L’incubo nucleare. Speravamo di essercelo lasciato alle spalle con la fine della guerra fredda, ma le ultime notizie provenienti da Russia ed Ucraina lo hanno risvegliato. E, con esso, alcuni ricordi: erano le 08:14 del 6 agosto 1945 quando il B29 americano “Enola Gay” sganciò sul centro della città di Hiroshima una bomba, il cui nome in codice era “Little Boy”. Il primo ordigno atomico che l’uomo abbia mai utilizzato durante una guerra causò la morte di 220 mila persone. Nel raggio di 2 Km dal centro dell’esplosione vennero distrutti 60 mila edifici. I danni si propagarono per 13,2 Km quadrati. Su Hiroshima (o meglio quello che ne rimase) una coltre di fumo e polveri radioattive oscurò il sole per giorni. Una sola arma micidiale fu capace di tanta devastazione.
Nel centro della città colpita dall’ordigno nucleare sorgeva un convento abitato da una piccola comunità composta da otto gesuiti. Ti sorprenderà sapere che rimasero tutti miracolosamente illesi. Tra di loro il tedesco padre Hubert Schiffer, che all’epoca aveva 30 anni. Raccontò: “Una terribile esplosione riempì l’aria con un tuono rumorosissimo. Una forza invisibile mi sollevò dalla sedia, mi scagliò per aria, mi scosse, mi sbatté e mi fece girare intorno e intorno”. Immagina la sua reazione quando, rialzandosi, si rese conto che attorno a lui ogni cosa era stata devastata. Ogni edificio era caduto e non si vedeva traccia di altri sopravvissuti. Ti sorprenderà ancora di più scoprire che né padre Schiffer, né gli altri confratelli presenti nello stesso luogo miracolosamente scampato alla distruzione, subirono alcun danno dovuto alle radiazioni. Gli esami clinici lo confermarono. Rimasero illesi e salvi in mezzo alla peggiore esplosione nucleare che un uomo avesse mai visto.
Tre giorni e poche ore dopo, alle 11:02 del 9 agosto 1945, una seconda terribile bomba venne fatta cadere sulla città di Nagasaki. Questa volta le vittime furono 150 mila. Anche a Nagasaki venne risparmiato il convento francescano eretto qualche anno prima da San Massimiliano Kolbe. Ma non è tutto, perché sempre a Nagasaki, a meno di 500 metri dal centro di esplosione della bomba, sorgeva una delle più grandi chiese di tutta l’Asia: la cattedrale di Urakami. Le mura crollarono, le vetrate esplosero, il piombo delle campane liquefatte colò giù dai monconi dei campanili, ma la testa della statua raffigurante la Vergine Maria si salvò: una striatura nera, che prima non c’era, le rigò una guancia come se fosse una lacrima. Da allora la statua è conservata come simbolo di pace a testimoniare che l’amore di Dio è più forte della peggiore delle distruzioni. Sorprendente, vero?
Alessandro Ginotta
L’articolo è stato pubblicato su: “Il Corriere della Valle” del 30 marzo 2023
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