Autore: Alessandro Ginotta

  • Non è mai troppo tardi per un miracolo

    Non è mai troppo tardi per un miracolo

    Dio non smette mai di stupirci. Quando tutto sembra perduto, ecco che rovescia la situazione e trasforma la disperazione in meraviglia. Una siccità spietata, una carestia feroce. E poi? Una vedova straniera, senza nulla, che diventa strumento di un miracolo. Dio le affida una missione impossibile: sfamare un profeta affamato… senza avere provviste! Due cuori provati, due anime in bilico sul baratro, un’unica certezza: la fede. E così, accade l’imprevedibile.

    Il mio in(solito) commento a:
    Gesù come Elìa ed Elisèo è mandato non per i soli Giudei (Luca 4,24-30)

    Elia ed Eliseo. Due profeti, due vite intrecciate da un mantello e da eventi straordinari. Sapevi che prima di Gesù, proprio Elia aveva già moltiplicato farina e olio? (1Re 17,14) E che aveva riportato in vita il figlio di una vedova? (1Re 17,22) Eliseo, suo discepolo, non era da meno: divideva le acque del Giordano, guariva lebbrosi, compiva prodigi. Ma il colpo di scena più incredibile è questo: Elia… non è mai morto! È stato rapito in cielo su un carro di fuoco trainato da cavalli di fuoco (2Re 2,11), lasciando il suo mantello a Eliseo, quasi fosse un testimone divino. E un giorno, tornerà. Lo dice la profezia di Malachia: prima del grande giorno del Signore, Elia sarà mandato per ricucire i cuori spezzati.

    Nei Vangeli lo ritroviamo sul monte Tabor, accanto a Gesù nella Trasfigurazione (Matteo 17,1-8), e nel brano di oggi, evocato proprio da Gesù nella sinagoga di Nazaret:
    «C’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia… ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone» (Luca 4,26)

    Ancora una volta, Dio spiazza tutti. In Israele c’erano tante persone che avrebbero potuto accogliere il profeta, ma Dio sceglie proprio una donna disperata, sull’orlo della fame, per compiere il miracolo. Lei ha solo un pugno di farina e un filo d’olio. Pensa di preparare un ultimo pasto per sé e per il figlio, prima di lasciarsi morire. Ma Elia le dice: fidati. Cucina per lui quella focaccia, e vedrai. E accade l’incredibile: l’orcio dell’olio non si svuota, la farina non finisce mai. Dio ha riscritto il loro destino con la penna della fede.

    E poi c’è Naamàn, il generale siro, malato di lebbra. Cerca una guarigione, si aspetta gesti solenni… e invece Eliseo gli dice di immergersi nel Giordano sette volte. Così semplice, quasi ridicolo. Ma lui lo fa, e guarisce. Perché la fede è anche questo: fidarsi, senza capire tutto. (Se vuoi scoprire la sua storia, la trovi qui: https://www.labuonaparola.it/perche-ci-ammaliamo/)

    Vedi, Dio scrive meraviglie sulle righe storte della nostra vita. Ci chiama alla fiducia, anche quando tutto sembra perduto. Quando il buio sembra impenetrabile, è proprio allora che una scintilla di fede può accendere una luce inattesa. Non è mai troppo tardi per un miracolo #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La Crocifissione”, di Beato Angelico, 1423, tempera su tavola con sfondo d’oro, 63.8 x 48.3 cm, The Metropolitan Museum of Art

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  • L’origine del male

    L’origine del male

    Oggi voglio invitarti a uno sguardo insolito, a una prospettiva che lascia senza fiato: dall’alto della croce. Da lassù, tutto si ridimensiona, e forse possiamo rispondere alla domanda più difficile di sempre: perché Dio permette il male?

    Il mio (in)solito commento a:

    “Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Luca 13,1-9)

    Alcuni, quel giorno, raccontano a Gesù di certi Galilei, il cui sangue Pilato ha mescolato a quello dei loro sacrifici. Ed ecco Gesù che risponde: «Pensate che quei Galilei fossero più peccatori degli altri, per aver subìto una tale sorte? No! Ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. E quelle diciotto persone, su cui è crollata la torre di Sìloe, credete che fossero più colpevoli? No, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

    Una torre che crolla, uomini innocenti massacrati… Gesù prende due tragedie e ce le mette davanti, come uno specchio. Perché il mondo è colpito da un male così subdolo? Perché crollano i ponti, perché i terremoti devastano tutto?

