Autore: Alessandro Ginotta

  • Ma Gesù, quanto è difficile seguire questo comandamento!?

    Ma Gesù, quanto è difficile seguire questo comandamento!?

    “Ama il tuo nemico”. Più che un comandamento, sembra un’impresa impossibile. Come si fa ad amare chi ci ha ferito, chi ci ha tradito, chi ci ha fatto soffrire? Eppure, Gesù non lascia spazio a interpretazioni: non dice “prova”, non dice “se puoi”, ma semplicemente… ama.

    Il mio (in)solito commento a:
    Amate i vostri nemici (Matteo 5,43-48)

    Perché? Perché Dio stesso ama così. Ama senza condizioni, senza calcoli, senza riserve. Ama anche chi sbaglia, chi cade, chi si allontana. Il Signore non fa differenze: sta accanto anche al più incallito dei peccatori, lo aspetta, lo desidera, lo cerca. E quando finalmente torna, lo abbraccia con una tenerezza che spiazza: lo riveste di dignità, gli rimette l’anello al dito, i calzari ai piedi e… fa festa! Sì, perché “ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Luca 15,7).

    Questo è il cuore di Dio: un cuore di Padre. Un cuore grande, spalancato, capace di amare anche quando nessuno lo merita. Un cuore che non si ferma alla nostra idea di giustizia, ma ci spalanca agli orizzonti infiniti della misericordia. Un cuore che non ci tratta secondo i nostri peccati, né ci ripaga secondo le nostre colpe (Salmo 103,9-10).

    E noi? Siamo chiamati a fare lo stesso. A perdonare, persino chi ci ha ferito nel profondo. Ad amare, anche quando sembra assurdo. A credere che anche dal male più grande possa nascere un bene inimmaginabile.

    Ma attenzione: amare non significa subire passivamente l’ingiustizia. Gesù non ci invita alla rassegnazione, ma a un’azione coraggiosa, creativa, che possa toccare il cuore dell’altro. Vuole che il nostro amore smuova le coscienze, spinga chi sbaglia a fermarsi, a riflettere, magari persino a cambiare strada. È la forza di chi “vince il male con il bene” (Romani 12,21).

    Ecco perché Gesù ci chiede di fare un passo in più. Quando ci viene imposto di camminare un miglio, Lui ci dice: fan due. Perché? Perché quel gesto può accendere una scintilla nel cuore di chi ci sta di fronte. Perché il vero amore non reagisce al male con altro male, ma con il bene. Sempre.

    Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”. Parole scomode, quasi insopportabili. Eppure, sono l’essenza stessa del Vangelo: l’amore non ha confini. Non si ferma davanti all’offesa, alla cattiveria, all’odio. Continua ad amare, fino all’assurdo, fino a pregare per il proprio persecutore.

    Facile? No. Difficilissimo. Ma con la preghiera e con la grazia di Dio, possiamo riuscirci. Perché non siamo soli. “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2Corinzi 11,9).

    E allora… proviamoci! Perché quando il nostro cuore si apre all’amore, anche l’impossibile diventa possibile #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Il Sacro Cuore di Gesù” 1960, olio su tela, Luigi Guglielmino, Chiesa della Consolata, Torino

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  • Il perdono guarda avanti, il rancore ti incatena al passato

    Il perdono guarda avanti, il rancore ti incatena al passato

    Il perdono è un ponte che guarda avanti, verso il domani. Il rancore? Ti incatena al passato!

    Il mio (in)solito commento a:
    “Va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello” (Matteo 5,20-26)

    Siamo onesti: possiamo chiedere miracoli a Dio, invocare il suo aiuto nei momenti difficili… ma se poi siamo noi i primi a ignorare il suo più grande comandamento – l’amore – a che serve? “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12,29-31) non è un consiglio, è la chiave di tutto. Senza amore, il resto crolla. Lo dice anche San Paolo: “L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore” (Romani 13,8-10).

    E allora fermati un attimo. Hai mai avuto paura del buio? Ma cos’è, esattamente, l’oscurità? È un vuoto, un’assenza di luce. Ed è proprio nel vuoto che attecchiscono le nostre paure. Quando manca la luce, ci manca la sicurezza, vediamo ombre dappertutto, il pericolo si fa più grande. Il male funziona allo stesso modo: è l’assenza di bene. È la mancanza di Dio. “Dio disse: ‘Sia la luce!’ e la luce fu” (Genesi 1,3).

