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Conosci la ricetta della felicità?

Qual è la ricetta della felicità?

Le cose belle durano poco. È un detto comune, ma ne sei proprio sicuro? Cosa ci dice il Vangelo? E come fare a vivere a lungo felici?

Il mio in(solito) commento a:
Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro (Matteo 10,17-22)

Ieri la gioia del Natale. Oggi la Chiesa festeggia il primo martire: Santo Stefano, diacono. Sembra quasi che le gioie, nel Vangelo, siano destinate a non durare. Ricordi l’episodio dell’entrata trionfale a Gerusalemme? “Via via che egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!»” (Luca 9,36-38). Meno di una settimana dopo Gesù verrà catturato e giustiziato. Dalla festa alla gioia in poche ore. Ma è davvero così?

Santo Stefano è il primo martire che il calendario liturgico ricorda subito dopo la Nascita di Gesù. Gli Atti degli Apostoli, ai capitoli 6 e 7 narrano gli ultimi suoi giorni. Fu eletto tra i diaconi che dovevano aiutare gli Apostoli. Fu anche il primo tra i discepoli del Signore a versare il suo sangue a Gerusalemme, dove, lapidato mentre pregava per i suoi persecutori, rese la sua testimonianza di fede in Cristo Gesù: “«O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l’avete osservata». All’udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì” (Atti 7,51-60).

Ecco come morì Santo Stefano. Lo Spirito Santo, quella forza che Dio mette dentro di noi e che ci offre le parole giuste da dire al momento giusto, ha dato a Stefano la possibilità di declamare alcune delle pagine più ricche di significato di tutta la Bibbia (cfr. Atti 6 e 7). E ci ha permesso di incontrare Saulo, prima di diventare San Paolo. Sì, proprio un persecutore di cristiani divenne il più prolifico scrittore del Nuovo Testamento.

Ma torniamo alle cose belle. Tutti sappiamo come la gioia per un successo, una vincita, qualcosa che è andata per il verso giusto, sia (ahimè) passeggera. Perché? Te lo dico subito: è perché si basa su qualcosa che non è veramente importante per la nostra anima. Qualcosa di materiale, qualcosa di finito. Qualcosa che viene dal mondo. La gioia vera, invece, è quella che abbiamo tutti dentro. Nella nostra anima. Ma non siamo capaci di riconoscere. Ma c’è un testo che ci aiuta a capire come fare. Leggiamo nelle primissime righe dell’Enciclica Evangelii Gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”. Ecco che abbiamo, insieme alla ricetta della felicità autentica, quella che non sbiadisce subito, un altro elemento che ci riporta agli Atti degli Apostoli. L’incontro con Gesù: quello che Saulo sperimentò lungo la via che conduce a Damasco e che lo trasformò radicalmente.

Allora la ricetta della felicità è proprio questa: riuscire a trovare la nostra via di Damasco. Il nostro momento speciale in cui entriamo, a tu per tu, in contatto con Dio e ci lasciamo trasformare da Lui.

Il grande rischio del mondo attuale, sempre più consumista ed individualista, è una tristezza che scaturisce dalla ricerca malata di piaceri superficiali. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene.

È solo grazie a quest’incontro – o reincontro, come afferma Papa Francesco – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità. Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. 

Lascia allora che Dio entri dentro di te e ti trasformi. Ti renderà migliore. E nella tua vita tornerà la gioia! #Santanotte!

Alessandro Ginotta

Il dipinto di oggi è: “La Madonna con il Bambino in fasce”, di Philippe de Champaigne, 1655, olio su tavola, collezione privata

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