    Perché esiste il male?

    È la domanda che si è posto anche Giobbe, al culmine della disperazione. Ma che cos’è il male, e perché Dio lo permette? Fermiamoci un istante: può Dio, che ci ha creati a sua immagine, che ci ama al punto di donare Suo Figlio per noi, volere il male per le sue creature?

    No, non può. Ma allora, perché il male esiste? C’è un male che deriva da noi, dalla nostra cattiveria, dal nostro egoismo, dalla voglia di possedere e dominare. È un “male che fa male”, perché si potrebbe evitare, se solo ci fosse più amore e meno invidia. È il male di Pilato, di ogni assassino, di chiunque scelga deliberatamente di nuocere al prossimo.

    E poi ci sono le tragedie. La torre di Siloe, le pandemie, i disastri naturali… Un male che nasce da una scelta all’origine dei tempi: quella del demonio. Sotto le sembianze del serpente, il Male in persona ingannò Eva, spingendo l’umanità verso il peccato. Così si è creata una frattura tra materia e spirito, una ferita che ancora sanguina. L’universo intero vibra come una corda spezzata da quell’azione scellerata.

    Il male è assenza di bene. Dove non c’è amore, c’è il male. Anche Satana, un tempo angelo, ha scelto orgoglio e invidia, allontanandosi dall’amore. La libertà che Dio ci dà implica la possibilità di allontanarsi da Lui, e, purtroppo, alcune anime lo fanno.

    Ma Dio non ci ha lasciati soli. Ha mandato Suo Figlio per salvarci e dare un senso anche al dolore. Gesù stesso ha vissuto il dolore, l’ingiustizia, la persecuzione e la morte. Dio ha tanto amato il mondo da donare Suo Figlio affinché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

    La sofferenza ci spezza, ma non siamo soli: Dio soffre accanto a noi. Quando la nostra mente non riesce a comprendere, possiamo solo contemplare questo mistero.

    Saliamo anche noi su quella croce, accanto a Gesù. Dall’alto, vediamo il male che causiamo con le nostre azioni, o persino con la nostra indifferenza. E invochiamo il perdono, come fece il buon ladrone: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno.” E sentiremo la dolce risposta di Gesù: “Oggi sarai con me in Paradiso.”

    Da lassù, comprenderemo che ciascuno di noi è amato, profondamente, fino alla fine #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Crocifisso in un cimitero ebraico”, di Giovanni Bellini, 1501-1503, 81×49 cm, olio su tavola, Prato – Galleria di Palazzo Alberti

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  • La parabola vista con gli occhi di un papà

    La parabola vista con gli occhi di un papà

    Questo commento, scritto poche ore dopo essere diventato papàdeve aver toccato i cuori di molti, perché è stato pubblicato da un periodico cattolico e molti stralci sono stati ripresi perfino da Avvenire con mia grande gioia e sorpresa. Vediamo di che si tratta: Padre. Per capire davvero che cosa voglia dire per Dio, amarci, ho dovuto sperimentare la paternità. Proverò a raccontarti questa sensazione indescrivibile, la stessa che prova Dio

    Il mio decisamente in(solito) commento a:
    Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita (Luca 15,1-3.11-32)

    La parabola del padre buono. Ti confesso che l’ho capita “veramente” da poco. Un tempo la conoscevo come “del figliol prodigo”, ma l’averla compresa bene non dipende da questo. No. Il fatto è più bello, te lo racconto:

    Rita ha ormai compiuto due anni. Quella notte, in ospedale, scrissi un articolo di cui ti propongo alcuni passaggi per poi calarli “nella parabola”:

