Nella festa della Beata Vergine Maria Consolatrice degli Afflitti, patrona della Diocesi di Torino, l’Arcivescovo Mons. Cesare Nosiglia ha aperto la Porta Santa del Santuario della Consolata. E’ questa la “quarta” Porta Santa di Torino: la prima è stata aperta nella Cattedrale, il 13 dicembre scorso; la seconda nella chiesa del Cottolengo, il 20 dicembre; la terza nel carcere minorile Ferrante Aporti, lo scorso 31 gennaio nel giorno della festa di San Giovanni Bosco.
La storia del Santuario della Consolata ha origini antichissime e si intreccia con quella della Augusta Taurinorum (il nome romano della città di Torino). La stessa Basilica sorge sui resti di una delle torri angolari della cinta muraria eretta dai romani.
Nei secoli, la “Consolatrice” ha protetto la città, consolato gli afflitti, ha superato l’assedio dei francesi nel ‘700 (un proiettile di cannone si può ancora vedere “incastonato” sulle mura della Basilica) ed i bombardamenti della II Guerra Mondiale. Oggi il Santuario ha bisogno di restauri. Mons. Nosiglia ha lanciato un appello per reperire i fondi necessari: “si tratta di alcuni lavori urgenti e ormai non più procrastinabili, che riguardano parti importanti dell’edificio, sia interne che esterne. C’è dunque bisogno di un supplemento di risorse che il Santuario non è in grado di rinvenire”.
Nell’omelia che ha seguito l’apertura della Porta Santa, l’Arcivescovo ha ripercorso lo stretto rapporto tra Maria e Gesù ed ha evidenziato l’importanza dell’intercessione della Vergine. Commentando il passo del Vangelo che narra le Nozze di Cana ha osservato: “«Fate quello che lui, il Figlio mio, vi dirà» (cfr. Gv 2,5). Gesù compie il miracolo e tramuta l’acqua in vino per la gioia e l’unione degli sposi e dei commensali. L’intercessione della Madre di Dio ci rivela la sua premurosa cura per le nostre famiglie e comunità e apre il nostro cuore alla fede in Cristo. Ma la condizione per avere grazia, vita e gioia è che facciamo quello che Egli ci dice”.
E il Signore ha “qualcosa di preciso” da dirci in merito alle condizioni di vita e ai problemi che ci assillano: “in particolare per quanto attiene all’attuale momento di crisi che stiamo ancora attraversando. Essa – è ormai noto a tutti – ha le sue radici nella carenza di valori etici e spirituali, che sono stati ignorati e disattesi da chi aveva responsabilità nel mondo del lavoro come nella politica, ma anche da ogni persona che non ha messo in pratica il grande insegnamento dei nostri santi torinesi: quello di essere buoni cristiani e onesti cittadini”.
Maria ha cercato e trovato il Regno di Dio nella fede, nel servizio di Dio e nella continua obbedienza alla sua volontà. “Per questo – ha proseguito l’Arcivescovo – sa anche preoccuparsi, ed in modo efficace, delle necessità materiali degli sposi di Cana. Perché la fede e l’amore di Dio, se riempiono il cuore, lo aprono anche all’amore verso gli altri, fino farsi carico di quella prossimità che promuove un concreto sostegno verso chi sappiamo nel bisogno”.
Ciò significa pure “inserire il proprio agire in quell’orizzonte del bene per tutti, che è anche il bene di ciascuno”. La crisi può diventare pertanto un’opportunità “se aiuta le nostre famiglie e comunità ad interrogarsi seriamente sul proprio stile di vita, sull’uso dei soldi e delle proprie risorse economiche, sul vivere ogni giorno con sobrietà, sul senso del limite, sull’apertura alla prossimità”.
Lo stile di vita di Gesù e di Maria che ci viene descritto nel Vangelo è caratterizzato dalla semplicità e povertà di mezzi, ma anche da una grande ricchezza di relazioni sincere e vere verso Dio e gli altri. “Dio conta più di tutti e di tutto per Cristo e per sua Madre. E, proprio per questo, le persone valgono più di ogni altra cosa al mondo. Chi ama Dio non può non amare il prossimo, perché dentro il suo cuore lo Spirito agisce e conduce a questa unità”.
Gesù consumava tutta la sua giornata nell’incontro con malati, sofferenti, bisognosi di cure spirituali e fisiche, visita alle famiglie e comunità per portare amicizia, dialogo, condivisione. Egli ci insegna “che le relazioni buone e sincere tra le persone danno gusto e speranza alla vita, sono il più bel dono che possiamo avere e fare ogni giorno a chi ci è vicino o incontriamo in famiglia, sul lavoro, nel concreto degli ambienti e delle situazioni”.
L’attaccamento smodato ai soldi e ai beni materiali genera individualismo, egoismo e chiusura del cuore alle necessità degli altri, ricerca del proprio tornaconto a scapito anche dei doveri di giustizia e solidarietà. L’amore, al contrario “esige che siano i bisogni del prossimo a regolare l’impegno umano e anche finanziario, non le concrete possibilità calcolate a partire da quello che è nostro e di cui disponiamo per noi stessi”.
“L’altro – ha sottolineato Mons. Nosiglia – fosse anche il nemico, lo straniero, l’avversario è sempre considerato un fratello, non una minaccia alla propria libertà”. La diversità non è considerata una barriera che chiude dentro un cerchio ristretto di relazioni con “chi è dei nostri”, ma un’opportunità di conoscere, creare nuove possibilità di vita anche sociale, rendere possibile un futuro migliore, solidale e pacifico per tutti.
“Chiediamo alla Madonna Consolata – ha concluso – di aiutarci a vivere e testimoniare come ha fatto lei il nostro servizio in casa e verso chi è nel bisogno con fede nel Signore e spirito di attenta cura e fraternità, così da stupirci, come è successo al Maestro di tavola della casa di Cana, delle opere compiute dal Signore grazie alla nostra piccola ma forte fede in Lui”.
Alessandro Ginotta
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