Ecco il mistero di un Dio, che anziché usare tutta la sua potenza miracolosa, ha preferito salvare il mondo con l’impensabile debolezza della croce
il mio in(solito) commento a:
Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo! (Giovanni 16,29-33)
Dio e il mondo. La creatura che si ribella al suo Creatore. In principio tutto era armonia: “E’ finito il sesto giorno e si è conclusa la creazione del mondo con la formazione di quel capolavoro che è l’uomo”. Sono le parole di Sant’Ambrogio (Hexaemeron, 387). Poi lo stupendo progetto di Dio è stato offuscato dall’irruzione del peccato nella storia. L’uomo si è ribellato al Creatore, finendo per idolatrare le creature. Dal vitello d’oro (cfr. Esodo 32,4) ai piccoli e grandi peccati che compiamo oggi, il rapporto d’amore tra Dio e l’uomo è tormentato. Mentre Dio ci ama, oltre ogni limite, fino a donare sé stesso e dare la propria vita per la nostra salvezza, noi lo tradiamo continuamente. Incapaci di comprendere fino in fondo l’infinita vastità di Dio, noi preferiamo rivolgere la nostra attenzione a quanto è più vicino ai nostri occhi: alle ricchezze del mondo, al potere, al prestigio… e così, ogni giorno, sacrifichiamo le nostre anime ai tanti vitelli d’oro che la società moderna ci propone. Scrive San Paolo: “Hanno venerato ed adorato la creatura al posto del creatore” (Romani 1,25). Diamo troppa importanza alle cose materiali, dimenticando completamente la dimensione spirituale.
E perfino quando abbiamo ricevuto il dono più grande, quando il Figlio di Dio è venuto a camminare in mezzo a noi, abbiamo preferito prostrarci davanti ad una statua di metallo fuso. Abbiamo scelto il “mondo”, invece del “Dio che era venuto nel mondo”.
Ai tempi di Gesù, l’uomo ha accolto miracoli, guarigioni, moltiplicazioni, per un puro tornaconto. Ci fa comodo guarire dalle malattie. Ci fa comodo riuscire a sfamare le moltitudini con cinque pani d’orzo e due pesci. Ma, oggi come allora, ci limitiamo a questo: all’utile, al tangibile, mentre continuiamo a rifiutare di alzare il nostro sguardo a Dio per lasciarci alle spalle gli eccessi di un materialismo che avvelena la nostra anima. E’ debole l’uomo; non trova la forza di lasciare il concreto che ritiene certo (le ricchezze mondane) per il trascendente che reputa incerto (il Regno di Dio).
Così, nelle ultime ore del viaggio di Gesù in mezzo a noi, lo abbiamo lasciato solo. Gli abbiamo preferito Barabba. Ce ne siamo lavati le mani. Lo abbiamo tradito ed abbandonato. Come Fece Giuda. Così come San Pietro. Così come tutti gli altri apostoli che fuggirono sulla costa o nelle campagne, per allontanarsi dal luogo dove Dio, pur essendo stato abbandonato dal suo popolo, decise di salvarlo per un amore più grande (cfr. Giovanni 15,13). Rispose loro Gesù: «Adesso credete? 32Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo» (v. 32). Il popolo di Dio si aspettava un Messia potente, trionfante, pronto a salvare il mondo con la spada. Invece ne ha trovato uno mite e umile di cuore, che chiama alla conversione e alla misericordia. Il popolo, che capisce bene il linguaggio della spada, non comprende Gesù. Non riesce ad allungare lo sguardo oltre l’orizzonte. Ed è proprio quella folla, che prima lo aveva osannato all’ingresso a Gerusalemme, che ora grida: “Sia crocifisso!”.
Dio, che ha creato le sue creature per amore, le ha salvate con un estremo atto d’amore, proprio mentre l’umanità, paralizzata in un cieco materialismo, lo stava abbandonando. Gesù ha vinto il mondo anche senza di noi: «ma io non sono solo, perché il Padre è con me» (cfr. v. 32). Anche ora, a distanza di 2000 anni dalla sua crocifissione e Risurrezione, Gesù è con noi. Certo, non più in forma fisica, come ha fatto finoa alla sua Ascensione in cielo, ma anche se noi continuiamo a preferirgli il vitello d’oro che rappresenta le ricchezze del mondo, le bramosie, l’orgoglio… Lui è accanto a noi, ci ama ed attende che l’uomo smetta di guardare in basso, a cercare improbabili pagliuzze d’oro tra la polvere della terra, per volgere gli occhi allo splendore del cielo, là, dove l’anima può volare libera.
A Dio è piaciuto così: salvarci non con la forza del mondo, ma con la debolezza della Croce. Quanto è forte la tua debolezza? Se vuoi puoi rispondermi nei commenti #Santanotte
Alessandro Ginotta
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