Pubblichiamo di seguito il messaggio che Mons. Cesare Nosiglia ha pronunciato all’apertura dei lavori del Convegno “Salute e povertà”, organizzato dalla Società di San Vincenzo De Paoli, tenutosi a Torino il 12 novembre 2016, presso la sala teatro della Piccola Casa della Divina Provvidenza:
SALUTO DELL’ARCIVESCOVO DI TORINO CESARE NOSIGLIA
ALL’INCONTRO DEI MEMBRI DELLA SOCIETA’ SAN VINCENZO DE PAOLI.
Sabato 12 Novembre
Salute e povertà
Cari amici sono lieto di portarvi un saluto e un augurio in questo incontro che vi vede riuniti per riflettere sul rapporto salute e povertà.
Il termine salute non è sinonimo di mancanza di malattie o infermità, ma indica uno stato personale di benessere fisico, psichico, spirituale e sociale che dà modo di vivere serenamente e svolgere i propri impegni di famiglia, lavoro e attività varie.
La salute non è dunque un fatto puramente personale ma investe anche il vivere familiare e sociale insieme agli altri con cui si instaurano esperienze di amicizia e di dialogo e incontro. C’è pertanto uno stretto rapporto tra salute, qualità della vita e benessere della persona.
Le varie forme di povertà hanno un influsso molto forte sulla propria salute e a volte la mancanza di salute conduca a forme di povertà sempre piu’ accentuate sia di ordine fisico che morale e culturale.
Educare alla salute significa tenere presente tutto ciò in modo che anche le difficoltà derivanti da eventuali malattie o disabilità possano essere affrontate e gestite dentro una rete di rapporti e di esperienze ricche di umanità e di amore.
La famiglia rappresenta il luogo primario a cui occorre guardare per quell’opera di prevenzione necessaria a mantenere e alimentare una vita sana.In una famiglia anche se povera si dovrebbe infatti garantire uno stile di vita salutevole mediante relazioni affettive coinvolgenti e serene.Una famiglia aperta al sociale può offrire ai figli in particolare esperienze di dono di sé e di solidarietà verso chi è povero e malato, che portano gioia nel cuore e fanno sentire utili agli altri.
Il tutto viene arricchito dalla dimensione spirituale e religiosa che esalta i valori positivi dell’amore, del sacrificio, della accoglienza,alimentati dalla preghiera e dalla partecipazione alla vita della comunità cristiana .
E quando la salute di un povero o di una famiglia povera comincia a vacillare o è compromessa da disabilità o malattie è il momento di mettere in atto tutta una serie di attenzioni e risorse anche morali e spirituali necessarie a dare coraggio e forza di fede e di vita. Per noi cristiani anche la sofferenza ha una sua carica positiva da valorizzare e quindi dobbiamo educarci ad essa per saperla affrontare con fiducia e speranza. Lo possiamo fare se assumiamo verso chi, povero e solo, è malato o sofferente alcuni atteggiamenti di profonda umanità e spiritualità che Gesù vero medico dei corpi e dello spirito ci offre nel suo comportamento verso le persone che ricorrono a lui per ottenere la guarigione.
Gesù si reca a casa : la commensalità del dolore.
Gesù non le tiene ai margini della sua vita nessuna persona tanto meno se è povera e sofferente. Non è un Maestro che insegna dall’alto della sua cattedra, ma si coinvolge nel profondo dell’umanità delle persone. Non ha timore di farsi commensale e di stabilire dunque un incontro amicale ricco di gioia e di condivisione. Lebbrosi, sordi e ciechi, privi di salute ma anche di tutto ciò che è necessario per vivere. Gesu’ cerca un rapporto diretto, faccia a faccia con ogni persona.
E questo già ci interpella perché tutti corriamo il rischio di non vedere o incontrare le persone allontanandoci da esse con la scusa che non abbiamo tempo, non possiamo stare ad ascoltare, dobbiamo organizzare, discutere, produrre, programmare… insomma siamo un popolo che ha sempre fretta e fa le cose senza quella sufficiente umanità che si rivela nello stare insieme, nell’accompagnare nel perdere tempo con i poveri soprattutto quando sono affetti da malattie o disabilità… mi viene in mente l’episodio del Cottolengo che mentre un giorno giocava a bocce con i suoi buoni figli arrivano a chiamarlo urgentemente: “C’è il re in persona che è venuto per parlargli. E lui risponde: «dite al re che devo terminare la partita con questi miei figli poi verrò, perché loro ci rimarrebbero male se io me ne andassi subito»”.
Abitare le periferie esistenziali dei poveri e malati.
Ci sono poi delle parole che non sono mai pronunciate ma che di fatto ci vengono rivolte da tante persone con cui abbiamo a che fare ogni giorno. Per accoglierle dobbiamo entrare nella dimora della persona, dobbiamo farci accanto e prossimi per condividere un’esperienza di gioia o di dolore proprio come faceva Gesù: Lui sa vedere, ascoltare il grido dei malati e dei poveri anche se non parlano. Sa condividere insieme la loro mensa. C’è una specie di commensalità della povertà e del dolore che nasce dal sapersi far vicino a chi è nella sofferenza offrendo il sostegno di se stessi, dell’andare dentro la loro casa, il loro mondo carico di problemi ma anche di umanità profonda e ricca di valori interiori. Nell’esercizio del volontariato occorre educarsi a far emergere quella carità che non è commiserazione ma attenzione e disponibilità a mettersi in gioco dentro il vissuto delle persone e a non stare fuori del loro mondo considerandolo estraneo al proprio servizio .