    Fin dall’inizio dei tempi, la storia dell’umanità è un combattimento tra luce e tenebre. Lo racconta Isaia: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce” (Isaia 9,1). Lo ribadisce San Giovanni: “La luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Giovanni 1,9). E si chiude l’Apocalisse con la promessa: “Non vi sarà più notte […] perché il Signore Dio li illuminerà” (Apocalisse 22,5).

    Ma fino a quel giorno, sta a noi portare la luce. Sta a noi riempire il vuoto prima che lo faccia qualcun altro con il male. Sta a noi scegliere il bene, tendere la mano, perdonare. Perché è il perdono che fa spazio a Dio nel nostro cuore. Senza riconciliazione, persino la preghiera si svuota: “Se dunque presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono, va’ prima a riconciliarti con lui e poi torna a offrirlo” (Matteo 5,23-24).

    Davanti a un’offesa abbiamo due strade: la vendetta o il perdono. La prima è un’illusione: pensiamo di guarire una ferita provocandone un’altra, ma il male non è mai una medicina. Così, alla fine, ci ritroviamo con due ferite anziché una. “Occhio per occhio? Se fosse applicata questa legge, il mondo sarebbe cieco” (Kahlil Gibran).

    E allora non resta che la strada più difficile… ma l’unica vera via d’uscita: il perdono.

    Perdonare non significa dare ragione a chi ci ha ferito. Significa liberarci.
    Significa spezzare quelle catene che ci imprigionano al passato, sciogliere i nodi dell’anima, lasciare andare il dolore. L’etimologia greca di aphíemi ce lo dice chiaramente: perdonare significa lasciare andare. E quando lo facciamo, siamo noi i primi a respirare.

    Lo so, è dura. A volte sembra impossibile. Ma dove non arriviamo noi, arriva Lui. Dove il nostro cuore è troppo piccolo, Dio può colmare il vuoto con il suo amore. E quello che ci manca, Lui lo metterà di tasca sua.

    Scegli di essere luce. Scegli di perdonare. Perché solo chi guarda avanti può davvero camminare #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Gesù Buon Pastore” di Cristóbal García Salmerón, olio su tela, 17° secolo, 141x107cm, Museo del Prado, Madrid

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  • Cos’è la Divina Provvidenza?

    Cos’è la Divina Provvidenza?

    Che tu ci creda o no, a volte siamo proprio noi a impedire che i miracoli accadano!

    Il mio in(solito) commento a:
    Chiunque chiede, riceve (Matteo 7,7-12)

    “Chiedete e vi sarà dato”. Facile a dirsi… ma tu, ci credi davvero? Oppure ti lasci imbrigliare dai dubbi, dalle ansie, dalle paure che ti sussurrano all’orecchio: “E se non accade? E se non fossi degno? E se Dio non mi ascoltasse?”

    E così resti a terra, ancorato come un palloncino gonfio di sogni ma legato a una cordicella invisibile. Quella corda sono le tue paure: paura di fallire, di soffrire, di perdere, di non essere amato abbastanza. E il peso che ti tiene giù? Quello è fatto di peccati, di egoismi, di scelte sbagliate. Ma il punto è che, molto spesso, non è nemmeno il macigno a fermarti. No, è solo quella sottile cordicella di insicurezza che continui a stringere tra le dita.

    Vedi, la paura è più potente di quanto immagini: è così forte che può fermare perfino un miracolo. Già, perché i miracoli si nutrono di fede, ma la paura li paralizza. Dio desidera esaudire le tue preghiere, ma vuole te, la tua volontà, il tuo cuore aperto. Ti chiede di crederci, davvero, di agire, di non restare fermo aspettando che qualcosa accada senza il tuo coinvolgimento.

    Ma dimmi: come puoi aspettarti che un miracolo avvenga se sei il primo a non credere che sia possibile?

    Quando arrivano le difficoltà, ci vuole coraggio. Il coraggio di lottare, di insistere, di guardare il cielo e dire: “Signore, io ci credo. Io voglio.” È questa la forza della preghiera: non una speranza vaga, ma la certezza che Dio sta già muovendo le sue mani per te. È quella fiducia incrollabile che scioglie la corda, ti lascia andare e ti fa salire, su, sempre più su, verso un cielo senza ombre.

    Ricorda: “Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Matteo 6,25-33).

