Inizia così l’anno: pastori umili e ai margini della società del tempo testimoniano la natività del Pastore che si inoltra nel deserto delle nostre anime per aiutarci a ritrovare la strada quando ci sentiamo smarriti.
Il mio in(solito) commento a:
I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino. Dopo otto giorni gli fu messo nome Gesù (Lc 2,16-21)
Il pastore, ai tempi di Gesù, era considerato impuro, perché stava sempre a contatto con gli animali e non poteva osservare la legge. Veniva tenuto a distanza e, spesso, era costretto a vivere fuori dai villaggi, perché i cittadini temevano di contaminarsi con la loro vicinanza. Addirittura taluni consideravano i pastori alla stregua di ladri e assassini (non perché lo fossero, ma per via della loro “impurità”).
Dio ci sorprende sempre: è immenso, eterno ed onnipotente. Eppure ha scelto di venire sulla terra come un Bimbo indifeso. Addirittura è nato in una grotta, povero di tutto fuorché di amore. Esule braccato dai soldati di Erode, rifiutato da chi la fede avrebbe dovuto custodirla anziché combatterla, tradito dai suoi stessi discepoli, ingiustamente processato, percosso, vilipeso e inchiodato ad una croce. Tutto sembrerebbe fuorché un Dio. Almeno agli occhi degli uomini. Invece Cristo scompiglia tutti i giochi: risorge e ci libera dal peccato originale.
Nel mio ultimo libro accompagno il lettore in un’esperienza insolita, accompagnandolo a salire sulla croce insieme a Gesù. Da lassù, dall’alto del legno, il nostro sguardo assume la stessa prospettiva di quello di Cristo. Vediamo soldati, farisei, curiosi accorsi dai villaggi lontani per assistere alla crocifissione, per quel che sono: un’umanità sofferente, triste e dispersa, pecore che hanno bisogno del loro pastore per ritrovare la strada. Viste da lassù perfino le Beatitudini acquistano un significato diverso:
la tenerezza di Dio, che predilige cuori svuotati d’orgoglio per riempirli della profondità del cielo, che si avvicina agli occhi bagnati dalle lacrime per rasserenarli con parole di consolazione, che soccorre persone semplici, umiliate dai potenti, per mostrare loro la ricchezza di un tesoro che è fatto di dignità, di rispetto, di perdono, di sincerità e d’amore.
Così dobbiamo vivere, in modo semplice, senza permettere a mille affanni di opprimerci. Perché non c’è nulla, ma proprio nulla che l’uomo possa fare senza Dio. Può arrivare il più ricco del mondo, costruire un granaio gigantesco e mietere campi grandissimi. Ma nulla può contro il destino della morte (cfr. Luca 12,13-21). Invece, l’uomo, insieme a Dio, può costruire molte cose, per il bene suo e di tutta l’umanità. Ma la costruzione più bella, amici cari, è quella che si erge in cielo. Lassù, dove non c’è ladro che rubi o ruggine che consumi (cfr. Matteo 6,20). Perché “là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Matteo 6,21).
Dobbiamo “cambiare occhiali” e posare “lo sguardo del mondo” sul comodino, per leggere bene questa pagina di Vangelo. Dobbiamo dimenticarci della brama di possedere ad ogni costo. Dobbiamo abbandonare l’orgoglio ed accantonare il peccato. Ci sorprenderemo nello scoprire che proprio chi “soffre” agli occhi del mondo è più vicino al cuore di Dio e sperimenta la sua consolazione. E allora beati i poveri, gli afflitti, gli affamati, i perseguitati, coloro che vengono insultati!
E capiamo perché il Pastore delle pecore smarrite ha scelto proprio i pastori per testimoniare il mistero dell’incarnazione. #Santanotte e buon anno con la nuova prospettiva che ci ha regalato Gesù!
Alessandro Ginotta
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