    Sono diventato papà. Mentre scrivo queste righe mi trovo in ospedale, seduto su una seggiola accanto al letto di mia moglie. Il mio sguardo indugia sul viso della nostra piccola che riposa facendo piccoli movimenti: ora un braccino, ora una gambetta, ora un vagito e perfino una parvenza di sorriso. Con queste immagini negli occhi non posso non pensare a Dio. Misuro la mia gioia frammista alle mille altre indescrivibili sensazioni che la paternità porta con sé e mi chiedo quali sentimenti possano abitare il cuore di Dio, Padre e Creatore, mentre contempla noi, le sue creature. Si dice spesso che Dio è amore (rif. 1Giovanni 4,8). Sebbene io abbia scritto svariati libri sull’argomento, devo farti una confessione: solo oggi mi sto rendendo conto di non aver mai compreso fino in fondo l’intensità dell’amore che un genitore può provare per la propria figlia od il proprio figlio. Non l’avevo mai neppure immaginata prima di provarla. E allora provo a chiedermi quanto amore possa contenere il cuore del Padre onnipotente. Quanto ne possa traboccare fino a giungere, come una balsamica carezza, su ciascun essere umano. Quanto intenso ed incondizionato sia questo trasporto, capace di amare a prescindere, per il solo fatto che noi esistiamo e siamo figli suoi. Non mi stupisco più che Dio sia disposto a perdonare perfino i nostri peggiori peccati, che Egli sappia dimenticare le nostre colpe come se non fossero mai esistite. Cosa non si perdonerebbe ad una creatura così piccola come la bimba che vedo davanti a me ora? Che cosa non sarei disposto a fare per lei? Tutto questo, cara lettrice, caro lettore, Dio lo fa per te. Per tutti noi. (Tratto da “Sorprendersi con Dio. Oggi ho assistito al miracolo della vita“, Alessandro Ginotta, Il Corriere della Valle, 23 febbraio 2023. Ripreso da Avvenire, il 15 marzo 2023 nell’articolo “La bontà del Padre compresa alla luce della propria paternità” di Guido Mocellin che, ancora commosso e sorpreso, ringrazio).

    Come non capire il cuore del padre della parabola che attende per giorni, settimane, forse mesi, il ritorno del proprio figlio? Come non farci coinvolgere nello slancio di quelle braccia che volano al collo del ragazzo che rientra a casa? Anche se ha sperperato tutte le sue risorse, anche se avesse compiuto il peggiore degli errori, un figlio è sempre un figlio, amato e desiderato. Non può, questo padre, comportarsi in altro modo, così come non può, Dio, rinunciare a perdonare perfino il più grave dei nostri peccati. Perché Egli ci ama. E l’amore di un padre (o una madre) per il proprio figlio (o la propria figlia) è il più intenso, il più autentico, il più viscerale, il più vicino a Dio dei sentimenti che un essere umano possa mai sperimentarePerché solo amare (come fa Dio) ci permette di comprendere davvero!

    Amati dal Signore non cadiamo nell’errore di questo fratello, ma amiamo a nostra volta chi ci sta accanto. Comprendiamo e perdoniamo, perché verremo a nostra volta perdonati da chi legge dentro al nostro cuore #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “San Giuseppe con il Bambino Gesù”, di Guido Reni, anni ’20 del XVII sec, olio su tela, 126×101 cm, Hermitage, San Pietroburgo

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  • Lascia entrare Gesù nel tuo cuore

    Lascia entrare Gesù nel tuo cuore

    La vedi quella vigna? Vieni con me, voglio presentarti il suo proprietario. È un uomo anziano, con le mani segnate dalla fatica e il cuore colmo d’amore per ogni pietra, ogni filo d’erba, ogni tralcio che cresce lì dentro

    Il mio in(solito) commento a:
    Costui è l’erede. Su, uccidiamolo! (Matteo 21,33-43.45)

    Ogni germoglio ha la sua storia, e lui le conosce tutte, perché ha lavorato senza sosta per preparare il terreno, nutrirlo, irrigarlo, piantare ogni vite. Poi ha acquistato un torchio, deciso a ricavarne il miglior vino. E per proteggere la sua vigna, ha costruito un muro e una torre di pietra. Era il suo tesoro. Eppure, quando dovette partire per un lungo viaggio, decise di affidarla ad alcuni contadini. Si fidava di loro. Gli stava lasciando qualcosa di immensamente prezioso.

    Il tempo passò, la vendemmia arrivò. Il padrone mandò i suoi servi a raccogliere la parte di uva che gli spettava. Ma qualcosa era cambiato nel cuore di quei contadini. L’avidità? Il desiderio di possesso? Qualunque cosa fosse, li aveva accecati.