    Perché Dio conosce i tuoi bisogni prima ancora che tu li esprima: “Tu sai quando mi siedo e quando mi alzo, tu comprendi da lontano il mio pensiero” (Salmo 139,2). Abbi fede: Gesù cerca la tua volontà, la tua fiducia, la tua partecipazione. Tu sei co-autore del miracolo! #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Che cos'è la Divina Provvidenza?
    Il dipinto di oggi è: “Cristo, Salvator mundi” di Guido Reni, olio su tela, 78x67cm, Collezione privata

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  • Giona. Il segno del profeta

    Giona. Il segno del profeta

    Questa sera voglio raccontarti una storia straordinaria. Una storia che ha dell’incredibile, che sa di avventura, di fuga, di tempesta e di una svolta inattesa. La storia di un uomo qualunque—un po’ fifone, un po’ testardo, e perfino un po’ svogliato—che si ritrova, suo malgrado, protagonista di un viaggio che cambierà la sua vita per sempre. Sto parlando di Giona.

    Il mio in(solito) commento a:
    A questa generazione non sarà dato che il segno di Giona (Luca 11,29-32)

    Oh, Giona mi sta proprio simpatico. Perché, se ci pensi, potresti essere tu. Potrei essere io. Un uomo normale che si ritrova, da un momento all’altro, strappato alla sua routine, trascinato lontano, catapultato in una terra ostile per svolgere una missione che non ha chiesto e che, diciamolo, proprio non gli va giù.

    Cosa fare? Giona non ha dubbi: scappare! Salta sulla prima nave diretta dalla parte opposta e se la dà a gambe. Ma c’è un piccolo dettaglio che ha sottovalutato: davanti a Dio non si fugge. Perché Dio non è un padrone severo che impone, ma un Padre che ama… e che quando chiama, non si arrende.

    Ed ecco che il nostro eroe si ritrova nel bel mezzo di una tempesta furiosa. Il mare si infuria, la nave sembra sul punto di spezzarsi, l’equipaggio è terrorizzato. E quando i marinai scoprono che a bordo c’è un uomo in fuga da Dio, non ci pensano due volte: lo prendono di peso e… splash! Lo gettano tra le onde.

    Fine della storia? Nemmeno per sogno.

    Perché proprio quando tutto sembra perduto, ecco che arriva un pesce gigante—e no, non è una metafora—che lo inghiotte in un sol boccone. Tre giorni e tre notti nel ventre di quel mostro marino, in una prigione viva, umida e oscura. Tre giorni a riflettere, a lottare con sé stesso, a capire che non c’è altra strada se non quella di arrendersi all’abbraccio di Dio.

    E così, dopo quella strana “tomba d’acqua”, Giona viene letteralmente vomitato sulla riva. Ed è lì che tutto cambia. Non è più lo stesso uomo che era salito su quella nave. È un uomo nuovo, rinato, pronto finalmente a compiere la sua missione.

    Adesso sì, si mette in cammino. Attraversa la grande città di Ninive, rischia la vita, proclama la Parola… e assiste a qualcosa di incredibile: un’intera città si converte. Un popolo intero che si rialza e cambia vita, grazie a un uomo che ha smesso di fuggire.

    E tu? Quante volte hai provato a scappare? A dire “non ce la faccio”, “non è per me”, “troppo difficile”? Quante tempeste hai affrontato? Quante volte ti sei sentito inghiottito da qualcosa di più grande di te?

    Eppure… c’è speranza. Sempre.

    Tre giorni e tre notti nel ventre di un pesce… ti ricordano qualcosa? La morte e la risurrezione. Il buio prima della luce. La fine che si trasforma in un nuovo inizio. Anche per te.

    Dio non ti chiede di essere perfetto, ma di fidarti. Di alzarti. Di smettere di guardare la vita dal balcone e di camminare nel mondo. Perché chi rischia per amore di Dio, non perde: trova. Trova sé stesso. Trova la sua vera vita.

    E allora, cosa vuoi fare? Continuare a scappare o lasciarti sorprendere? Perché, credimi, se decidi di fidarti… la tua storia diventerà un capolavoro #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Il profeta Giona”, icona ortodossa

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  • Il Padre Nostro

    Il Padre Nostro

    Un sentimento così potente da sfidare lo spazio e il tempo, da attraversare l’infinito e giungere fino al cuore di Dio. Un ponte invisibile, eppure indistruttibile, tra il Creatore e le sue creature. Questa è la preghiera.

    Il mio in(solito) commento a:
    Voi dunque pregate così (Matteo 6,7-15)

    C’è una preghiera che scorre nelle nostre vene, che abita ogni battito del nostro cuore: il Padre nostro. È parte di noi, quasi come un respiro. E quando la paura ci stringe, quando il mondo sembra crollarci addosso, ecco che quelle parole riaffiorano spontanee, come il richiamo di un figlio al padre. Perché è così che siamo fatti: quando ci troviamo in difficoltà, cerchiamo l’abbraccio di Dio.

