Quasi un ipertesto! Giocando con le parole e le situazioni l’evangelista crea infiniti rimandi e collegamenti a pagine di Vangelo e concetti lontani tra loro, ma che si riconfermano a vicenda
Il mio in(solito) commento a:
Io sono la risurrezione e la vita (Giovanni 11,1-45)
Storie di amicizia che si intrecciano, lacrime che sgorgano. Quello della risurrezione di Lazzaro è uno dei miracoli più noti, eppure nasconde aspetti poco comuni nei Vangeli ed estremamente affascinanti da approfondire.
I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?» (v. 8). Gesù riceve un messaggio da parte delle amiche Marta e Maria: Lazzaro, il loro fratello, anch’egli amico del Messia, è molto ammalato. Così decide di rimettersi in cammino e tornare in Giudea. Lui sa due cose: la prima è che Lazzaro sta morendo; la seconda è che questa morte non sarà definitiva (attenzione a questo passaggio, perché l’evangelista san Giovanni lo sfrutterà per ribadire un’altra verità di fede). Cristo lo risusciterà.
Ma gli apostoli hanno paura. Temono l’ira dei giudei, non vogliono che il loro Maestro rischi la vita “inutilmente”, per salvare un amico già morto. San Giovanni è un narratore estremamente scaltro e semina espedienti in questo racconto: la sensazione di “inutilità” del pericolo percepito dal gruppetto di amici che cammina insieme a Gesù contrasta terribilmente con la realtà dell’estremo sacrificio di Cristo che, dalla croce, salva il mondo intero. Giovanni gioca con questa contrapposizione, così come gioca con le parole di Marta, che disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo» (vv. 21-27). Dunque un “equivoco” (la promessa della risurrezione) serve per spiegare una grande verità di fede: tutti noi risorgeremo alla fine dei tempi.
Dipanata questa matassa si svolge il filo dell’amicizia e dell’amore. Sì, perché anche il sacrificio di Gesù sarà un gesto di infinito amore: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Giovanni 15,13). Episodi di Vangelo che si intersecano, sentimenti di estrema intensità che si avvicendano in questi versetti: “Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!»” (vv. 32-34). Lo vedi? Il Vangelo allo specchio: “vieni e vedi”. “Venite e vedrete” (cfr. Gv 1,35-42). Quasi un ipertesto! Giocando con le parole e le situazioni l’evangelista crea infiniti rimandi e collegamenti a pagine di Vangelo e concetti lontani tra loro, ma che si riconfermano a vicenda.
Ed ecco che le pagine di questo Vangelo si bagnano delle lacrime di Cristo, che piange davanti alla tomba dell’amico morto. No, non piange per la scomparsa di Lazzaro, ma si commuove fino alle lacrime vedendo il dolore di Marta e di Maria. Ma attenzione, Dio non piange solo per gli amici. Lo fa anche per noi. Ogni volta che soffriamo. Ogni volta che ci troviamo in difficoltà. Ogni volta che la nostra fede si rivela troppo piccola per poter credere in Lui, per poter credere fino in fondo che un miracolo ci potrà salvare: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (v. 21). E ancora: “Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?»” (v. 37). L’incredulità rischia perfino di arrestare il miracolo: “Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?»” (vv. 39-40).
Davanti al cuore di ciascuno di noi c’è sempre una pietra, fatta di peccato, di orgoglio, di pregiudizio… E’ questa pietra che ci uccide agli occhi di Gesù. E’ questo macigno pesante che ci impedisce di vivere una vita autentica, piena di sentimenti genuini, di gioia, di condivisione, di gratuità… una pietra che ci chiude in una grotta, un sepolcro, lontani dall’amicizia dei nostri fratelli. Una pietra che ci impedisce di essere felici perchè ci toglie la gioia di vivere… e fa piangere tutti: perfino Gesù!
#Santanotte! È tempo di togliere quella pietra che ci tiene lontani da Cristo! E’ tempo di uscire dal sepolcro e tornare a vivere una vita autentica! Sì, è tempo di ascoltare quel grido di Gesù che dice a ciascuno di noi: «Lazzaro, vieni fuori!».
Alessandro Ginotta
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