Un brano di Vangelo che sembra triste… ma invece è pieno di gioia. Quella di Gesù, quella della vita!
Il mio in(solito) commento a:
Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto (Giovanni 12,20-33)
Un seme. Una cosa minuscola che, sul palmo di una mano, quasi neppure si vede e il vento la può disperdere chissà dove. Eppure, quando il chicco incontra il terreno fertile, mette radici, germoglia, e può crescere fino a trasformarsi in un albero secolare alto come un palazzo. La pianta, salda e robusta, produrrà frutti che daranno nutrimento e, l’albero stesso, darà ombra e protezione agli uccelli, diventerà casa di animali. Non c’è migliore metafora per definire la Parola di Dio: quando raggiunge i cuori delle persone che la ascoltano e la mettono in pratica (cfr. Mt. 7,24) essa produce frutti nutrienti ed abbondanti. Non c’è migliore metafora per descrivere la vita di Gesù, seme che si è donato a noi totalmente con la morte in croce. E dopo la morte ha portato i frutti della Risurrezione e della salvezza. Ecco che iniziamo a capire che la morte non è la fine di tutto, ma parte di un percorso naturale di trasformazione: il seme che “muore” per generare la vita.
Un seme che, solo apparentemente è inerte, ma che porta già, dentro di sé, il germe della vita, muore per trasformarsi in pianta rigogliosa. Perché se noi guarderemo bene, dietro l’ombra della croce, già potremo vedere lo sfolgorare della luce della Risurrezione, che esplode nel Sepolcro.
L’accento non è sulla morte, ma sulla vita. L’obiettivo che ci propone Dio non è morire, ma produrre molto frutto. Perché la vera morte è la sterilità di chi non si dona, di chi non spende la propria vita, ma insiste per conservarla gelosamente per se stesso. Mentre chi mette davvero in gioco la propria vita, vivendola fino alla fine, offrendo le proprie capacità per il bene di tutti, genera frutti e vita abbondante, per sé e per gli altri. Come suggeriva il Beato Pier Giorgio Frassati: “Vivere, non vivacchiare!”.
Quale migliore metafora, allora, anche per indicare la vita umana. L’esistenza del buon cristiano, che deve morire a se stesso, morire al proprio peccato, al proprio egoismo, rinunciando al mondo, per seguire Gesù (cfr. Mc. 10,21).
Gesù ha bisogno di noi. Ha bisogno di persone sincere che, con la propria vita, diano il buon esempio. Persone assolutamente normali che conducono esistenze normali. Ma che nella loro quotidianità esprimano quei valori, quel modo di agire, quel modo di comportarsi, che Gesù ci ha sempre insegnato. Ecco che proprio uno studente, un operaio, un fornaio, un medico… sì, proprio ciascuno di noi, si può trasformare in una pagina vivente di Vangelo nel momento in cui ne incarna i contenuti. A queste persone normali, a noi, Dio ha fatto un dono. Ci sarà chi tra noi ha la capacità di parlare e convincere chi lo ascolta, chi ha la capacità di scrivere sapendo rapire l’attenzione del lettore, chi ha la capacità di curare determinate malattie, chi più sa amare, anche nelle situazioni più estreme, e così via… interroghiamoci, amici cari: qual è il dono che Dio mi ha fatto? Quale talento mi chiede di usare, di mettere a frutto, per fare del mio meglio ed aiutare il prossimo? La risposta a questa domanda contiene una certezza: qualsiasi sia il seme che Dio ha posato in me, il mio dovere è quello di farlo germogliare, crescere e fruttificare. Ecco che, anche oggi, come duemila anni fa, ci sono persone inviate da Dio (noi) nelle strade del mondo. Ecco che proprio noi dobbiamo farci portatori della Buona Novella non solo predicando… no… quello lo san fare tutti o quasi, ma… agendo. Perché con le nostre azioni, con il nostro vivere comune, noi possiamo davvero fare breccia nel cuore di chi vive lontano da Dio.
Anche noi, come gli apostoli, siamo chiamati ad agire senza contare sui beni materiali, ma soltanto sulla base della nostra conoscenza. Sulla forza che lo Spirito Santo ci comunica e ci aiuta a tirare fuori quando serve. Vi siete mai sorpresi a fronteggiare una situazione senza sapere da dove abbiate tratto le energie e le capacità per farlo? In quel caso, certamente è lo Spirito Santo che vi ha sorretti. E questa fiducia, la certezza che noi non siamo soli, che c’è Dio accanto a noi, ci deve sempre spronare a proseguire, a non arrestarci davanti al primo ostacolo, ma a perseverare nel nostro cammino.
Perché ci sono città che dobbiamo visitare. Ci sono case in cui dobbiamo entrare. Ci sono persone alle quali dobbiamo fare arrivare la nostra testimonianza. Gente che deve vedere come si può vivere osservando i nostri principi, adottando la nostra morale, il nostro stile di vita.
Perché il Signore cerca ciascuno di noi, non smette mai di provarci, invia sempre discepoli a bussare alla nostra porta, ed alla porta di chi si allontana. #Santanotte
Alessandro Ginotta
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