    Ma Gesù ci insegna qualcosa di straordinario: non servono parole lunghe o formule perfette. La preghiera più potente non nasce dalla mente, ma dal cuore.

    Pregare è un po’ come amare. Puoi sforzarti di descriverlo, ma nessuna parola sarà mai abbastanza. L’amore lo senti scorrere dentro: è un battito che accelera, un respiro che si fa profondo, un brivido che incendia l’anima. Basta pensare a chi ami, e tutto dentro di te si accende.

    E con Dio è lo stesso. Quando lo ami davvero, non servono discorsi: basta un pensiero, un palpito, un sussurro dell’anima. Un solo istante e il nostro cuore diventa preghiera, un soffio che supera ogni distanza e arriva fino a Lui.

    Una preghiera può essere piccola come un seme, eppure contenere la forza di un miracolo. Può essere un gemito, un sospiro, una lacrima trattenuta: e Dio la raccoglie, perché con il cuore non si può mentire. Le parole si possono addomesticare, i battiti no.

    San Paolo lo sapeva bene: “Lo Spirito intercede per noi con gemiti inesprimibili” (Romani 8,26). E Sant’Agostino ci rassicura: “Se tu desideri sempre, tu preghi sempre”.

    Allora non affannarti a cercare parole giuste. Il tuo cuore sa già come parlare a Dio. Basta solo lasciarlo fare #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Cristo nel Getsemani”, di Carl Heinrich Bloch, 1879, olio su rame, Frederiksborg Castle, Hillerod, Denmark

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  • Tu sei nato per brillare!

    Tu sei nato per brillare!

    Noi siamo nati per brillare: “Voi siete la luce del mondo” (Matteo 5,14). Per brillare con Lui (Dio). E per brillare con lui, il nostro prossimo. Perché tutto quello che facciamo per uno solo dei nostri fratelli più piccoli, lo facciamo a Cristo stesso

    Il mio decisamente in(solito) commento a:
    Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me (Matteo 25,31-46)

    Ci sarà un giorno, e non sappiamo quando, in cui Gesù smetterà di camminare accanto a noi. Ma non fraintendermi: non sarà un addio, non sarà un trono lontano che ci osserva da una distanza siderale. No, Lui non ci lascerà mai, perché, come scrive San Paolo: “Consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti” (cfr. 1Corinzi 15,20-26.28).

    I versetti che la Liturgia ci propone oggi parlano del Giudizio Universale. Un concetto che può fare paura, ma che vorrei raccontarti in un modo diverso. Perché quando San Paolo dice che Dio sarà tutto in tutti… cosa significa davvero?

    La teoria che esprimo oggi richiede uno sforzo di immaginazione, ma è piuttosto semplice da comprendere. Devi sapere che dentro di te brilla una scintilla di Dio: la tua anima. Un frammento di luce eterna. In alcuni risplende come un faro nella notte, una lampada che guida non solo il proprio cammino, ma anche quello di chi ha vicino. In altri, invece, la vita ha alzato una coltre di fumo: dolori, errori, delusioni. Ma sai una cosa? Anche dietro la nebbia più fitta, la luce non si spegne. Quella fiamma, per quanto piccola, è parte di Dio. Anzi, è Dio: “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4), ci dice Gesù.

    Il filosofo Plotino diceva che l’anima umana è una scintilla di divinità. E, in fondo, cosa desidera una scintilla, se non tornare al fuoco da cui è scaturita? Forse hai già sentito questa mia idea: Dio, il Creatore, ha dato inizio al mondo con un Big Bang. Ma non uno qualunque: un’esplosione d’amore. Da quell’amore si è formata la materia. Da quell’amore siamo nati noi. E quella fiamma che ci portiamo dentro non fa che ricordarcelo: siamo fatti per Dio. “Voi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo” (Salmo 82,6).

    Per questo, per quanto possiamo sbagliare, dentro di noi ci sarà sempre un anelito che ci spinge verso il Padre. Guardiamo la storia: San Disma, il buon ladrone, si è aggrappato alla salvezza all’ultimo istante (cfr. Lc 23,39-43). Zaccheo, disonesto e arricchito alle spalle degli altri, ha cambiato rotta quando ha visto Gesù (Lc 19,1-10). Il figliol prodigo è tornato a casa (cfr. Lc 15,11-32). La Samaritana ha trovato in Cristo l’acqua viva che spegne la sete più profonda (cfr. Gv 4,1-26). Perché? Perché l’anima è inquieta finché non riposa in Lui, ci dice Sant’Agostino.

