Questa è una storia di fichi e preghiere sbagliate, da non fare! Se non vogliamo che il male che auguriamo si ritorca contro di noi!
Il mio in(solito) commento a:
La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni. Abbiate fede in Dio! (Marco 11,11-25)
Maledire deriva dal latino maledicĕre, comp. dell’avverbio male e dicĕre «dire», propriamente «dire male». Maledire è pericoloso, anzi, pericolosissimo! Noi esseri umani non dovremmo mai maledire perché si corrono due gravi rischi: quello che la maledizione si avveri, ed allora il rimorso ci tormenterà per tutta la vita (di fatto la maledizione ricadrà anche su di noi); poi c’è il rischio di subire proprio il destino che auguriamo agli altri: non si può maledire alla leggera, senza correre il rischio di scatenare sulla propria persona la maledizione che s’invoca:
“Ha amato la maledizione: ricada su di lui!
Non ha voluto la benedizione: da lui si allontani!” (cfr. Sal 109,17).
La maledizione è presente sin dalle origini, e ha come primo oggetto il serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,14-15). Egli, il tentatore che calunnia Dio “Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male»” (Gen 3,4-5), trascina l’uomo nel peccato; l’uomo che disobbedisce a Dio è a sua volta trascinato nella sua maledizione: invece della presenza divina, ecco l’esilio lontano da Dio: “Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all’albero della vita” (Gen 3,23-24). Invece della vita, ecco la morte: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!» (Gen 3,19).
La maledizione è una “preghiera sbagliata” perché distrugge sempre, sia chi ne viene colpito, sia chi la lancia. È come l’eco invertita della benedizione per eccellenza che è la Parola creatrice di Dio.
Gesù stesso, in questo brano di Vangelo, ce lo insegna: “La mattina seguente, passando, videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro si ricordò e gli disse: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato». Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: “Lèvati e gèttati nel mare”, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe»” (vv. 20-25). Non solo, dunque, non dobbiamo maledire (abbiamo visto quanto possa essere pericoloso per noi e per gli altri), Gesù ci insegna anche un’altra cosa molto importante: se desideriamo essere perdonati, dovremo perdonare. Non dobbiamo negare il perdono, perché anche questo rifiuto, così come la maledizione, ci allontana da Dio. Anzi, non perdonare significa rischiare di non vedere perdonate le nostre colpe. Davvero ci conviene?
Il perdono guarda avanti. Al domani. Mentre il rancore guarda al passato, a quello che è accaduto ieri. L’odio, la vendetta, sono false soluzioni, servono solo ad aggravare un dolore (il nostro) rendendoci complici di chi, quel dolore, la ha provocato dentro di noi. Perché non perdonando il male, facciamo a nostra volta male. E ci allontaniamo da Dio e dalla sua luce. Se vogliamo liberarci dai pesi che ci opprimono, dobbiamo imparare a perdonare.
Non è per nulla facile. Qualche volta sembra proprio impossibile! Ma se solo ci vorremo provare, sperimenteremo l’amore di Dio che scorre dentro di noi. Perché perdonare significa, secondo l’etimologia del greco aphíemi, lasciare andare, liberare, troncare quei tentacoli e quelle catene che ci imprigionano al dolore del passato. E’ a questo che serve il perdono. A fare stare meglio noi stessi. Perché sentendoci in pace con il prossimo, saremo anche in pace con Dio. E con la nostra coscienza.
È difficile, lo so. Ma ricordiamo sempre, amici, che laddove non arriviamo noi, con la nostra piccolezza, può arrivare Lui. Laddove noi non siamo capaci di amare a sufficienza, Dio può “mettere di tasca sua” quell’amore che ci manca ed azzerare il nostro debito sul libro della vita. Un Dio che ci perdona e ci ama non può non farlo. Non può non sopperire alle nostre mancanze.
Un’ultima cosa: Voglio condividere un’arma contro il maligno che mi rassicura molto: la croce di San Benedetto. La troviamo su un affresco del monastero di Subiaco. Un giorno racconterò il significato di ciascuna delle sue lettere. Oggi, accontentiamoci di leggerne la formula, che, con la fede in Dio, è potentissima per scacciare ogni presenza malvagia:
Crux Sancta Sit Mihi Lux – La Santa Croce sia la mia luce,
Non Draco Sit Mihi Dux – Non sia il demonio mio condottiero
Vade Retro Satana – Fatti indietro, Satana
Numquam Suade Mihi Vana – Non mi attirare alle vanità
Sunt Mala Quae Libas – Sono mali le tue bevande
Ipse Venena Bibas – Bevi tu stesso il tuo veleno
E sarà il male ad allontanarsi da noi e non più noi ad allontanarci da Dio! #Santanotte.
Alessandro Ginotta
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