano parlarle di un evento irripetibile nella storia dell’umanità. Eppure lei è fiduciosa, serena, come se avesse sempre conosciuto il suo futuro. L’impresa sorprendente alla quale veniva chiamata a collaborare.

    Pensa alle ragioni e al coraggio del sì. Come l’ha potuto pronunciare con tanta pacatezza? Prova ad immaginare: che cosa sarebbe accaduto se quel sì non fosse arrivato!? Invece Maria ha dato il suo assenso a cambiare per sempre la storia di tutta l’umanità.

    È poco più che una ragazza, e in un attimo un essere di luce le stravolge l’esistenza. O forse no. Perché, in fondo, Maria lo sapeva già. Era nata con una missione, la più alta e misteriosa: diventare la madre del Signore. Senza macchia, la Vergine Maria cresce accanto a Dio, così vicina che diventa Lei stessa l’Arca dell’Alleanza, la custode della Parola fatta carne. Un mistero che solo gli occhi dell’anima possono afferrare, perché la nostra mente sarebbe incapace di concepire un destino simile: un essere umano, genitore di Dio. Il finito che accoglie l’infinito. Come può essere? Solo Dio sa. Solo Dio può.

    Chiunque di noi, di fronte a un tale annuncio, sarebbe rimasto paralizzato, spaventato, forse avrebbe cercato di fuggire. Ma non Maria. Lei accetta, con una serenità che disarma. Senza esitazioni.

    Ed è così che dovremmo imparare ad affrontare la vita: con quella fiducia assoluta, quella resa totale al volere di Dio. Non c’è malizia nei Suoi disegni, solo un amore sconfinato, capace di perdonare anche il peggiore dei peccati. Se avessimo fede cieca, accoglieremmo ogni evento come il meglio che potesse capitarci, anche se non lo comprendiamo subito. Perché se viene da Dio, non può che essere il meglio per noi.

    Allora smettiamola di arrovellarci su ogni piccolo intoppo quotidiano. Mettiamo da parte il pessimismo e armiamoci solo di fede. Nient’altro serve. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “L’Annunciazione”, di Paolo Uccello, 1425, tempera e oro su tavola, 64.6×47.5 cm, Ashmolean Museum, Oxford.

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