    E in Paradiso? Sant’Anselmo di Canterbury lo descrive così: “Nessuno avrà altro desiderio se non quello che Dio vuole; e il desiderio di uno sarà il desiderio di tutti”. Il Paradiso non è un luogo lontano. Il Paradiso è Dio. Il Paradiso saremo noi, quando torneremo a essere una cosa sola con Lui.

    Scintille di luce che si riuniranno nel fuoco dell’Amore da cui provengono. E allora, ecco l’immagine che ci regala l’Apocalisse:

    “Mi mostrò un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni. E non vi sarà più maledizione. Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli” (Apocalisse 22,1-5).

    Ci vuoi entrare in questa città? Vuoi viverci per sempre? Gesù ci ha lasciato la chiave: “Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (cfr. Mt 25,31-46).

    Ecco il segreto: Dio è in chi ci sta accanto. Anche nel più povero, nel più piccolo, in chi ha meno di noi. Ogni volta che rifiutiamo qualcosa a lui, lo rifiutiamo a Lui.

    Noi siamo nati per brillare: “Voi siete la luce del mondo” (Matteo 5,14). Per brillare con Lui. E per brillare con lui, il nostro prossimo. Perché tutto quello che facciamo per uno solo dei nostri fratelli più piccoli, lo facciamo a Cristo stesso (cfr. Mt 25,40).

    Lo riconosci? È il comandamento più grande. Quello che regge l’universo intero: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Ama il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti” (cfr. Matteo 22,37-40).

    Non sprecare la luce che Dio ti ha donato. Non permettere che si spenga. Portala a risplendere con Lui, per sempre #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Il trionfo del Cristianesimo sul paganesimo”, di Gustave Doré, 1868, olio su tela, 300×200 cm, The Joey and Tobey Tanenbaum Collection, 2002. Art Gallery of Hamilton, Ontario

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  • Non lasciare spazio al demonio!

    Non lasciare spazio al demonio!

    Quando il diavolo ci mette lo zampino… Oggi ti darò due potentissime armi per allontanare il Male dal tuo cammino

    Il mio in(solito) commento a:
    Gesù fu guidato dallo Spirito nel deserto e tentato dal diavolo (Luca 4,1-13)

    Hai mai provato quella strana sensazione? Tutto fila liscio, sei felice, magari hai appena fatto del bene e il cuore ti scoppia di gioia. Poi, all’improvviso, come se qualcuno avesse premuto un interruttore nascosto, le cose iniziano ad andare storte. Prima un piccolo inciampo, poi un ostacolo più grande. E alla fine, sembra che tutto il mondo si accanisca contro di te. Coincidenze? No, la sfortuna non c’entra. Quando il buio arriva proprio mentre stavi camminando nella luce, c’è una buona possibilità che sia il Maligno a metterci lo zampino.

    Sì, perché il demonio non dà fastidio a chi segue la corrente, ma a chi nuota contro. Se fai il bene, se scegli di stare dalla parte giusta, lui lo sente… e si infastidisce. Il suo scopo? Fermarti, metterti i bastoni tra le ruote, farti cedere, farti arrendere. Ti è mai successo?

    A San Giovanni Bosco capitava continuamente. Ho visitato le sue “Camerette”, presso l’oratorio di Valdocco a Torino e ho visto il suo letto: altissimo, così alto che doveva usare uno sgabello per salirci. Perché? Perché il demonio glielo scuoteva, lo tirava, lo sollevava. Lo racconta lui stesso: «Le coperte si muovevano da sole, il capezzale ondeggiava, il letto veniva scosso da una potenza invisibile». Eppure Don Bosco non si lasciava intimorire. Faceva il segno della croce e tutto cessava. E… perché un letto così alto? Perché prima di coricarsi don Bosco soleva controllare bene che sotto non ci fosse nessuno.

    Ecco il segreto: non dargli spazio. Ignoralo. Non lasciarti travolgere da rabbia, paura, scoraggiamento. Perché più ti spaventi, più lui trova un varco per entrare. Ma se resti saldo, se non ti lasci turbare, il suo potere svanisce nel nulla. Perché il male è così: potente solo se gli diamo potere.

