Boanerghes significa “figli del tuono”. E che Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, “tuonassero” spesso lo scopriamo leggendo i quattro Vangeli.
Il mio in(solito) commento a:
Il mio calice, lo berrete (Matteo 20,20-28)
Un po’ avventati. Parlano con la spavalderia dei giovani che hanno molto coraggio da vendere, ma anche molta esperienza da acquisire. San Giovanni evangelista e San Giacomo il Maggiore condividono molti tratti del loro carattere con quello di San Pietro. Forse è proprio questo essere “oltre le righe” che li rende simpatici a Gesù, che spesso li sceglie come testimoni di molti eventi straordinari, come la Trasfigurazione, o la preghiera al Monte degli Ulivi. Ma qui, ad andare fuori dalle righe, è la loro madre Salomè che, rivolgendosi a Gesù, chiede: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno» (v. 21). Un affronto. Una mancanza di tatto imperdonabile. Eppure Dio sa scrivere bene anche sulle righe storte. Davanti ad una scena che avrebbe fatto perdere la pazienza a chiunque di noi, Gesù non solo non si scompone, ma costruisce un’opportunità per insegnarci qualcosa: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (vv. 25-28).
E così impariamo la teologia del grembiule, quella che oggi Gesù ci insegna con la pazienza e, qualche giorno dopo, ci ripeterà con amore, inginocchiandosi davanti a noi, cingendosi i fianchi con un asciugatoio, lavandoci via dai piedi la polvere che abbiamo raccolto lungo questa strada faticosa. E, con essa, lavando via i nostri peccati.
Tra i peccati che dobbiamo lavar via, forse, potrebbe anche far capolino la tentazione di criticare l’atteggiamento dei due apostoli. Abbiamo un po’ preso in giro i due figli di Zebedeo, ma non dobbiamo dimenticare che loro sono davvero diventati grandi: San Giovanni, infatti, ci ha lasciato il quarto Vangelo (concedetemi un parere personale: il più bello dei Vangeli), oltre al libro che chiude tutta la Bibbia ed apre l’orizzonte per mostrarci Dio: l’Apocalisse. Mentre San Giacomo, dopo la Risurrezione di Gesù, si mise in cammino e giunse in Spagna, portando il Vangelo in ogni città che attraversava. Se non è grandezza questa! Però, anche i più grandi, per diventarlo, devono crescere. Così, i figli di Zebedeo, restando accanto a Gesù, ebbero l’occasione di far entrare dentro i loro cuori i semi della grandezza, seminati dallo stesso Figlio di Dio, attraverso la Parola. Ed ecco che anche noi abbiamo questa possibilità: crescere dentro, permettendo ai semi della Parola di attecchire nel terreno fertile del nostro cuore, per crescere, crescere, poi ancora crescere…
Ma è qui, lungo questa strada polverosa, che Gesù insegna a tutti noi un’altra cosa. Un aspetto che, ad una lettura superficiale, potrebbe passare inosservato. Scopriamolo insieme: abbiamo visto che Gesù non si scompone davanti alla pretesa di far sedere Giacomo e Giovanni, l’uno alla sua sinistra, l’altro alla sua destra. È un desiderio comprensibile, “umanamente” comprensibile, ma non è la strada di Gesù. È un’altra strada: a noi interessa primeggiare. È la via del mondo. Qui, su questo cammino pieno di sabbia, Gesù ci dice che la sua strada è quella del servizio, di chi si china su chi ha bisogno e gli tende la mano, senza calcoli, senza timore, con tenerezza e comprensione, così come lui si è chinato a lavare i piedi agli apostoli. Com’è diversa la strada di Gesù da quella degli uomini!
Capiamo così che non sempre i nostri desideri coincidono con quelli di Dio. Ma Dio si è fatto carne per dirci che ci ama proprio qui, nelle nostre fragilità, nelle nostre debolezze. Ecco che ama Salomè, Giacomo e Giovanni, nonostante il loro scivolone. Anzi, li ama di più proprio per questo. Così come ama noi, in ogni istante della nostra vita. In ogni momento, anche quando sbagliamo. Anche quando pecchiamo. Egli è qui e ci accoglie nel suo amore. Anche per questo si china su di noi per servirci. E desidera che anche noi ci serviamo l’un l’altro. Per amarci. come Lui ha amato noi #Santanotte
Alessandro Ginotta
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