    Quando i servi arrivarono, li accolsero con bastonate. Il padrone ne mandò altri, ma il risultato fu ancora più tragico: alcuni vennero uccisi.

    Eppure lui non voleva arrendersi. Continuava a sperare. Forse un errore, un malinteso… Così inviò suo figlio. “Lo rispetteranno” – pensava. Ma i contadini, vedendolo, si scambiarono uno sguardo complice: “Ecco l’erede! Uccidiamolo e la vigna sarà nostra!” Lo catturarono, lo trascinarono fuori e lo assassinarono.

    Fa male, vero? Fidarsi e venire traditi. Consegnare qualcosa di prezioso nelle mani sbagliate. Eppure, lascia che ti dica qualcosa che non ti aspetti, qualcosa che forse ti sconvolgerà: quei vignaioli siamo noi!

    Sì, perché anche noi, ogni giorno, uccidiamo il Figlio di Dio: lo uccidiamo quando lo dimentichiamo. Lo assassiniamo quando scegliamo il male invece del bene. Lo ammazziamo quando lasciamo che la nostra indifferenza spenga il nostro amore. E così la storia si ripete. Gesù è lì, davanti alla folla. Pilato prova a difenderlo: “Non trovo in lui nessuna colpa”. Ma la folla urla: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!” (Giovanni 19,4-7)

    Di nuovo, quella folla non è solo un gruppo di persone di duemila anni fa: siamo noi! Siamo noi ogni volta che scegliamo di voltargli le spalle. Siamo noi quando rinneghiamo la nostra fede per paura del giudizio altrui. Siamo noi quando chiudiamo gli occhi di fronte alla sofferenza. Siamo noi a mettere la croce sulle sue spalle. Siamo noi che, per trenta monete d’argento – che oggi si chiamano egoismo, superficialità, indifferenza – lo tradiamo, lo vendiamo, lo condanniamo. E poi? Poi facciamo rotolare un masso sulla sua tomba, convinti che tutto sia finito. Ma ecco la verità: non finisce così! Perché un masso, anche il più pesante, non potrà fermare Dio.

    Dio lo sa: anche nel cuore più duro una scintilla di luce riesce sempre a entrare. Anche chi ha sbagliato mille volte può rialzarsi. Anche chi si sente perso può tornare a casa. Lui non si stanca mai di tenderci la mano. Sì, perché Gesù risorge, perfino dentro di noi. Anche nel buio del nostro egoismo, nel freddo della nostra indifferenza, Gesù si alza da quel letto di pietra, depone il suo sudario e compie un miracolo nella sua luce sfolgorante: rischiara e riscalda il nostro cuore. Perché la storia, questa volta, può davvero cambiare.

    Fede, pace, amore, equità, perdono, possono davvero trasformare il mondo. Basta che lo vogliamo #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Cristo porta la croce”, di Sebastiano dal Piombo, 1535-40, olio su tela, 157×118 cm, Museo delle Belle Arti di Budapest

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  • Scegli bene al bivio!

    Scegli bene al bivio!

    Attraverso uno squarcio che si apre sull’infinito, puoi intravedere due destini opposti: uno di vita, l’altro di morte. Da che parte sceglierai di andare?

    Il mio in(solito) commento a:
    “Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti” (Lc 16,19-31).

    Non per niente San Luca era anche un pittore. Questo Vangelo è come un capolavoro su tela: da un lato, il ricco epulone, avvolto in vesti di porpora e lino finissimo, immerso nei suoi banchetti opulenti. Dall’altro, il povero Lazzaro, stracci addosso e piaghe sulla pelle, che nemmeno i cani esitano a leccare. È un contrasto da Caravaggio, dove la luce sfrontata della ricchezza si scontra con l’ombra della miseria.

    Ma il dipinto non si ferma qui. Ecco che il pennello cambia: ora è quello inquietante di Hieronymus Bosch, e la scena si fa cupa. Il ricco, che in vita ha ignorato Lazzaro, precipita nell’inferno. Per anni ha oltrepassato quel corpo martoriato senza degnarlo di uno sguardo, e ora, tra le fiamme, osa implorare aiuto. Lo stesso aiuto che non ha mai offerto.

