Dalle stelle alle stalle. Questo modo di dire ben riassume l’inizio e la fine del Vangelo: il Mistero dell’Incarnazione di Gesù, Figlio di Dio fattosi uomo nascendo nella più umile delle mangiatoie, si fonde con l’ancor più grande Mistero della morte e Risurrezione di Cristo: accolto trionfalmente a Gerusalemme e, pochi giorni dopo, condannato a morte insieme a due malfattori.
Il mio in(solito) commento a:
La passione del Signore (Marco 14,1-15,47)
Si chiama paronomasia: è la figura retorica che associa due parole dal suono molto simile ma dal significato opposto (nel nostro caso: “dalle stelle alle stalle”). Qualcuno potrebbe scuotere un po’ la testa vedendo un simile bisticcio di parole accostato al Vangelo, ma ben rende l’idea degli opposti con cui Dio ci sorprende dalla prima all’ultima pagina dei quattro Vangeli: dalle stelle, dall’alto dei Cieli, dimora di Dio, alla mangiatoia di un povero villaggio circondato da pastori nomadi. Devi sapere che i pastori, ai tempi di Gesù, erano talmente umili ed emarginati da venire considerati indegni di abitare dentro ai villaggi. Disprezzati dai farisei, che li ritenevano impuri perché vivevano a contatto con gli animali, erano esclusi dalla vita religiosa ufficiale. Dio, fattosi uomo, scende proprio in mezzo a loro, gli ultimi tra gli ultimi, ed è qui che sceglie di manifestarsi nel momento del suo arrivo nel mondo tra coloro a cui Dio veniva negato. Già questo ci dovrebbe insegnare molto di come Cristo ribalta le prospettive degli uomini (dalle stelle alle stalle) e rivoluziona il nostro modo di vivere la fede. Dio non è una divinità da temere, non è un giudice severo che abita lontano, nelle profondità dei cieli, ma il Figlio di Dio fattosi uomo viene a vivere in mezzo a noi tra povertà e discriminazione. Egli soffre (e soffrirà in questa pagina di Vangelo) come (e più di) noi per farci capire che ci è vicino.
Dalle stelle alle stalle: acclamato ed osannato al suo arrivo a Gerusalemme, viene poi tradito, arrestato, percosso, denudato, umiliato, frustato, fino all’ingiusta condanna alla terribile morte per crocifissione, per di più tra due ladroni. Come cambia in fretta l’opinione di un popolo che oggi saluta festante e dopo poche ore ne chiede il sangue.
I poveri diventano beati, gli ultimi primi, i potenti rovesciati, gli affamati vengono ricolmati di beni e perfino i peccatori più incalliti possono sperare nel perdono di Dio, Padre buono e misericordioso. Il Vangelo ribalta il mondo proiettando al contrario i valori in cui l’uomo ha creduto fino all’arrivo di Cristo.
Ma che cosa ci insegna il Passio? Queste lunghe pagine di Marco ci insegnano la gratuità dell’amore parlandoci di Dio che ci ama per primo e offre la sua vita per noi, anche per chi non lo ha accolto, anche per chi lo ha rinnegato, anche per chi lo ha tradito e perfino per chi lo ha assassinato: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (cfr. Luca 23,34). Ma ci insegna anche a non abbandonare mai la speranza: perché è dopo l’ora più buia della notte che si fa strada la luce dell’alba. Ci insegna che la morte non è la fine di niente, ma solo un nuovo inizio. Ci insegna a guardare il mondo con gli occhi di Dio, occhi pieni d’amore, di tenerezza e di perdono. #Santanotte
Alessandro Ginotta
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