Profeta è colui che vede lontano, usando gli occhi di Dio
Il mio in(solito) commento a:
Impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto (Matteo 12,14-21)
L’Antico ed il Nuovo Testamento si fondono in questo brano dell’evangelista Matteo, che cita il Primo Canto del servo di Javhé, del profeta Isaia (Isaia 42,1-4):
“Allora i farisei uscirono e tennero consiglio contro di lui per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti 16e impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:
Ecco il mio servo, che io ho scelto;
il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento.
Porrò il mio spirito sopra di lui
e annuncerà alle nazioni la giustizia.
Non contesterà né griderà
né si udrà nelle piazze la sua voce.
Non spezzerà una canna già incrinata,
non spegnerà una fiamma smorta,
finché non abbia fatto trionfare la giustizia;
nel suo nome spereranno le nazioni”
(Mt 12,14-21)
E’ sorprendente come il profeta Isaia abbia saputo descrivere, 500 anni prima di Cristo, la figura del Messia. Sono quattro i “Canti del servo di Javhé” e risalgono al 550-539 a.C.
Potremmo definire quella di Isaia come una vera e propria profezia avverata: un quadro così aderente e fedele che si direbbe ritratto avendo sotto gli occhi gli avvenimenti della Pasqua di Cristo. Già la descrizione del battesimo nel Giordano permette di stabilire un parallelismo con i testi di Isaia. Scrive Matteo: “Appena battezzato (Gesù) . . . si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui” (Mt 3, 16); in Isaia è detto: “Ho posto il mio spirito su di lui” (Is 42, 1). Giovanni Battista indica Gesù che si avvicina al Giordano, con le parole: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo” (Gv 1, 29), esclamazione che rappresenta quasi una sintesi del contenuto del terzo e del quarto Carme sul servo di Jahvè sofferente. Dove voglio arrivare con queste citazioni, amici cari? Mi piace far notare come la Bibbia contenga un tesoro inesauribile. Parole scritte secoli prima che improvvisamente acquistano significato. Ecco la ricchezza della Parola di Dio: una Parola sempre viva, che ci parla e ci fa riflettere. Una Parola che solo apparentemente è immutabile, ma che, di volta in volta, ci stimola con l’uno o l’altro versetto, ci offre la soluzione ai nostri problemi di oggi e di domani. Scrive San Paolo: «La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio» (Eb 4, 12).
Ma chi è un “profeta”? Il termine profeta deriva dal greco: pro-phemi, “parlare al posto di”, cioè colui che parla in nome di Dio. Ma esiste un termine ancora più antico in uso nella lingua ebraica, che è: nabi, “chiamato”, “inviato”. Ecco che il profeta è una persona chiamata da Dio per parlare in suo nome. Dunque, non è un “indovino” che prevede il futuro, né un “mago”, ma è uno strumento di Dio: un uomo comune che presta la voce al Signore.
È lo stesso profeta Isaia a raccontare la sua vocazione: egli ebbe una visione e si preoccupò: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure, i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti” (Isaia 6,5). Ma sarà un angelo, un serafino, a purificare il labbro del profeta: “Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato»” (Isaia 6,6-7). E’ questo che fa Dio: ci “pesca” (cfr. Luca 5,1-11) tra gli altri uomini, gente comune, peccatori, come tutti, con i difetti che ciascuno di noi si porta dentro, e ci assegna una missione. Ci purifica. Ci offre in dono quello che ci manca per adempierla. E poi sarà nostro compito portare a termine questo incarico.
Così come Isaia, ormai quasi tremila anni fa, iniziò a preparare il mondo alla venuta del Signore, anche noi, donne e uomini comuni del terzo millennio, siamo chiamati da Dio: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Marco 16,15). È quanto ci chiede Gesù, è il compito che assegna a ciascuno di noi. Sì, Cristo chiama tutti noi ad essere profeti: il profeta è colui che prega, ascolta Dio, vive la sua Parola e la mette in pratica, conformando la propria vita agli insegnamenti del Vangelo, per diventarne egli stesso una pagina vivente. Il profeta guarda la sua gente, sente dolore quando il popolo sbaglia, ma non lo giudica ma spalanca le porte guardando l’orizzonte della speranza e rinnova, nel cuore di chi lo ascolta, l’immagine di quel Dio che ci ha Creati, amati e resi liberi. Perché noi, liberamente lo possiamo amare.
Guardate, amici cari: Gesù non getta via la canna incrinata, ma se ne prende cura e la ripara perché la si possa riutilizzare, non butta via lo stoppino che sfrigola perché la fiamma si sta spegnendo, ma aggiunge olio alla lampada perché questa possa tornare a fare luce. E così fa con noi: ogni volta che sbagliamo ci perdona e cerca di insegnarci a non ripetere i nostri errori. Ogni volta che la nostra luce sta per spegnersi, Egli soffia su di noi lo Spirito Santo per alimentarla. È questo il Dio fattosi Uomo che cammina in mezzo agli uomini per “aggiustarli”. Il Dio che non si stanca di vagare nel deserto alla ricerca anche di quell’unica pecorella che si è smarrita. Il Dio che starà con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.
#Santanotte amici, lo Spirito Santo soffi sempre sulla fiammella che è custodita nel vostro cuore, perché è lì che si ferma e si conserva la Parola di Dio, che cresce come un seme dentro di noi. Un seme che produrrà frutto, quando lo doneremo a chi ci sta accanto. Dio vi e ci benedica amici cari 🙂 🙂 🙂
Alessandro Ginotta
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