    Ma ormai è tardi. Tra loro si è aperto un abisso. E non è Dio ad averlo scavato, ma il ricco stesso, giorno dopo giorno, con ogni sguardo distolto, con ogni porta chiusa in faccia.

    E noi? Quanto spesso costruiamo quell’abisso attorno al nostro cuore? Quanto spesso ci isoliamo da Dio, lasciando che il peccato eriga muri sempre più alti tra noi e il Suo amore?

    Eppure, Dio è lì. Non come un giudice spietato, ma come un Padre innamorato delle sue creature. Ricordi Adamo ed Eva? Dopo il loro peccato, non li ha puniti con fulmini e saette: ha fatto loro delle tuniche di pelle per proteggerli. Ecco l’amore di Dio: ci custodisce, anche quando sbagliamo.

    E allora sì, nulla e nessuno potrà separarci dal Suo abbraccio… tranne noi stessi. Perché solo se ci ostiniamo a rifiutare il Suo amore, sperimentiamo l’inferno: quel vuoto freddo, senza luce, senza perdono.

    Ma basta un passo. Basta alzare lo sguardo. Perché Dio è già qui, pronto a coprirci ancora con la sua tunica, pronto a stringerci a sé. Sempre #Santanotte!

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Un angelo libera le anime del Purgatorio”, di Ludovico Carracci, 1610, olio su tela, 44×51 cm, Musei Vaticani

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  • Dedicato ai papà (ma anche alle mamme ed ai figli)

    Dedicato ai papà (ma anche alle mamme ed ai figli)

    Credere nei sogni: no, non è (solo) una di quelle frasi che troviamo nell’incarto di qualche cioccolatino, ma è una capacità fondamentale per la nostra vita

    Il mio in(solito) commento a:
    Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore (Matteo 1,16.18-21.24)

    Hai mai notato che nei dipinti San Giuseppe viene spesso rappresentato con uno stelo di fiori in mano? Un’antica leggenda racconta che San Giuseppe, insieme a tutti gli altri uomini della città, venne convocato dai grandi sacerdoti, perché si doveva scegliere chi sarebbe stato il marito della giovane Maria. Ti va di leggere insieme a me questo racconto da un testo antico?

    Eccola: Il sacerdote allora disse: “Chiunque non ha moglie, venga domani e porti in mano un bastone”. Avvenne così che Giuseppe, insieme ai giovani, portò un bastone. Dettero i loro bastoni al sommo pontefice, questi offrì un sacrificio al Signore Dio e lo interrogò. Il Signore gli rispose: “Introduci i bastoni di tutti nel santo dei santi; i bastoni restino lì. Ordina poi loro che vengano da te domani a riprendere i loro bastoni; dalla cima di un bastone uscirà una colomba e volerà in cielo. Maria sarà data in custodia a colui nella cui mano il bastone restituito darà questo segno”.

    Il giorno dopo tutti giunsero assai presto. Il pontefice, compiuta l’offerta dell’incenso, entrò nel santo dei santi e trasse fuori i bastoni. Distribuitili tutti, da nessun bastone uscì la colomba. Il pontefice si rivestì allora con i dodici campanelli e con la veste sacerdotale, entrò nel santo dei santi, accese il sacrificio ed elevò preghiere. Apparve l’angelo del Signore e gli disse: “C’è qui un bastone piccolissimo, del quale tu non hai fatto caso alcuno, l’hai messo con gli altri, ma non l’hai tirato fuori con essi. Quando l’avrai tirato fuori e dato a colui al quale appartiene, in esso si avvererà il segno del quale ti ho parlato”. Quello era il bastone di Giuseppe il quale, essendo vecchio, era avvilito di non poterla prendere; perciò neppure lui voleva ricercare il suo bastone. Mentre se ne stava umile e ultimo, il pontefice con voce chiara gli gridò: “Giuseppe, vieni e prendi il tuo bastone, tu infatti sei atteso”. Giuseppe, spaventato che il sommo sacerdote lo chiamasse con tanto clamore, si accostò. Non appena tese la mano e ricevette il bastone, dalla cima uscì fuori una colomba più bianca della neve e straordinariamente bella: dopo avere volato a lungo per le sommità del tempio, si lanciò verso il cielo. (Pseudo Matteo 8,2-3).

