Il 31 gennaio ricorre la festa di San Giovanni Bosco. La città di Torino lo ha ricordato con un fitto calendario di eventi. L’Arcivescovo, Mons. Cesare Nosiglia, ha celebrato due Sante Messe, una nella Basilica di Maria Ausiliatrice, il Santuario fondato da don Bosco, la seconda all’interno del carcere minorile Ferrante Aporti, a testimonianza del grande amore del santo educatore per i giovani.
A Maria Ausiliatrice l’Arcivescovo ha ricordato le parole pronunciate da Papa Francesco durante la sua visita a Valdocco lo scorso giugno: “Della forte esperienza che ho fatto da giovane con i salesiani ringrazio Dio perché mi hanno aiutato a crescere senza paura, senza ossessioni. Guardate le strade, guardate i ragazzi e fate decisioni rischiose. Non abbiate paura. Come ha fatto don Bosco”.
L’Arcivescovo si è poi soffermato sui “tre amori” di Don Bosco: quello per Gesù Eucaristia, senza il quale è impossibile realizzare i sogni a cui aneliamo nel cuore; l’amore per Maria, che il santo onorava sotto il titolo di Ausiliatrice; l’amore per il Papa, il cui esempio “deve essere seguito con coraggio e senza troppi se e ma di riserve”.
“Don Bosco – ha osservato Mons. Nosiglia – ci invita a non perdere di vista la grande sfida di uscire fuori e diventare propositivi della nostra fede e amicizia a tanti che vivono ai margini delle nostre comunità e che si incontrano nell’Università, nei luoghi del tempo libero e del divertimento, nel mondo dello sport o del lavoro, sulla strada… Lì è necessario non essere o sentirsi soli, per cui occorre fare alleanze con altri, credenti o non, per portare una testimonianza fattiva di valori positivi ma anche alternativi e dunque saper andare anche controcorrente”.
Il santo educatore ha sempre nutrito una incrollabile fiducia in Dio. Noi viviamo in tempi in cui è facile peccare contro la speranza perché “tutto sembra cambiare in peggio” ma questa è “una visione pessimistica che non si addice a chi crede nel Signore risorto che cammina con noi ogni giorno”. Sperare sempre anche contro ogni speranza umana significa “non aver paura di affrontare il buio sapendo che c’è una luce che ci illumina: quella della fede e dell’amore di Dio”. Dunque si tratta “di non lasciarsi mai vincere dal male ma vincerlo con il bene perché alla lunga Dio opera perché si realizzi”.
Come è stato detto al Convegno Ecclesiale di Firenze: “I giovani vivono la loro esistenza in uscita: in una società che sembra non aver più bisogno di loro”. Le comunità non di rado tendono a “trattenere i giovani”, in un disperato tentativo di serrare le fila, “nella paura che vadano, che si intromettano, che si sporchino”. Occorrono “comunità audaci, capaci di scommettere sui giovani, ben sapendo che commetteranno errori e combineranno guai, ma pronte ad accoglierli e comprenderli (non a scusare ogni pigrizia e tollerare l’apatia)”.
In visita al carcere minorile Ferrante Aporti, Mons. Nosiglia ha ricordato che don Bosco amava i giovani detenuti in quanto erano “giovani” e come tali prediletti del Signore e li riteneva “in grado di riscattarsi dal male e di vincerlo con la forza del bene che alberga nel loro cuore”. “Questa mia visita – ha aggiunto l’Arcivescovo – vuole significare anche l’affetto che nutro verso ciascuno di voi, che siete cari al mio cuore, perché vivete in situazioni di grave sofferenza interiore e siete bisognosi della misericordia del Signore e del suo amore di Padre che rende forti nella prova, perché ci assicura che sempre siamo da lui amati e salvati”.
“Gesù vuole incontrarvi uno ad uno; vuole accogliere le vostre preghiere, le vostre segrete aspirazioni del cuore, il vostro pentimento, ma anche la vostra voglia di riscatto e di rinnovamento; vuole aiutarvi a non disperare mai del suo sostegno anche quando sembra che tutto vada in rovina e la disperazione penetra nel cuore. No, tutto nella vostra vita può e deve ricominciare e cambiare, perché con la fede nel Signore è possibile!”.
Anche il tempo trascorso in carcere è “tempo di Dio e, come tale, va vissuto”. Tempo di riscatto e di redenzione dalla colpa commessa; tempo di fiducia per poter riprendere il cammino della vita rinnovati. “Il carcere – ha concluso Mons. Nosiglia – non deve essere un luogo di diseducazione e di pena detentiva, ma di redenzione offrendo dunque condizioni di vita, di ambiente e di relazioni interpersonali umane e dignitose per poter ritornare a sperare in una vita nuova e a prospettive di riscatto e di reinserimento nella società con dignità di persona e con spirito di solidarietà”.
Di Alessandro Ginotta
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