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Dio non ha bisogno di scenografie

Dio non ha bisogno di scenografie

La verità è che i peccatori che si riconoscono tali hanno più possibilità di entrare nel Regno di Dio rispetto a chi si crede impeccabile. Perché il peccatore può convertirsi, mentre il presuntuoso non sente nemmeno il bisogno di cambiare. Il seme di Dio vibra nel cuore di chi sa di aver bisogno di Lui. Ma chi è troppo pieno di sé non lascia spazio nemmeno a quella piccola voce interiore che chiama alla conversione.

Il mio in(solito) commento a:
Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà (Matteo 6,1-6.16-18)

Ci sono i fedeli con il distintivo luccicante ben appuntato sul petto, persone tanto rigorose in chiesa quanto smemorate fuori. Per loro la Santa Messa non è una celebrazione, ma uno spettacolo. Termina la Messa, cala il sipario, mi dimentico di Dio. Poi ci sono coloro i quali magari fanno qualche strafalcione nella liturgia, ma, animati da una fede autentica, riconoscono la Parola come un faro che squarcia il buio in ogni istante della loro vita.

Quando la preghiera si riduce a un gesto meccanico, senza anima, diventa solo fumo negli occhi. Dio non si lascia incantare dalle apparenze, Lui cerca cuori sinceri. Ti ricordi la parabola del fariseo e del pubblicano? Quante volte, senza volerlo, ci comportiamo come il fariseo, convinti di essere migliori degli altri, dimenticando che siamo tutti fragili e bisognosi della grazia divina?

E proprio perché mi sento tutt’altro che perfetto, voglio confidarti un mio timore: vedo sempre più cattolici credere di essere il “piccolo resto”, gli ultimi custodi della vera fede. Si aggrappano a rituali validissimi, certo, ma che senza un’autentica spiritualità rischiano di diventare solo gusci vuoti. Di fronte al degrado morale del mondo, la tentazione di rifugiarsi in un passato idealizzato è forte, ma a volte porta a condannare chi vive la fede con modalità diverse. Eppure, non siamo tutti figli dello stesso Padre?

So bene che con queste parole potrei perdere qualche lettore, ma non mi interessa. Ciò che mi turba davvero è l’atteggiamento di chi considera la Messa in latino l’unica valida, di chi pensa che solo inginocchiandosi e ricevendo l’Eucaristia sulla lingua si possa essere degni di Cristo (è un gran bel modo e mostra il rispetto verso Dio, ma deve essere una scelta libera e soprattutto consapevole e sentita). Francamente non vedo come si debba colpevolizzare chi riceve la particola sulla mano. Anzi, trovo che sia un bel gesto di accoglienza: Ti prendo nel palmo della mia mano, desidero nutrirmi di Te, Ti accolgo nel mio cuore. Cambiami da dentro, Ti prego! Non è bello? È certo bello anche ricevere la particola in bocca, ma questo gesto lo compiamo con consapevolezza, oppure per uniformarci a chi ci sta attorno e ci dice che quello è l’unico modo per comunicarsi degnamente?

E poi, davvero crediamo che Gesù faccia distinzioni su come lo riceviamo? Lui che cercava peccatori, che toccava i lebbrosi, che spezzava il pane con gli ultimi? Davvero pensiamo che sia più importante il gesto esteriore della disposizione del cuore? Ti invito a rifletterci. Quando compi un atto di fede, lo fai per aderire a una tradizione senza capirla, o perché hai scelto, con piena coscienza, di esprimere il tuo amore per Dio in quel modo?

Il problema non è il rito, ma l’intenzione. Dio non ha bisogno di scenografie, di inginocchiatoi perfettamente allineati o di formule recitate impeccabilmente. Lui guarda il cuore. E se nel cuore c’è solo ostentazione, superbia, competizione con gli altri… allora a cosa serve inginocchiarsi? A cosa serve una genuflessione perfetta se l’anima è assente?

Il rischio è quello di cadere nella trappola del fariseo: sentirsi i migliori, i più giusti, i detentori assoluti della verità. Ma la verità non si possiede, si scopre giorno dopo giorno, con umiltà. I farisei, convinti di avere Dio dalla loro parte, sono stati capaci perfino di condannare a morte Suo Figlio. La loro arroganza li ha resi ciechi, sordi, incapaci di riconoscere la bellezza della misericordia.

E noi? Quante volte ci comportiamo allo stesso modo? Quante volte ci sentiamo superiori agli altri solo perché preghiamo “meglio”, perché rispettiamo certe regole alla lettera? E quante volte, invece, ci siamo accorti delle nostre fragilità, riconoscendo di avere bisogno di Dio, proprio come il pubblicano della parabola?

Chiediamo allora a Dio di donarci l’umiltà. Di aiutarci a guardare gli altri con misericordia e non con giudizio. Di aprirci gli occhi per riconoscerlo dove meno ce lo aspettiamo. Perché il rischio più grande non è sbagliare un gesto rituale, ma chiudere il cuore a Gesù che passa accanto a noi e non ce ne accorgiamo.

Dio ci conceda sempre il desiderio di cercarlo, con umiltà e amore. E la nostra anima non sia mai cieca, ma sempre pronta a riconoscerlo. #Santanotte!

Alessandro Ginotta

Il dipinto di oggi è: “Cristo abbraccia la croce”, di El Greco, 1605, olio su tela, 108 x 78 cm, Museo del Prado, Madrid

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