    Dopo questo excursus un po’ romanzesco vorrei soffermarmi su un altro dei doni di San Giuseppe: la capacità di ascoltare (e di fidarsi di Dio). Abbiamo il coraggio di ascoltare Dio? Tante volte ci lamentiamo, perché il Signore non esaudisce le nostre preghiere, perché ci sembra di essere stati dimenticati da Lui, o di aver subito chissà quale torto… ma noi lo ascoltiamo? Perché Dio parla continuamente alla nostra anima. E lo fa in molteplici modi: con la sua Parola, che è viva e cresce dentro di noi. Attraverso gli eventi che si snodano lungo la nostra vita. E anche attraverso la bellezza della natura, dal fascino di un tramonto all’ordine dell’infinitamente piccolo delle particelle, fino allo smisuratamente grande del cosmo. Quante meraviglie! Ogni cosa attorno a noi ci parla di Dio.

    Ma troppo spesso noi ci rifiutiamo di vederlo. Di sentirlo. Di ascoltarlo. E’ come se, per noi, Dio non ci fosse. I doni di Dio, per fiorire e portare frutti richiedono la disponibilità umana. Quella disponibilità che San Giuseppe ha offerto, ascoltando in sogno il volere di Dio trasmesso da un Angelo.

    E noi, siamo pronti ad offrire la nostra disponibilità a Dio, quando Egli ci parla? O forse troviamo più semplice “girarci dall’altra parte” e fare finta di nulla? Ascoltare quello che ci dice il Signore, dobbiamo ammetterlo, non è facile perché Dio viene in modo silenzioso e discreto, senza imporsi alla nostra libertà. Così può capitare che la sua voce rimanga soffocata dalle molte preoccupazioni e sollecitazioni che occupano la nostra mente e il nostro cuore. Oggi riuscire a raccogliersi per ascoltare diventa sempre più difficile, immersi come siamo in una società rumorosa, nella frenesia e nel chiasso che dominano le nostre città e i nostri quartieri. Ma se riusciremo a togliere tutto il frastuono che ci circonda, allora potremo udire nel nostro cuore la voce di Dio che ci invita ancora oggi: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Ed ecco quello che Dio, proprio oggi, ci chiede di fare: testimoniare con la nostra vita la sua Parola. In questo mondo sordo, lontano e stanco, in questa società individualista ed egoista, abbiamo il preciso dovere di mostrare a chi è distante che Dio c’è e può trasformare le nostre vite!

    San Giuseppe interceda per tutti noi e ci ottenga da Dio la capacità di ascoltare, il dono di saper riconoscere il volere di Dio ed il coraggio di metterlo sempre in atto, senza tirarci mai indietro. E BUONA FESTA A TUTTI I PAPÀ! #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Dedicato ai papà (ma anche alle mamme ed ai figli)
    Il dipinto di oggi è: “San Giuseppe con Gesù Bambino”, di Ricardo Balaca y Orejas-Canseco, 1861, olio su tela, Universidad Pontificia de Salamanca, Spagna

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  • Gesù? Non ti schiaccia, ma ti rialza!

    Gesù? Non ti schiaccia, ma ti rialza!

    Gesù non è venuto per chi si sente perfetto, per chi si crede superiore, per chi impone agli altri la propria volontà. Gesù è venuto per gli ultimi, per chi soffre, per chi si sente piccolo. È venuto per liberare, non per incatenare. Per accogliere, non per giudicare. Per dare vita, non per spegnerla.

    Il mio (in)solito commento a: Dicono e non fanno (Mt 23,1-12)

    Nel Vangelo di oggi, Gesù smaschera scribi e farisei. Li descrive con parole dure: “Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente” (vv. 4-5).

    L’intransigenza cieca è veleno puro. E quando diventa religione, è un’arma letale perché trasforma la fede in una gabbia, anziché in un abbraccio. Ma c’è qualcosa di ancora peggio dell’imporre regole assurde: scribi e farisei soffocavano la speranza. Spegnevano i sogni. Toglievano l’aria alla libertà. Il loro labirinto di precetti impediva di respirare. Nessuno poteva fare nulla senza chiedere il permesso. Non si poteva raccogliere una spiga di sabato, né curare un malato. Alcuni cibi erano proibiti, certi rituali erano complicatissimi. E persino sfiorare una donna in alcuni giorni del mese rendeva impuri (Levitico 15,19-23). Regole su regole, senza amore, senza vita, senza senso.

