Perché le cose più belle, non si vedono e non si toccano, ma si sentono. Proprio come l’amore. Proprio come Dio
Il mio in(solito) commento a:
Egli doveva risuscitare dai morti (Giovanni 20,1-9)
Fino a che punto abbiamo davvero compreso il messaggio del Vangelo? Quando proprio non si può più far nulla, quando il mondo ci presenta un destino che appare implacabile ed ineludibile, invitandoci a rinunciare ad ogni speranza, siamo ancora disposti a credere nel miracolo? Accettiamo l’idea che Dio, oltre ad esistere come entità astratta, sia davvero un Padre buono che sta sempre accanto a noi, pronto ad aiutarci e a risollevarci ad ogni inciampo? Gli diamo la possibilità di intervenire nella nostra vita rinunciando al contagio della cinica diffidenza che dilaga in questi tempi attorno a noi?
Se fossimo proprio noi, a visitare il Sepolcro e a scoprire per primi che la pietra, che doveva sigillare l’ingresso, è stata rimossa, la nostra reazione sarebbe più lo scetticismo calcolatore di Maria di Magdala, che pensò subito che qualcuno avesse trafugato il corpo di Cristo, oppure saremmo capaci di una fiduciosa apertura di cuore, come quella che dimostrarono i due apostoli che corsero alla tomba, con il cuore pieno di speranza? “Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette” (Giovanni 20,4-8). E… permettimi di aprire una parentesi se mi abbandonerò a dire che, non spesso, i protagonisti dei Vangeli, sono anche i narratori. Notiamo come, un modesto ed attento san Giovanni evangelista, pur introducendo l’episodio in cui egli stesso correva a perdifiato accanto a San Pietro, per raggiungere il luogo della Risurrezione, rinuncia ad indicare il proprio nome per non rischiare di scivolare nel protagonismo. Un gesto elegante ed eloquente di un giovane ben lontano dalle smanie del nostro tempo.
Bisogna uscire dal nostro smisurato “io”, attento solo a se stesso ed a niente altro, per renderci conto che, le piaghe di Gesù, ancora oggi sono visibili sul corpo di chi ha fame, di chi soffre la sete, di chi non ha abiti buoni per coprirsi, di chi viene umiliato dalla nostra società del successo ad ogni costo, di chi è tra i lacci delle schiavitù moderne, e di è prigioniero in carcere, o in un letto d’ospedale. E, proprio mettendo il dito in queste piaghe, potremo incontrare Dio che vive in mezzo a noi.
Sì, perché, se davvero desideri cercare Dio, devi essere disposto ad incontrarlo proprio lì, dove sembra più assente. Perché Dio abita contemporaneamente ovunque e qualunque tempo ed il fatto che non si veda, non vuole affatto dire che non ci sia. Dobbiamo avere lo stesso spirito di San Giovanni evangelista, per saper riconoscere in un lenzuolo afflosciato (cfr. v.7) il segno della presenza di Dio e non della sua latitanza.
Quante volte anche a noi capita di non riconoscere Gesù che passa nelle nostre vite? Quante volte ci lamentiamo perché Dio ci sembra “lontano”, ci pare non interessarsi ai nostri problemi, non capire le nostre difficoltà! Quante volte lo rimproveriamo perché non ha mantenuto quella che noi crediamo sia una sua promessa?
Capitano nella vita terribili momenti, in cui dolore e sofferenza ci piombano addosso. Può succedere, come nel caso di Maria di Magdala, quando perdiamo una persona cara, oppure l’amore, o la salute, oppure ancora il lavoro, o se un’attività fallisce… sono periodi tristissimi pervasi dalla sensazione che l’intero mondo stia crollando su di noi, ferendoci e schiacciandoci con il suo peso.
Tante volte le persone soffrono perché sono scoraggiate: pensano che nulla possa cambiare la loro situazione. Sono convinte che niente potrà mai restituire loro la serenità. Eppure il Vangelo ci insegna a sperare sempre, anche contro ogni speranza (cfr Rm 4,16-25). Perché: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37).
Sì, il Dio che ci ha creati dal nulla, per farci simili a Lui. Il Dio che ha lasciato le comodità dei cieli per incarnarsi e venire a camminare in mezzo a noi, su questa terra malata. Il Dio che, per noi, ha addirittura versato la sua vita, donandoci pure l’impossibile. Il Dio che ha risuscitato Lazzaro ed il figlio della vedova di Nain. Il Dio che ha sfamato una moltitudine di cinquemila uomini spezzando cinque pani e due pesci. Il Dio che ha ridato la parola ai muti, l’udito ai sordi e la vista ai ciechi. Il Dio che ha vinto la Croce… Questo Dio può! Si può aiutarci a modificare il nostro destino. Questa è la nostra fede: Lui potrà trasformare il più grave dei problemi in un’opportunità. Dio potrà trasformare la nostra tristezza in gioia. Basterà avere fede in Lui. La fiducia è l’unico requisito che ci viene richiesto.
Non dobbiamo essere fortunati, non dobbiamo neppure necessariamente essere bravi, ma soltanto umili e semplici. Dobbiamo permettere a Gesù di amarci ed essere capaci di restituirgli il suo amore. Credere in Lui. Ed anche il peggiore dei pianti si muterà in sorriso. Così, la prossima volta che accadrà qualcosa “che sembrerà impossibile” non siamo precipitosi nel decretare la nostra sconfitta davanti al mondo, ma impariamo ad aprirci al soprannaturale, confidando nel grande mistero di Dio che può tutto ed è più grande di tutto. Perché, come ha osservato Papa Francesco durante la Veglia Pasquale del 2021: “E’ possibile ricominciare sempre, perché c’è una vita nuova che Dio è capace di far ripartire in noi al di là di tutti i nostri fallimenti. Anche dalle macerie del nostro cuore Dio può costruire un’opera d’arte, anche dai frammenti rovinosi della nostra umanità Dio prepara una storia nuova“.
Sì, amici cari, perché la fede che Dio ci chiede è una forza rivoluzionaria che agisce dentro e fuori di noi. È la fede che non si piega al ricatto della realtà, ma che la trasforma, permettendo, anche all’impossibile, di accadere. E’ una fede coraggiosa, che non si ferma davanti a nulla e nessuno. E’ una speranza contro ogni speranza.
E allora, l’augurio che ti faccio è di non spegnere mai la fantasia di una fede capace di incontrare Dio in un lenzuolo afflosciato. Perché le cose più belle, non si vedono e non si toccano, ma si sentono. Proprio come l’amore. Proprio come Dio.
#Santanotte la Risurrezione di Gesù porti luce nel tuo cuore, ma soprattutto fiducia nella tua anima. Perché la vera fede comincia lì dove la speranza umana si arrende ed è proprio allora che permettiamo a Dio di fare i miracoli migliori! Dio ti benedica. Buona Pasqua!
Alessandro Ginotta
Sostieni labuonaparola.it
Se ti piace questo blog sostienilo. La tua donazione mi aiuterà a continuare a creare contenuti di qualità.
Ogni contributo, grande o piccolo, fa la differenza. Grazie per il tuo sostegno!
Vuoi ricevere i commenti di La buona Parola nella tua e-mail?
Iscriviti alla newsletter: è gratis e potrai cancellarti in ogni momento!