Un Vangelo stridente segna tutta la distanza tra la nostra piccolezza e la grandezza di Dio
Il mio in(solito) commento a:
Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti (Marco 10,35-45)
Il caldo è opprimente. Cumuli di sabbia fanno mulinello lungo la strada che, curva dopo curva, risale dal Giordano al crinale dove sorge la città di Gerusalemme. Qua e là, qualche timido ciuffo d’erba si insinua, quasi a rompere il deserto, tra una roccia ed un burrone. Un’atmosfera densa di presagio accoglie il racconto di Gesù che, insieme ai discepoli, sta per raggiungere la città dove si compirà il suo destino: «il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (v. 45). Eppure, insieme al comprensibile sconcerto, tra chi segue Gesù, serpeggia anche un sentimento tanto inatteso quanto inopportuno: l’orgoglio.
Qui assistiamo a tutta la distanza tra la piccolezza dei “figli del tuono” (così erano soprannominati gli “irruenti” fratelli Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo) e la grandezza del Figlio di Dio. Si credono grandi, i due fratelli, e pronti a sedere l’uno alla destra, l’altro alla sinistra di Gesù. Oggi forse chiameremmo questo “effetto Dunning-Kruger“, secondo il quale, individui poco esperti e competenti in un campo, tendono a sopravvalutare le proprie abilità autovalutandosi, a torto, esperti in materia. Come corollario di questa teoria, spesso gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti. David Dunning e Justin Kruger sono due psicologi americani e, recentemente, sono diventati piuttosto noti, proprio per aver sottolineato questo fenomeno, che, in realtà, era già conosciuto ai tempi di Shakespeare, che in “Come vi piace” scrive: «Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio».
Chi di noi non lo ha mai sperimentato? Non è forse vero che i massimi esperti di strategia calcistica si ritrovano al bar? E che dire dei commenti che dilagano sui social, dove chiunque si improvvisa ora medico, ora economista, ora statista pronto a sostenere le proprie tesi a qualunque costo?
Ma Gesù, in questo brano, ci dà una bella lezione di “autentica grandezza”, dimostrando di amare anche chi sbaglia ed anche chi, come Giacomo e Giovanni, non è ancora capace di valutare correttamente le proprie capacità. La reazione di Gesù non è di insofferenza (come sarebbe umano attendersi) davanti a questo atteggiamento. E non è neppure di condanna. No. Gesù ama. Ama anche chi sbaglia. Ama anche il peggiore dei peccatori. Ed è sempre pronto a ricondurci sulla buona strada: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (vv. 42-44).
E così impariamo la teologia del grembiule, quella che oggi Gesù ci insegna con la pazienza e, qualche giorno dopo, ci ripeterà con amore, inginocchiandosi davanti a noi, cingendosi i fianchi con un asciugatoio, lavandoci via dai piedi la polvere che abbiamo raccolto lungo questa strada faticosa. E, con essa, lavando via i nostri peccati.
E, tra i peccati che dobbiamo lavar via, forse, potrebbe anche far capolino la tentazione di criticare l’atteggiamento dei due apostoli. Abbiamo un po’ preso in giro i due figli di Zebedeo, ma non dobbiamo dimenticare che loro sono davvero diventati grandi: San Giovanni, infatti, ci ha lasciato il quarto Vangelo (concedetemi un parere personale: il più bello dei Vangeli), oltre al libro che chiude tutta la Bibbia ed apre l’orizzonte per mostrarci Dio: l’Apocalisse. Mentre San Giacomo, dopo la Risurrezione di Gesù, si mise in cammino e giunse in Spagna, portando il Vangelo in ogni città che attraversava. Se non è grandezza questa! Però, anche i più grandi, per diventarlo, devono crescere. Così, i figli di Zebedeo, restando accanto a Gesù, ebbero l’occasione di far entrare dentro i loro cuori i semi della grandezza, seminati dallo stesso Figlio di Dio, attraverso la Parola. Ed ecco che anche noi abbiamo questa possibilità: crescere dentro, permettendo ai semi della Parola di attecchire nel terreno fertile del nostro cuore, per crescere, crescere, poi ancora crescere…
Qui, lungo questa strada polverosa, Gesù ci insegna che non è affatto importante essere “i primi”. No, quella di Gesù è un’altra strada. A molti di noi interessa primeggiare, ma questa è la via del mondo. E qui, su questo cammino pieno di sabbia, Gesù ci dice che la sua strada è quella del servizio, di chi si china su chi ha bisogno e gli tende la mano, senza calcoli, senza timore, con tenerezza e comprensione, così come lui si è chinato a lavare i piedi agli apostoli. Com’è diversa la strada di Gesù da quella degli uomini!
Capiamo così che non sempre i nostri desideri coincidono con quelli di Dio. Ma Dio si è fatto carne per dirci che ci ama proprio qui, nelle nostre fragilità, nelle nostre debolezze. Ecco che ama Giacomo e Giovanni, nonostante il loro scivolone. Anzi, li ama di più proprio per questo. Così come ama noi, in ogni istante della nostra vita. In ogni momento, anche quando sbagliamo. Anche quando pecchiamo. Egli è qui e ci accoglie nel suo amore. Anche per questo si china su di noi per servirci. E desidera che anche noi ci serviamo l’un l’altro. Per amarci. come Lui ha amato noi.
#Santanotte amici. Dio ci aiuti a capire che la strada più giusta per noi, non sempre è quella che stiamo percorrendo. Ci dia la forza di resistere al nostro orgoglio e di scoprire l’amore che si cela nello stare accanto al nostro prossimo, a chi più ha bisogno. Dio vi e ci benedica amici cari
Alessandro Ginotta
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