    Se ogni gesto è controllato, se dietro ogni azione si nasconde una condanna, se le regole non sono più un mezzo per avvicinarsi a Dio ma un pretesto per mantenere il potere, allora sì che si compie il peggiore dei peccati. Non l’omicidio, ma l’assassinio della libertà. Quella libertà che dovrebbe volare sulle ali dello Spirito. Che profuma di vita, ha il colore del cielo, il suono di una risata felice. Quella libertà che accende lo sguardo e fa sognare. E scribi e farisei hanno rubato tutto questo.

    Ma ora chiediamoci: esistono scribi e farisei oggi? Purtroppo sì. Anche oggi c’è chi vuole spegnere il fuoco del Vangelo. Chi preferisce regole rigide all’amore. Ci sono i nuovi farisei, quelli che si aggrappano a tradizioni vuote e dimenticano il cuore della fede: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,34). Persone che vivono con l’anima spenta, che temono la gioia, che cercano di raffreddare il cuore di chi ama davvero.

    I farisei di oggi sono quelli che soffocano l’entusiasmo, quelli che smorzano la luce negli occhi di chi vuole mettersi in gioco. Sono quelli che si aggrappano al passato con un “si è sempre fatto così”, incapaci di lasciarsi toccare dalla freschezza dello Spirito.

    Gesù non è venuto per chi si sente perfetto, per chi si crede superiore, per chi impone agli altri la propria volontà. Gesù è venuto per gli ultimi, per chi soffre, per chi si sente piccolo. È venuto per liberare, non per incatenare. Per accogliere, non per giudicare. Per dare vita, non per spegnerla. È un pastore che cammina con noi, un amico che non ci abbandona, un cuore che batte all’unisono con il nostro #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Il Discorso della montagna”, di Henrik Olrik, 1880, Chiesa di San Matteo, Copenhagen, Danimarca

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  • Quando perdonare sembra davvero troppo…

    Quando perdonare sembra davvero troppo…

    Il perdono è la più alta forma d’amore. È la possibilità che Dio ci dà di scrivere una storia diversa, una storia di bene, anche laddove sembra impossibile. Con una parola, un abbraccio, un sorriso, possiamo essere strumenti di quel miracolo che cambia il mondo: l’amore che si dona senza aspettarsi nulla in cambio

    Il mio in(solito) commento a:
    Perdonate e sarete perdonati (Luca 6,36-38)

    Ciascuno di noi sa quanto sia dura resistere alla tentazione di rispondere con il male al male ricevuto. Eppure, è proprio qui che si gioca la nostra vera battaglia. “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.” Un detto popolare che descrive alla perfezione ciò che proviamo di fronte alle parole di Gesù:

    “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati.” (Luca 6,36-37)

    Possiamo comprenderle, queste parole. Possiamo persino illuderci di riuscire a viverle. Ma poi arriva la vita, con le sue spine, e ci accorgiamo che mettere in pratica la misericordia è molto più difficile di quanto pensassimo.

    Giudicare è facile, quasi istintivo. È un riflesso automatico della nostra natura umana: inquadrare le persone, classificarle, approvarle o disapprovarle in base a schemi preconfezionati. E quando il male ci colpisce in pieno petto? Quando il torto che subiamo è troppo grande, troppo ingiusto? Perdonare sembra un’impresa impossibile.

    Io non so voi, ma davanti a questa pagina di Vangelo posso solo inginocchiarmi e chiedere aiuto. Chiedere la grazia di un cuore capace di amare come ama Dio. Perché Lui sì che sa come si fa: “A chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica” (Luca 6,29).

    Pensiamo a Gesù: tradito, percosso, torturato, inchiodato sulla croce. Avrebbe potuto liberarsi con un soffio. Avrebbe potuto far piovere fuoco dal cielo sui suoi persecutori. E invece ha scelto l’amore: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Luca 23,34).

