Questa mattina in Arcivescovado a Torino, l’Arcivescovo Mons. Cesare Nosiglia ha ricevuto la stampa e gli operatori dei media per il tradizionale messaggio di Natale.
A Torino, ed i molte altre metropoli, convivono due città: quella cosiddetta “per bene” ed un’altra, invisibile che esiste e si estende sempre più dalle periferie al centro storico, dalle fasce medie a quelle tradizionalmente povere della popolazione. “Anche oggi – ha osservato Mons. Nosiglia – per molti cittadini o stranieri tante porte restano chiuse, come è avvenuto per la famiglia di Nazaret a Betlemme”. Se non le case, sono i cuori che anzitutto restano chiusi e questo ha conseguenze devastanti sulla rete di solidarietà e di giustizia che dovrebbe garantire ad ogni cittadino il necessario per vivere, lavorare e sostenere la famiglia e il domani dei figli. La nostra gente è abituata a soffrire e ad arrangiarsi in ogni modo, ma oggi il perdurare della crisi è talmente esteso che sembra inutile tentare vie di uscita.
“Il Natale – ha proseguito l’Arcivescovo – richiama tutta la città per bene alla propria responsabilità, che essa ignora o sfugge, verso la città minore o invisibile cui convive accanto”.
C’è una precisa responsabilità politica intesa nel senso ampio del termine, di chi svolge nella società ruoli e compiti istituzionali, ma anche culturali, economici e finanziari, sanitari… con il compito, di servire la verità, la giustizia e la pace nella società civile. Bisogna combattere la corruzione, la ricerca di tornaconti personali rispetto al bene comune, il potere non sorretto dalla volontà di servire, l’obbedienza a quelle leggi non scritte ma ingiuste che regolano il politicamente corretto, il mercantile e la finanza, lo stesso mondo del lavoro, della scuola e ogni ambito dei servizi.
Ma c’è anche la responsabilità degli operatori della comunicazione sociale, che in questo momento di tensione internazionale dovrebbero assumere una linea etica precisa: quella di “non alimentare le diatribe, le divisioni e i contrasti, ma al contrario sostenere tutto ciò che opera nel quotidiano per promuovere la cultura dell’incontro e non dello scontro”.
Ci sono tanti segnali d’integrazione e di solidarietà e dialogo tra istituzioni e persone di diverse religioni e culture presenti nel nostro territorio. La Diocesi di Torino è un modello di accoglienza, collaborazione e rispetto di tutti – credenti e non –, per cui si moltiplicano le occasioni e le iniziative positive in questo ambito del convivere cittadino. “Intensifichiamo dunque la cronaca delle buone prassi e non quella dell’indifferenza o del rifiuto, altrimenti facciamo un grosso favore agli estremisti e a quanti pescano nel torbido e hanno buon gioco e terreno fertile per seminare i loro messaggi devastanti di violenza e di contrapposizione”.
Non continuiamo a percorrere vie sbagliate
Siamo in un tempo in cui una cappa di buio sembra essersi abbattuta sulla nostra città e civiltà occidentale e la paura e le preoccupazioni di ogni tipo, da quelle economiche a quelle politiche, sociali e spirituali comportano per ciascuno un supplemento di impegno per farvi fronte a partire dai fondamentali della nostra storia. Forse dobbiamo dircelo: ci siamo illusi e afflosciati, su alcune conquiste che sembravano traguardi sempre più grandi, positivi e sicuri, che la corsa a un nuovo sviluppo e progresso non si sarebbe arrestata. E invece, come la storia ci insegna “alle sette vacche grasse subentrano le sette vacche magre e, se durante l’abbondanza non si sta attenti ad essere sobrii, umili e discreti e a puntare su valori non solo mercantili e finanziari che passano, ma su quelli che restano – come sono il bene comune, l’onestà e la giustizia sociale, l’equità e il sostegno delle fasce più deboli e indifese dalla cittadinanza, insieme ai valori etici e spirituali che sono l’anima che orienta e guida ogni altro ambito di vita personale e sociale –, alla lunga tutto crolla”.
Abbiamo costruito un regno di cui eravamo orgogliosi come la statua vista in sogno dal re Nabucodonosor, che il profeta Daniele interpretò: essa aveva la testa di oro raffinato, il petto e le braccia di argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro… ma, ahimé, i piedi erano in parte di ferro e in parte di creta, per cui è bastata una piccola pietruzza rotolata giù dalla montagna a colpire quei piedi per far crollare tutta la grande statua (cfr. Dn 2,24-45).
“Così è stata la parabola discendente che abbiamo vissuto in questi ultimi decenni: non ci siamo preoccupati dei piedi e dunque dei fondamentali che sono i valori etici, spirituali e civili, ma di tutto il resto che era bello e affascinante ma non così utile e stabile come deve essere la roccia su cui poggiare anche per il futuro l’intero edificio della società”.
Come alimentare questa speranza? Guardando dunque a Gesù e alle tantissime cose ed esperienze positive che nascono dalla fede in lui e che ci sono attorno a noi e di cui noi stessi possiamo fare parte. Mons. Nosiglia ha ricordato l’impegno dei volontari, l’accoglienza delle oltre 200 famiglie e 150 tra parrocchie e Istituti religiosi che hanno accettato di ospitare uno o più rifugiati, e le moltissime iniziative caritative messe in atto durante questo anno. Una rete di solidarietà che mette insieme Istituti religiosi e Comune. Spesso sono gli stessi migranti che aiutano i più poveri.
L’Arcivescovo ha raccontato un episodio avvenuto alla Mensa amica della parrocchia S. Giuseppe Cafasso dove “Volontari e poveri presenti hanno voluto raccogliere offerte per altri poveri: un gesto che mi ha commosso e che ripete quanto già mi era capitato con i senza dimora, che mi avevano portato un sacchetto di monete raccolte per i rifugiati”. I poveri e chi si dedica gratuitamente a loro che si rendono responsabili di aiutare altri poveri sono un segno di grande luce e speranza, un bel regalo di Natale più di ogni altro.
Un povero in ogni casa
Mons. Nosiglia ha concluso il suo intervento con un invito esplicito “ad aprire la propria casa nei giorni delle Feste – e in particolare la domenica della Santa Famiglia, il 27 dicembre – alla presenza di un povero, da ospitare a pranzo insieme”. Un segno di accoglienza di Gesù stesso, rifiutato a Betlemme, ma che necessita anche oggi di essere accolto con gioia nella propria casa. I poveri ne sono la realtà e la viva presenza. I poveri ci permettono di esercitare in concreto la vera misericordia a cui ci richiama il Giubileo. Sono quella Porta Santa da varcare che ci permette di beneficiare della misericordia di Dio e dunque della sua salvezza.
Di Alessandro Ginotta
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