    Recita con me (e ripetilo tutte le volte in cui senti avvicinarsi qualche ostacolo):

    Il Signore è il mio pastore:
    non manco di nulla;
    su pascoli erbosi mi fa riposare,
    ad acque tranquille mi conduce.
    Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
    per amore del suo nome.
    Se dovessi camminare in una valle oscura,
    non temerei alcun male, perché tu sei con me.
    Il tuo bastone e il tuo vincastro
    mi danno sicurezza.
    Davanti a me tu prepari una mensa
    sotto gli occhi dei miei nemici;
    cospargi di olio il mio capo.
    Il mio calice trabocca.
    Felicità e grazia mi saranno compagne
    tutti i giorni della mia vita,
    e abiterò nella casa del Signore
    per lunghissimi anni
    .
    (Salmo 22)

    Perfino Gesù fu tentato dal demonio. Dio avrebbe potuto evitarlo? Certo. Ma Lui ha scelto di sperimentare la nostra stessa lotta, di sentire su di sé il peso della prova, per poterci dire: “Ti capisco. So cosa provi. Sono con te.”

    Dio non sta su un piedistallo, non osserva da lontano. È qui, accanto a te, nelle tue notti più buie, nei tuoi deserti più aridi. Quando cadi, quando sbagli, quando ti senti perso… Lui è lì, più vicino che mai: «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me». Dio è sempre con noi, ma c’è un momento in cui si fa ancora più vicino: l’istante in cui sbagliamo.

    San Paolo lo scrive chiaramente: «Poiché egli stesso ha sofferto quando è stato tentato, può venire in aiuto di coloro che sono tentati» (Ebrei 2,18).

    Essere tentati non significa cedere. Significa essere messi alla prova. E proprio nelle prove, Gesù è il primo a tenderti la mano. Non temere. Non sei solo.

    Concludo con il Salmo 90: un’autentica preghiera di liberazione e di protezione, in cui scopriamo che Dio è un rifugio sicuro nel giorno della tempesta e che chi si affida a Lui non deve preoccuparsi. Leggi a voce alta questi versi ogni volta che ti senti attaccato:

    Tu che abiti al riparo dell’Altissimo
    e dimori all’ombra dell’Onnipotente,
    di’ al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,
    mio Dio, in cui confido».

    Egli ti libererà dal laccio del cacciatore,
    dalla peste che distrugge.
    Ti coprirà con le sue penne
    sotto le sue ali troverai rifugio.

    La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza;
    non temerai i terrori della notte
    né la freccia che vola di giorno,
    la peste che vaga nelle tenebre,
    lo sterminio che devasta a mezzogiorno.

    Mille cadranno al tuo fianco
    e diecimila alla tua destra;
    ma nulla ti potrà colpire.

    Solo che tu guardi, con i tuoi occhi
    vedrai il castigo degli empi.
    Poiché tuo rifugio è il Signore
    e hai fatto dell’Altissimo la tua dimora,
    non ti potrà colpire la sventura,
    nessun colpo cadrà sulla tua tenda.
    Egli darà ordine ai suoi angeli
    di custodirti in tutti i tuoi passi.

    Sulle loro mani ti porteranno
    perché non inciampi nella pietra il tuo piede.
    Camminerai su aspidi e vipere,
    schiaccerai leoni e draghi.


    Lo salverò, perché a me si è affidato;
    lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome.
    Mi invocherà e gli darò risposta;
    presso di lui sarò nella sventura,
    lo salverò e lo renderò glorioso.

    Lo sazierò di lunghi giorni
    e gli mostrerò la mia salvezza.

    (Salmo 90)

    #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    L’immagine di oggi è: “Miniatura di Cristo che pratica un esorcismo”, Matteo da Milano, 1520, 7,7 x 6,7 cm, collezione Jeanne Miles Blackburn, Londra

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  • Come mai Dio ama anche i peccatori?

    Come mai Dio ama anche i peccatori?

    Posso darti un consiglio? Quando un peccato ti tormenta, non continuate a biasimarti (è il demonio che ti vuole ancorare al male commesso), ma prova a migliorarti, consapevole di quell’amore immenso che viene da Dio, corri a tuffarti tra le sue braccia e confessati: non temere, egli non ti giudicherà, ma cancellerà il tuo peccato e sarà Lui stesso il primo a dimenticarsene, perché tutto torni proprio come prima!

