Credere mette le ali ai piedi, al contrario, negare l’esistenza di Dio, fa di noi dei prigionieri dell’immanente, incapaci di trovare appagamento nell’infinità del trascendente.
Il mio in(solito) commento a:
Andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno (Matteo 28,8-15)
È come correre sulla carta vetrata. Un brano in cui due sensazioni opposte si toccano: da un lato l’incontenibile gioia delle donne che si affrettano a portare l’annuncio della Risurrezione ai discepoli; dall’altro lato il deprecabile sotterfugio degli anziani che corrompono le guardie affinché dichiarino il falso.
Il corpo di Cristo non si trova più. Ed anche qui assistiamo a due risposte: quella di chi ha fede, come queste donne che corrono a perdifiato per diffondere la buona notizia; e quella di chi proprio non riesce a credere e si ostina a mettere ostacoli lungo il cammino, creando e diffondendo vere e proprie fake-news ante litteram.
L’uomo che non crede, colui che rimane ancorato allo spirito del mondo, è come se vivesse costantemente “zavorrato” a terra: proprio non riesce a sollevare lo sguardo dai propri piedi, non è capace di volgere gli occhi al bello, all’alto, a Dio. E così, inventa qualsiasi fandonia, pur di tentare di giustificare ciò che non capisce, ciò che è soprannaturale e sfugge alla misera logica terrena.
Non riescono a credere, i farisei, però un annuncio di Cristo li spaventa: «Dopo tre giorni risorgerò» (cfr. Matteo 27,63). Così ordinarono a delle guardie di sigillare il Sepolcro e di presidiarne l’ingresso per tre giorni. Ma quei soldati furono testimoni oculari di eventi sorprendenti: “Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite” (Matteo 28,2-4). Quando andarono a fare rapporto agli anziani, questi si sentirono fortemente imbarazzati di fronte all’affermazione che Gesù fosse risuscitato. E così escogitarono l’idea di incolpare i discepoli di aver trafugato il corpo : “«E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute” (vv. 12-15).
Le ultimissime ore di vita di Gesù sulla terra e le vicende dei primissimi giorni successivi alla sua Risurrezione trovano alcuni interessanti riscontri tra documenti e reperti storici. La notizia della Risurrezione (o meglio, della scomparsa del corpo di Gesù, così come la si voleva far credere) arrivò prima all’orecchio di Pilato e poi perfino a quello dell’imperatore romano Claudio, che emise un editto che è giunto fino ai nostri giorni, scolpito su una pietra.
Stiamo parlando della “lapide di Nazaret” (o “iscrizione di Nazaret”), una lastra di marmo di 24×15 centimetri che riporta la seguente iscrizione: ” Ordinanza di Cesare: piace a me che i sepolcri e tombe, di qualsiasi tipo […] rimangano indisturbate in perpetuo […] Voi non dovete assolutamente permettere a nessuno di spostare coloro che vi sono stati sepolti. Ma se qualcuno lo facesse, io ordino che il violatore subisca la pena capitale con l’accusa di violatore di tombe”. Evidentemente la scoperta del Sepolcro vuoto di Gesù dovette creare un gran scompiglio!
Ma lo vedete, amici? Credere mette le ali ai piedi, al contrario, negare l’esistenza di Dio, fa di noi dei prigionieri dell’immanente, incapaci di trovare appagamento nell’infinità del trascendente.
E noi, stiamo sempre attenti che non ci rubino Gesù? La nostra vita è frenetica. Un vortice di impegni e mille preoccupazioni, che ci avvinghiano come lacci, ci distraggono dal messaggio divino. Mille ansie di questo mondo ci distolgono dalla preghiera e ci spingono a mettere in secondo piano la nostra vita spirituale. E così gli affanni ci sottraggono, a poco a poco, Gesù. Non pensiamo più a Lui.
Dio, al contrario, ci ama come un amante che non si può trattenere: deve starci sempre vicino, anche se noi non lo cerchiamo. Anche se noi facciamo di tutto per non accorgerci di Lui. Lui si avvicina, ci cerca, ci ama, ci protegge con garbo dai percoli che ci circondano, ed aspetta. Attende che noi alziamo gli occhi verso di Lui, che noi decidiamo di lasciarlo entrare, che noi accettiamo che Lui ci getti le braccia al collo, ci perdoni, e ci riaccolga a pieno titolo in seno alla famiglia. Perché il suo cuore piange quando noi ci allontaniamo. Ed il suo unico desiderio è il nostro ritorno. Come avvenne con il Figliol prodigo. Perché “ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7).
Non smettere mai di cercare Gesù, perché è proprio nei momenti più bui, in quelli che ti sembrano senza fede, in cui non vedi l’orizzonte, che Dio è più vicino a te e ti dice: “Alzati e vai avanti! Cammina!”. Basta ascoltarlo. #Santanotte.
Alessandro Ginotta
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