Quando proprio non si può più far nulla, quando il mondo ci presenta un destino che appare implacabile ed ineludibile, invitandoci a rinunciare ad ogni speranza, siamo ancora disposti a credere nel miracolo?
Il mio in(solito) commento a:
Ragazzo, dico a te, àlzati! (Luca 7,11-17)
Accettiamo l’idea che Dio, oltre ad esistere come entità astratta, sia davvero un Padre buono che sta sempre accanto a noi, pronto ad aiutarci e a risollevarci ad ogni inciampo? Gli diamo la possibilità di intervenire nella nostra vita rinunciando al contagio della cinica diffidenza che dilaga in questi tempi attorno a noi? Ci affidiamo solo alle certezze del concreto che tocchiamo con le nostre mani, oppure siamo aperti alla possibilità che esista qualcosa che va al di là?
Sì, perché, se davvero desideriamo cercare Dio, dobbiamo essere disposti ad incontrarlo proprio lì, dove sembra più assente. Perché Dio abita contemporaneamente ovunque e qualunque tempo ed il fatto che non si veda, non vuole affatto dire che non ci sia. Dobbiamo avere lo stesso spirito di San Giovanni evangelista, per saper riconoscere in un lenzuolo afflosciato (cfr. Giovanni 20,7) il segno della presenza di Dio e non della sua latitanza.
Sai, ogni Miracolo è un’eccezione: un momento singolare in cui Dio, che le ha create, mette in pausa le leggi che regolano la natura, per permettere all’impossibile di accadere. È la parentesi in cui la fisica smette di funzionare ed entra in gioco qualcosa che va oltre: la metafisica. Dio.
Forse il Creatore dell’universo non ha la facoltà di rivoluzionarne le regole? Finché l’uomo si ostinerà a voler spiegare ogni fenomeno osservando le leggi di natura, non riuscirà mai a comprendere fino in fondo che cosa avviene quando il soprannaturale si fa strada nel mondo terreno.
Ma senza questa certezza nel cuore, ogni problema che ci piomba addosso rischia di essere per noi fatale. Come faremmo a vivere senza speranza? Come poter guardare al di là di un ostacolo che ci piomba addosso in un brutto momento della nostra vita?
Quante persone non credono in Dio! E quante volte, anche tu, anche io, che pur ci crediamo, ci siamo lamentati perché ci sembra “lontano”, ci pare non interessarsi ai nostri problemi, non capire le nostre difficoltà!
Tante volte le persone soffrono perché sono scoraggiate: pensano che nulla possa cambiare la loro situazione. Sono convinte che niente potrà mai restituire loro la serenità. Eppure il Vangelo ci insegna a sperare sempre, anche contro ogni speranza (cfr Rm 4,16-25). Perché: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37).
Proprio nulla, neppure risuscitare un defunto. Ed eccoci qui, lungo la strada che porta in una piccola città: “In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla” (v. 11). Questa località così fuori mano è il teatro di un incontro speciale: quello della vita che sconfigge la morte. Da un lato, la gioia della “gran folla” che accompagna Gesù; dall’altro, l’indomabile tristezza di una madre, alla testa di un corteo funebre: “Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei” (v. 12). Qui la vita, lì la morte. Le due folle si fermano. I cortei si scrutano, senza mischiarsi. Il cuore di Gesù si lascia toccare dalle lacrime della vedova: “Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!»” (v. 13). Una commozione che ricorda quella che Gesù provò quando vide piangere Maria alla morte del fratello Lazzaro: “Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente” (Giovanni 11,33). Vedi come Dio ci è vicino? Senti la sua empatia? Sì, il cuore di Dio piange ogni volta che una sua creatura prova dolore. D’altra parte, la stessa parola “misericordia”, che siamo abituati ad associare al Signore, deriva proprio dal latino: misereor (ho pietà) e cor-cordis (cuore). Compassione: è l’altra faccia dell’amore di Dio.
Egli si lascia commuovere dal nostro pianto ed interviene nelle nostre vite: “Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre” (vv. 14-15).
Sì, perché la fede che Dio ci chiede è una forza rivoluzionaria che agisce dentro e fuori di noi. È la fede che non si piega al ricatto della realtà, ma che la trasforma, permettendo, anche all’impossibile, di accadere. È una fede coraggiosa, che non si ferma davanti a nulla e nessuno. È una speranza contro ogni speranza.
L’augurio che ti faccio oggi, è di riuscire a non spegnere mai la fantasia di una fede capace di incontrare Dio in un lenzuolo afflosciato. Perché le cose più belle, non si vedono e non si toccano, ma si sentono. Proprio come l’amore. Proprio come Dio. #Santanotte!
Alessandro Ginotta
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