    Il mio in(solito) commento a:
    Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano (Luca 5,27-32)

    Discorre con una peccatrice al pozzo, salva un’adultera dalla lapidazione, si lascia lavare e baciare i piedi da una donna dal passato discutibile, cena con un truffatore con la passione di salire sugli alberi e arriva a promettere il Paradiso ad un ladro in procinto di scontare una condanna a morte. Ho citato soltanto alcuni degli episodi più eclatanti. Momenti che, vissuti 2000 anni fa, avranno fatto scandalizzare l’intera casta dei farisei! Certo che Dio è “strano”. Il suo modo di pensare e di agire è così diverso dal nostro, che spesso ci risulta difficile da comprendere: sono innumerevoli i casi in cui Cristo “…un mangione e un beone, amico dei pubblicani e peccatori” (cfr. Matteo 11,19) si relaziona con persone “difficili”anche se hanno commesso parecchi erroriEntra nelle loro vite e le trasforma, liberando i peccatori dal pesante giogo della loro colpa e trasformandoli in persone “normali”, capaci di amare e vivere esistenze “normali”, senza trascinarsi dietro scomodi fardelli legati alla propria anima.

    Dio, che poteva restare a godersi le sue “comodità” nei cieli, ha deciso di scendere sulla terra, di incarnarsi e vivere un’esistenza difficile. Una vita in mezzo agli ultimi, nascendo in una mangiatoia, al freddo ed al gelo. Rischiando ripetutamente la propria vita, fino a perderla per noi, che lo abbiamo rinnegato, vituperato, schiaffeggiato ed abbiamo permesso che lo inchiodassero ad una croce senza opporre alcuna resistenza, anzi, preferendogli Barabba, un ribelle tumultuoso colpevole di omicidio! Lo stesso Dio, che fa questo per amore, non può non amare le proprie creature! E così Gesù si è fatto carne per camminare in mezzo a noi. Si è fatto uomo per vivere in mezzo a noi. Per salvarci. Per guarirci. Per liberarci dal male. Per portarci a vivere insieme a Lui.

    No. Gesù non è venuto sulla terra per dare una pacca sulle spalle ai migliori. Ma per restare più vicino a chi ne ha bisogno, a chi soffre e si lamenta, a chi cerca luce lontano da Lui. A chi cerca, nella vita, quel surrogato di Dio che è la finta felicità, quella che sorride, ma non scalda il cuore. Quella che fa star male e stordisce. Quella che ci porta sulla cattiva strada. Ma Dio non lo può permettere.

    Egli è il buon Pastore che non esita a lasciare il gregge di novantanove pecore per inoltrarsi nel deserto a cercare l’unica che si è smarrita. Perché Dio è così: non sa stare lontano da noi. E, quando siamo noi ad allontanarci, o perché non lo riconosciamo, o perché desideriamo la libertà di poter sbagliare con le nostre stesse mani, allora Gesù si fa ancora più vicino. Fa di tutto per riconciliarsi con noi, ci risolleva e ci conforta.

    Mi piace ricordare una mirabile pagina del Trattato della vera devozione a Maria, di san Luigi di Montfort, che proclama la fede cristologica della Chiesa: “Gesù Cristo è l’Alfa e l’Omega, ‘il Principio e la Fine’ di ogni cosa. […]. Egli è il solo maestro che deve istruirci, il solo Signore dal quale dipendiamo, il solo capo al quale dobbiamo essere uniti, il solo modello cui dobbiamo rassomigliare, il solo medico che ci deve guarire, il solo pastore che ci deve nutrire, la sola via che ci deve condurre, la sola verità che dobbiamo credere, la sola vita che deve vivificarci, il solo tutto che ci deve bastare in ogni cosa. […]. Ogni fedele che non è unito a Cristo come il tralcio alla vite cade, secca e serve solo ad essere gettato nel fuoco. Se invece siamo in Gesù Cristo e Gesù Cristo in noi, non c’è più nessuna condanna da temere. Né gli angeli del cielo, né gli uomini della terra, né i demoni dell’inferno, né alcun’altra creatura potrà farci del male, perché non potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Gesù Cristo. Tutto possiamo per Cristo, con Cristo e in Cristo; possiamo rendere ogni onore e gloria al Padre nell’unità dello Spirito Santo; possiamo diventare perfetti ed essere profumo di vita eterna per il prossimo” (n. 61).

    Ecco un Dio misterioso, che ci ama, a prescindere dai nostri limiti e dai nostri peccatiChe ci insegna ad essere misericordiosi con gli altri, fossero questi anche i nostri peggiori nemiciE ad essere misericordiosi con noi stessi, anche quando cadiamo nel più abominevole dei peccatiPerché Dio ci ama. Ed abita dentro di noi. Perché “ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Luca 15,7). No, Dio non viene a giudicare, ma per amare. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Cristo di San Giovanni della Croce” di Salvador Dalì, 1951, olio su tela, cm 205×116, Kelvingrove Art Gallery and Museum di Glasgow, in Scozia.

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  • Digiuno? Sì, ma dal peccato!