Gesù inoltre tocca il corpo malato, si accosta, e solleva le persone prendendole per mano.
Non ha paura di toccare il lebbroso, tocca gli occhi del cieco nato, prende per mano la figlia di Giairo (cfr. Mc 5) e la solleva, così fa con la suocera di Pietro, si lascia toccare dalla peccatrice e dall’emoraissa. (cfr. Lc 7 e Mc 5)
Questa è la più grande novità che entra nella storia: Dio che si fa non solo vicino, ma si comunica come uomo e usa del suo corpo per incontrare la persona: una presenza dunque personale che non dice solo parole di consolazione e di speranza, ma fa gesti di condivisione anche fisica. Per chi crede questa è la fonte prima della sua speranza.
E questo non è un fatto spontaneo, ma fa parte di quella spiritualità della povertà e della sofferenza di cui ogni volontario, ministro della consolazione, è chiamato a farsi servo e strumento di grazia così come Gesù.
L’ Amore più grande è senza fine
Gesù va oltre il dovuto e non si stanca di amare e guarire.
Un ministero dunque carico di generosità e sempre disponibile al bisogno degli altri .
Cristo non limita le forze e il tempo e apre le sue braccia e il suo cuore a tutti senza preclusioni di sorta. In pratica misura il suo impegno non sulle sue forze, ma sulle necessità degli altri.
I bisogni del prossimo determinano il suo orario di lavoro fino allo stremo delle sue forze. Del resto la croce indicherà chiaramente questo amore “oltre misura” di Cristo. Egli ha tanto amato i suoi da dare la sua vita per loro. Li amò all’infinito, afferma l’evangelista Giovanni.
E’ un compito che spetta anche ai suoi discepoli: se infatti Lui ha dato la vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i nostri fratelli.
Nessuno è chiamato a diventare vittima del suo lavoro ed è giusto che si dica: basta, per oggi è troppo e si trovino spazi liberi durante l’anno, il mese, la settimana. Il lavoro è fatto per l’uomo e non l’uomo per il lavoro.
Ma è proprio in forza di questo principio che il lavoro non retribuito, gratuito come è il volontariato e comunque il servizio a chi è in necessità, non ha prezzo e non ha tempo.
Ricordo di avere incontrato un giovane sposo durante una visita pastorale: mi raccontò di aver sospeso il suo abituale lavoro per dedicare il suo tempo, 24 ore su 24, alla moglie, che era affetta di un male incurabile ed all’ultimo stadio. “Non voglio – mi disse – lasciare ad altri tipo badanti o infermieri il compito di stargli vicino fino alla fine. L’amore che avevo verso di lei deve continuare soprattutto adesso. Dedicherò dunque le mie giornate a lei costi quello che costi”.
Un esempio di martirio della carità e dell’amore che non è assente in diverse persone che in vari modi e forme percorrono la stessa via.
La carità, afferma l’Apostolo Paolo, tutto dona, tutto spera, tutto sopporta, tutto soffre… la fede e la speranza sono virtù importanti per la vita terrena, ma per questo cesseranno… la carità non verrà mai meno perché è eterna.
E’ quell’offrire la vita per amore che segna l’esistenza di chi vuole seguire Gesù e imitarlo nel tessuto quotidiano delle relazioni familiari e sociali.
Non è tuttavia solo “un fare”, ma un modo di rapportarsi con le persone, uno stile di vita, una via di santità a cui ogni cristiano è chiamato.
Cari amici,
Questo è il Dio con noi che ci educa a unire strettamente la cura della salute e la vita di tanti poveri che sono sofferenti e bisognosi di salute e di vita:
Ha amato con cuore di uomo, ha lavorato con mani e mente di uomo, ha sofferto ed è morto come ogni uomo. Nella sua vita, nei suoi gesti e nelle sue parole ma soprattutto nel suo comportamento, possiamo trovare la via da seguire per essere, come lui, persone nuove, ricche di umanità e di amore verso i “nostri” ma anche verso chiunque chiede e dona amore con la sua sofferenza.
A Maria Salus infirmorum, Madonna della salute, affidiamo la cura della nostra salute fisica e spirituale perché possiamo vivere ogni giorno con serenità e fiducia in Gesù Cristo suo Figlio e nostro Salvatore. Lei si è fatta carico della salute e della vita buona di Santa Elisabetta, della famiglia di Cana e sotto la croce ha offerto il suo sacrificio in unione a quello del Figlio per la salvezza eterna di tutta l’umanità, sa ascoltare il grido dei poveri e di tanti malati e sofferenti e come ci dimostra in tutti i suoi santuari è pronta e intercedere perché le preghiera e le lacrime non vadano perdute e siano accolte da Dio.
Mons. Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino
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