Perché la discrezione non divenga un alibi per il… non fare
Il mio in(solito) commento a:
Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà (Mt 6,1-6.16-18)
“Non farsi vedere ma lasciarsi vedere“. E’ una frase del Beato Antonio Federico Ozanam, che all’età di soli 21 anni, nel 1833, fondò, con un gruppo di amici, la Società di San Vincenzo De Paoli. Una delle più vaste e radicate associazioni di laici che oggi conta 2 milioni di volontari in più di 150 Paesi del mondo.
Sì, perché se è vero che non dobbiamo metterci in mostra, spettacolarizzando la carità (“quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente” cfr. v. 2), non dobbiamo neppure dimenticare che un talento non può essere sotterrato (“Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti” cfr. Matteo 25,27-30). Se Dio ci ha donato la sensibilità di restare vicino a chi soffre e la possibilità di offrirgli il nostro sostegno, allora abbiamo il preciso dovere di farlo. Ma non basta. Perché il Vangelo va vissuto sulla pelle ed è nostra responsabilità testimoniarlo con ogni nostro gesto ed ogni nostra azione (“Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze” cfr. Matteo 10,27).
Tutto questo che cosa vuol dire? Dobbiamo fare la carità nascondendoci? No! Dobbiamo accendere i riflettori quando compiamo un’opera buona? Neppure! La ricetta è tutta nel pensiero di Ozanam: “Non farsi vedere ma lasciarsi vedere“. Che significa? Quando facciamo un buon gesto dobbiamo usare discrezione, prima di tutto per non umiliare la persona che lo riceve. Ma non dobbiamo neppure agire nell’ombra. Perché il buio è il nascondiglio del maligno e non c’è nessun motivo per farlo. Anzi, fare bene il bene farà bene a noi stessi, a chi lo riceve ed anche a chi vi assiste.
Il Papa santo Paolo VI, rivolgendosi alla Caritas, diceva: «Al di sopra dell’aspetto puramente materiale della vostra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica» (Paolo VI a Caritas Italiana, 28.09.1972).
Se l’uomo ha dimenticato la carità, se la volontà di donare e donarsi non scorre più nelle sue vene, allora oltre a compiere materialmente il bene, dobbiamo anche “lasciar vedere” il nostro buon cuore, diventando così stimolo per chi ci sta accanto.
Vedendo il nostro gesto, molto probabilmente, anche chi proprio non pensava alla carità, si interrogherà sul perché operiamo il bene. E chissà che non decida egli stesso di provare ad aiutare chi vive in difficoltà. Ecco il significato pedagogico della carità!
Fare o non fare? Farsi vedere o lasciarsi vedere? C’è il forte rischio che la discrezione diventi un comodo alibi per il non fare. Un comodo camuffamento dell’egoismo. Ma allora?
Può sembrare di camminare su una linea sottile, ma la realtà è più chiara e semplice di come ci appare. Ce lo spiega il Vangelo di oggi: “State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli” (v. 1). Quando compiamo un buon gesto dobbiamo sempre chiederci perché lo facciamo. Per venire ammirati dagli altri? Male! Sarebbe un peccato di vanità ed orgoglio. Non va bene. Lo facciamo invece perché desideriamo aiutare quella persona e non ci interessa apparire? Allora possiamo, anzi, dobbiamo, agire facendo tutto quanto è in nostro potere per aiutare chi soffre. E non serve per forza limitarci nell’aiutarlo per evitare di essere visti. Purché non decidiamo di aiutare solo per metterci in mostra.
Aiutare è un bene. Ed è anche bene testimoniare, con il nostro comportamento, qual è il giusto modo di aiutare le persone. Perché Dio vede tutto il bene che facciamo, ma anche quello che non facciamo.
Davanti a Lui non c’è posto dove nascondersi. Ogni nostra azione Lui la vede, come se fosse alla luce del sole. E Dio, cari amici, tifa per noi in ogni momento. Egli è lì, accanto a noi che ci guarda, pronto a perdonare ogni nostro egoismo, ogni nostro eccesso, ogni nostro peccato, ed ogni nostra mancanza.
Sarebbe un vero peccato ritrarre la mano, che invece dovremmo tendere a chi vive nel bisogno, solo perché non vogliamo che gli altri assistano al nostro gesto di generosità. Compiremmo un doppio peccato: contro il nostro fratello, che non riceverà il nostro aiuto e contro l’altro fratello, a cui avremo rifiutato di dare il buon esempio.
Perciò, amici cari, quando pregheremo, quando compiremo una buona azione o anche soltanto quando faremo l’elemosina, sforziamoci di non operare a beneficio degli occhi di chi ci guarda, come se noi stessi fossimo degli attori. Perché Dio è l’unico veramente interessato alle nostre azioni.
Immaginate quanta emozione scuote il cuore di un padre che guarda il proprio figlio muovere i primi passi, partecipare al primo giorno di scuola, pedalare in bicicletta senza le rotelle, prendere le sue prime decisioni…. Immaginate quale tumulto ci sarà nel cuore di Dio, che ci ama mille e mille e mille volte più di quanto un uomo possa amare il proprio figlio. Sì, Dio è un Padre. E come ogni buon Padre sa benissimo cosa è buono per noi e che cosa no.
Facciamo bene il bene, senza ostentazione, ma facciamolo! Per amore di Dio, che ci riempie di amore e per amore dello stesso Dio che vive nel fratello bisognoso.
Alessandro Ginotta
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