Tante volte le persone soffrono perché sono scoraggiate. Eppure il Vangelo ci insegna a sperare sempre, anche contro ogni speranza
Il mio in(solito) commento a:
Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia (Giovanni 16,16-20)
Capitano nella vita terribili momenti, in cui dolore e sofferenza ci piombano addosso. Può succedere quando perdiamo una persona cara, oppure l’amore, o la salute, oppure ancora il lavoro, o se un’attività fallisce… sono periodi tristissimi pervasi dalla sensazione che l’intero mondo stia crollando su di noi, ferendoci e schiacciandoci con il suo peso.
Nel guarire le ferite noi abbiamo due alleati: il tempo e la fede. Vorrei richiamare alla vostra memoria l’episodio dell’emorroissa: questa donna ammalata che, da dodici anni, aveva perdite di sangue. Inutilmente aveva consultato tantissimi medici, ottenendo però due soli risultati: l’aver speso moltissimo denaro e il vedere peggiorare le proprie condizioni. Non si trovava una cura, ma poi: “Udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita»” (Marco 5,25-34). Ed è proprio qui la ricetta: la fede. Tante volte le persone soffrono perché sono scoraggiate: pensano che nulla possa cambiare la loro situazione. Sono convinte che niente potrà mai restituire loro la serenità. Eppure il Vangelo ci insegna a sperare sempre, anche contro ogni speranza (cfr Rm 4,16-25). Perché: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37).
Emblematico è l’episodio vissuto da Anna e Gioacchino, i genitori della Beatissima Vergine Maria. Lo troviamo raccontato in alcuni testi apocrifi. Qui potremo leggere la versione dello pseudo-Matteo, un testo non canonico, che ha ispirato la tradizione popolare, offrendoci, tra le altre cose, i nomi dei genitori di Maria che i quattro Vangeli tacciono: “Avvenne che nei giorni festivi, tra quanti offrivano incenso al Signore si trovasse pure Gioacchino a preparare le sue offerte alla presenza del Signore. Un sacerdote di nome Ruben, avvicinatosi, gli disse: «Non ti è lecito stare tra quelli che offrono sacrifici a Dio, poiché Dio non ti ha benedetto dandoti una discendenza in Israele»”. All’epoca non avere figli era considerato una maledizione. Chi, pur essendosi sposato, non riusciva ad avere una discendenza, veniva allontanato dagli altri e subiva pesanti discriminazioni. Prosegue il testo: “Pieno di vergogna davanti al popolo si allontanò piangendo dal tempio del Signore; e non ritornò a casa, ma si recò dalle sue bestie portando con sé, nei monti, i pastori in una terra lontana; e così per cinque mesi Anna, sua moglie, non poté avere sue notizie. Essa piangendo nella sua preghiera diceva: «Signore, Dio santissimo di Israele, non mi hai dato figli, e perché mi hai tolto il marito? Ecco che sono già due mesi che non vedo mio marito. Non so neppure se è morto! Se lo sapessi morto gli darei la sepoltura». Mentre piangeva abbondantemente, entrò nell’orto di casa sua, si prostrò in preghiera, e innalzò suppliche davanti al Signore”. Vedete, amici cari, il dolore? Eppure, poco dopo, questo dolore si tramutò in gioia, quando Anna e Gioacchino, avvertiti entrambi da un angelo, seppero che, contro ogni ipotesi, nonostante la loro avanzata età, sarebbero diventati genitori: “Anna corse incontro a Gioacchino, si appese al suo collo rendendo grazie a Dio e dicendo: «Ero vedova ed ecco non lo sono più; ero sterile ed ecco ho già concepito». Quindi dopo avere adorato il Signore, entrarono. A questa notizia, grande fu la gioia di tutti i suoi vicini e amici, sicché tutta la terra d’Israele si rallegrò di questa notizia”.
Sì, il Dio che ci ha creati dal nulla, per farci simili a Lui. Il Dio che ha lasciato le comodità dei cieli per incarnarsi e venire a camminare in mezzo a noi, su questa terra malata. Il Dio che, per noi, ha addirittura versato la sua vita, donandoci pure l’impossibile. Il Dio che ha risuscitato Lazzaro ed il figlio della vedova di Nain. Il Dio che ha sfamato una moltitudine di cinquemila uomini spezzando cinque pani e due pesci. Il Dio che ha ridato la parola ai muti, l’udito ai sordi e la vista ai ciechi. Il Dio che ha vinto la Croce… Questo Dio può! Si può aiutarci a modificare il nostro destino. Questa è la nostra fede: Lui potrà trasformare il più grave dei problemi in un’opportunità. Dio potrà trasformare la nostra tristezza in gioia. Basterà avere fede in Lui. La fiducia è l’unico requisito che ci viene richiesto.
Non dobbiamo essere fortunati, non dobbiamo neppure necessariamente essere bravi, ma soltanto umili e semplici. Lasciarsi amare da Gesù e restituirgli il suo amore. Credere in Lui. Ed anche il peggiore dei pianti si muterà in sorriso: “La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (v. 21). La chiave è qui. Le madri capiscono bene questo paragone: il dolore del parto è terribile, ma la gioia immensa di tenere il bambino tra le braccia le ripaga di tanto dolore. Piangono, piangono anche le madri, ma il loro pianto si tramuta in gioia.
#Santanotte amici. Ricordiamo sempre che la gioia nasce dall’amore, e la sorgente dell’amore è Dio, perché: “Dio è amore” (1Gv 4,8). E allora, crediamo in Dio e troveremo l’amore. Crediamo in Dio e troveremo la gioia!
Alessandro Ginotta
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