Che tu ci creda o no, qualche volta siamo proprio noi ad impedire che i miracoli avvengano!
Il mio in(solito) commento a:
Chiunque chiede, riceve (Matteo 7,7-12)
“Chiedete e vi sarà dato”. Ma ci credi davvero? Troppo spesso no. Non riesci a lasciarti andare verso l’infinito, perché ti tormentano ansie, preoccupazioni e pessimismo. Un po’ come un palloncino gonfiato ad elio, legato con la sua cordicella al peso che lo tiene a terra, non riesci a librarti nel cielo. E il peso, cara lettrice, caro lettore, è quello dei nostri peccati: odio, egoismo, avidità, violenza, crudeltà, corruzione, ricerca affannosa del piacere, distrazione… mentre la corda rappresenta le nostre paure: la paura di non riuscire, di venire sconfitti, la paura della sofferenza, la paura di non essere amati, la paura per il futuro, di perdere, di rimetterci. Vedi, a volte, più che il macigno del nostro peccato, a trattenerci è una sottile cordicella fatta di timore ed insicurezza.
E così scopriamo quanto sia potente la paura: tanto forte da riuscire ad arrestare perfino un miracolo. Già, perché è la fede l’ingrediente principale dei miracoli di Dio. Mentre la paura la paralizza. Per aiutarci, per esaudire le nostre preghiere, Gesù cerca la nostra volontà, la nostra fede, la nostra collaborazione. Cristo ci coinvolge e chiede la nostra volontà di cambiare, chiede a noi di agire, ci domanda di credere che quel che chiediamo nella preghiera possa avvenire.
Ma come possiamo pretendere che un miracolo avvenga, quando siamo proprio noi i primi a non credere che si possa realizzare? Ecco che, quando si presentano delle difficoltà, ci vuole il coraggio di lottare per arrivare al Signore. Ci serve l’audacia di avere fede fin dall’inizio: “Se tu vuoi puoi guarirmi, se tu vuoi, io credo”.
Ed è questa la forza della preghiera: la convinzione che, quanto stiamo per chiedere, si realizzerà. Dobbiamo avere quella fiducia che slega la cordicella e ci fa librare lassù, in alto, dove l’azzurro del cielo è così luminoso da non poter raccogliere nessuna ombra. Gesù ci chiede un abbandono filiale alla provvidenza del Padre celeste, il quale si prende cura dei più elementari bisogni dei suoi figli: «Non affannatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?”. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Matteo 6,31-33).
Un Salmo ci offre una bella immagine della Divina Provvidenza: «Io sono tranquillo e sereno. Come un bimbo in braccio a sua madre è quieto il mio cuore dentro di me» (Salmo 131,2). Leggiamo nel libro del profeta Isaia: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Isaia 49,15). Due passi che ci aiutano a penetrare nel mistero della Divina Provvidenza.
Devo credere che Dio non mi abbandonerà, per non sentirmi abbandonato da Dio: perché dove c’è fede c’è speranza, e Dio lavora per avverare le nostre preghiere. Dove, al contrario, non c’è fiducia in Dio, allora attorno a noi, il terreno diventerà sterile: un deserto spirituale in cui, perfino i semi gettati dal seminatore generoso, rischieranno di seccare senza germogliare.
Le vie della Provvidenza spesso ci rimangono sconosciute, ma non così la Divina Provvidenza, che noi possiamo identificare come la concretizzazione dell’immenso amore di Dio. L’amore stesso che si fa carezza per noi, sostegno nel momento del bisogno e miracolo che si realizza nella sorpresa di un istante.
#Santanotte Metti da parte le tue paure ed inizia a pregare come se sapessi, con certezza, che Dio risponderà alle tue richieste. Perché Lui conosce tutti i tuoi bisogni. Dio ti benedica!
Alessandro Ginotta
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