    Digiuno? Sì, ma dal peccato!

    Sai, il digiuno è molto più antico di Gesù. Già si praticava da secoli quando Lui camminava tra noi. Ma leggendo questo Vangelo, sembra quasi che Cristo ci inviti a qualcosa di diverso

    Il mio in(solito) commento al Vangelo:
    Quando lo sposo sarà loro tolto, allora digiuneranno (Matteo 9,14-15)

    Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare»” (v. 19). E Gesù, in questo momento, è con te: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Matteo 28,20). Ma allora: digiuniamo o non digiuniamo?

    Un testo antichissimo, “Il Pastore di Erma” (prima metà del II secolo d.C.) riporta questa osservazione: “Dio non vuole questo tuo digiuno inutile. Perché digiunando in questo modo per il Signore, tu non fai niente per la giustizia. Digiuna, invece, per il Signore in questo modo: non far nulla di male nella tua vita e servi il Signore con cuore puro; obbedisci ai suoi comandamenti, nessun desiderio cattivo nasca nel tuo cuore. … Se tu agirai così, porterai a buon fine un digiuno importante e gradito a Dio” (Il pastore di Erma 54).

    Ma allora dobbiamo digiunare o no? Digiunare o mangiare con moderazione in tempo di Quaresima non ci farà certo male se siamo in buona salute. E sarà un buon modo per ricordare i quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto, dopo il Battesimo nel Giordano, prima di iniziare il suo ministero pubblico. Ma anche i quaranta giorni e le quaranta notti di pioggia del diluvio universale, i quaranta giorni passati da Mosè sul monte Sinai, i quaranta giorni che impiegarono gli esploratori ebrei per la ricognizione della terra in cui sarebbero entrati, i quaranta giorni di cammino del profeta Elia per giungere al monte Oreb, i quaranta giorni di tempo che, nella predicazione di Giona, Dio dà a Ninive prima di distruggerla e, non ultimi, i quarant’anni trascorsi da Israele nel deserto. Sono tutti episodi che hanno a che fare con il sacrificio e, in qualche misura con il digiuno. Dunque, non è tutta responsabilità di quel monaco del 300 d.C. se oggi ancora in Quaresima noi cattolici digiuniamo. In fondo il digiuno era un rito di purificazione a cui spesso si ricorreva per rafforzare la preghiera prima di un avvenimento importante. Di questo troviamo numerose tracce nell’Antico Testamento.

    Il Vangelo di oggi ci aiuta ad orientarci. Lo sposo è Gesù, il Messia tanto atteso, che si è rivelato al popolo come Figlio di Dio. In presenza dello sposo non si digiuna. Perché la presenza di Cristo ci riempie, ci offre una meta, dà un senso alla nostra esistenza che altrimenti sarebbe vuota. Nei quattro Vangeli incontriamo spesso Gesù banchettare (e spesso notiamo che lo fa con peccatori e pubblicani, le pecore smarrite da ricondurre all’ovile). Perché il Vangelo è buona notizia, è gioia, è vita. Il digiuno invece richiama in noi un senso di vuoto, di mancanza, ma anche di penitenza. Il digiuno simboleggia il privarsi di tutto ciò che occupa il posto di Dio e degli atteggiamenti arroganti che distruggono la relazione con Dio e con i fratelli. Dunque, ben venga il digiuno!

    In chiusura vorrei ricordare un frammento del discorso di San Giovanni Paolo II ai giovani riuniti in Piazza San Pietro nel marzo del 1979: “Il digiuno è un simbolo, è un segno, è un richiamo serio e stimolante ad accettare o compiere rinunce. Quali rinunce? Rinuncia all’’io’, cioè a tanti capricci o aspirazioni malsane; rinuncia ai propri difetti, alla passione irruente, ai desideri illeciti”. “Digiuno è saper dire “no”, secco e deciso, a quanto viene suggerito o chiesto dall’orgoglio, dall’egoismo, dal vizio, dando ascolto alla propria coscienza, rispettando il bene altrui, mantenendosi fedeli alla santa Legge di Dio. Digiuno significa porre un limite ai tanti desideri, talora buoni, per avere il pieno dominio di sé, per imparare a regolare i propri istinti, per allenare la volontà nel bene”. Digiuno, afferma ancora San Giovanni Paolo II, significa privarsi di qualcosa “per sovvenire alla necessità del fratello, diventando, in tal modo, esercizio di bontà, di carità”. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Cristo benedicente”, di Carlo Dolci, 1649, olio su metallo, 43,2×26 cm, Museo del Louvre, Parigi

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