Davanti alla croce ci trasformiamo tutti un po’ in “Totò”: cerchiamo la scorciatoia comoda che le passi attorno, anziché affrontarla.
Il mio in(solito) commento a:
Chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà (Lc 9,22-25)
No, la vita non è tutta rose e fiori. Qualche volta incontriamo una croce. E non servirà cercare di scansarla, perché, come ci ha mostrato Gesù, la croce la si vince soltanto portandola: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (v. 23).
Potremo forse scansarla per un giorno, o un mese, o forse anche un anno, ma presto o tardi ritroveremo la stessa croce a sbarrarci il cammino. Siamo testardi e non ci rendiamo conto che Dio non ci lascia mai soli: il peso della croce che dobbiamo affrontare è sempre proporzionato alle nostre spalle ed è proprio quando l’accettiamo docilmente che Dio ci offre tutte le risorse per sopportarlo: Gesù cammina con noi e, proprio come il cireneo, è pronto a sostenerci e a prendere su di sé il peso della nostra croce. Dovremo solo avere fiducia. Dovremo essere capaci di attingere a quelle risorse che la nostra fede ci mette a disposizione: ovvero la capacità di sperare contro ogni speranza, l’ottimismo cristiano che ci conduce a credere che il problema con cui ci stiamo confrontando, per difficile che possa apparire, potrà essere prima dominato e poi vinto.
Non potremo evitare di farci carico delle nostre responsabilità. L’emblematico dipinto che accompagna questa meditazione raffigura san Pietro, nell’atto di fuggire dalle persecuzioni di Nerone. Guarda la sorpresa sul suo volto mentre davanti a sé riconosce Gesù! Gli chiede: «Domine, quo vadis?», ovvero «Signore, dove vai?». Gesù gli risponde: «Venio Romam iterum crucifigi», «Vengo a Roma, per farmi crocifiggere una seconda volta». Quante volte ci siamo comportiamo così anche noi? Quante volte cerchiamo la scorciatoia comoda che passa attorno alla croce, pur di evitare di caricarcela addosso? Eppure dovremmo sapere che, finché non affronteremo il problema, non riusciremo a risolverlo.
San Paolo ci offre una bella chiave di lettura: “affinché non ci confidassimo in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti” (2Corinzi 1,9). La mossa vincente non è affidarsi al nostro orgoglio e credere di poter essere autonomi a gestire una difficoltà, ma proprio confidare in colui che, dall’alto della croce, ha vinto il mondo e la morte. Al di là di ogni spiegazione logica la fede è l’unica vera risposta al dramma della sofferenza: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (3,16). Gesù Cristo, il Figlio di Dio, si è unito alla passione di tutti coloro che soffrono, sono malati, torturati, segnati da malattie. Come scriveva San Giovanni Paolo II nella Salvifici doloris: «nel mistero della Chiesa come suo corpo, Cristo in un certo senso ha aperto la propria sofferenza redentiva ad ogni sofferenza dell’uomo». È il grande mistero della Pasqua che tocca ciascuno di noi: la capacità di scorgere, oltre l’ora più buia, l’alba di speranza che si prepara proprio all’ombra della croce. Quella luce di Resurrezione che ha invaso il Sepolcro. #Santanotte
Alessandro Ginotta
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