    E noi? Come possiamo arrivare a tanto? Come si fa a non solo evitare la vendetta, ma addirittura ad amare chi ci ha feriti? La risposta è una sola: non con le nostre forze, ma con la grazia di Dio.

    Perché l’amore vero non è uno scambio, non è una moneta di pagamento: è un dono. E il più grande di tutti ce lo ha fatto Cristo stesso: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15,13).

    Il perdono è la più alta forma d’amore. È la possibilità che Dio ci dà di scrivere una storia diversa, una storia di bene, anche laddove sembra impossibile. Con una parola, un abbraccio, un sorriso, possiamo essere strumenti di quel miracolo che cambia il mondo: l’amore che si dona senza aspettarsi nulla in cambio.

    Allora, abbandoniamo le zavorre del giudizio, dell’egoismo, della vendetta. E apriamo il cuore alla sola legge che conta davvero: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. E amerai il prossimo tuo come te stesso” (Marco 12,29-31).

    Sant’Agostino ci lascia un consiglio prezioso: “Ama Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente, e non rimarrà in te spazio per amare te stesso. Ama, dunque, e scoprirai la vera gioia”.

    Ecco il segreto: svuotarsi dell’orgoglio per riempirsi di Dio. Solo così potremo amare davvero. Solo così il perdono diventerà possibile #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La Crocifissione”, di Pietro Lorenzetti, 1340, tempera e oro su tavola, 41.9 x 31.8 cm, The Metropolitan Museum of Art, New York

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  • C’è bisogno di luce!

    C’è bisogno di luce!

    Guerre, armi, tensioni che crescono come tempeste all’orizzonte. Il mondo sembra avvolto in un buio sempre più fitto. Ma tu, che stai leggendo queste righe, sei in cerca di luce. E sai una cosa? Solo chi ha il coraggio di cercare, la troverà. Perché la luce non è per chi resta fermo a guardare. La luce è per chi si mette in cammino, per chi osa, per chi si lascia trasformare.

    Il mio in(solito) commento a:
    Mentre Gesù pregava, il suo volto cambiò d’aspetto (Luca 9,28-36)

    Amo parlare di luce. Perché la luce è tutto. È il primo respiro della creazione: “Sia la luce!” (Genesi 1,3). Ed è anche l’ultima promessa: “Non ci sarà più notte” (Apocalisse 22,5). Un filo dorato che attraversa l’intera storia della salvezza, dalla prima all’ultima pagina della Bibbia.

    La luce è rivelazione. È quella che ci permette di vedere, di capire, di scoprire. Senza luce, il cielo, la terra, il mare, perfino i volti degli altri restano nascosti. Dio stesso è avvolto di luce: “Egli è vestito di luce come di un manto” (Salmo 104,2). Una luce così potente da trasformare chiunque la incontri: Mosè scende dal Sinai con il volto splendente (Esodo 34,29-30), i discepoli sulla montagna vedono Gesù trasfigurarsi in un bagliore abbagliante.

    La luce è la Parola. Una Parola che illumina e guida: “La tua parola è una lampada per i miei piedi, una luce sul mio cammino” (Salmo 119,105). Una Parola che diventa carne, che scende nel nostro buio per accendere speranza: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Giovanni 1,9).

    E allora, lascia che te lo dica: senza questa luce, siamo persi. Senza di essa, inciampiamo, brancoliamo, smarriamo il senso del nostro cammino. Ma tu, che sei arrivato fin qui, non sei uno che si accontenta delle ombre. Tu sei un cercatore di luce. E chi cerca la luce, non resta a guardare. Agisce.

    La trasfigurazione non è solo una visione. È una chiamata. È Dio che ci scuote, ci invita a non restare immobili davanti al male, all’ingiustizia, all’indifferenza. È Lui che ci dice: “Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno” (Giovanni 9,4).

    Allora alziamoci! Diventiamo fiaccole accese nel buio, testimoni credibili, pagine viventi del Vangelo. Perché anche nel cuore della notte più cupa, una sola scintilla può fare la differenza.

    E tu, quale luce vuoi essere? #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La Trasfigurazione”, di Lorenzo Lotto, 1512, olio su tavola, 300×203 cm, Museo Civico di Villa Colloredo Mels, Recanati

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