Ecco una pagina imbarazzante e difficile da spiegare: un’affermazione di Gesù ci lascia perplessi…
Il mio in(solito) commento a:
Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele (Mt 10,1-7)
Avrò letto decine e decine di commenti a questo brano di Vangelo, ma nessuno di essi mi ha convinto pienamente. C’è poco da fare; la frase: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele» (cfr. v. 7) ci sconcerta. Non riusciamo a comprendere l’atteggiamento di Gesù! La missione degli apostoli, nella versione di Matteo, sembra “monca”: essi debbono rivolgersi soltanto al popolo di Israele, evitando di inoltrarsi nelle terre dei pagani. Eppure questo cozza tremendamente con l’idea che abbiamo di Gesù. Ed anche con la conclusione dello stesso Vangelo, quando Gesù esorta gli apostoli: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20). Allora, come conciliare le due frasi?
Quando un brano non ci è molto chiaro possiamo quasi sempre incolpare la traduzione. Secoli di storia stratificati, errori dei copisti, danneggiamento dei testi originali, rischiano di rendere non così immediata l’interpretazione di alcuni versetti. Non sappiamo che cosa sia avvenuto in questo caso. Forse un amanuense fece confusione, o forse proprio nulla. D’altra parte, in un altro brano Gesù, sempre attraverso la penna di san Matteo, ripeterà le stesse parole, che, in quel caso, assumeranno una connotazione ironica: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 15,24). Si tratta dell’episodio della donna cananea con una figlia ammalata. Ovviamente Gesù, che non ha esitato a rinunciare alla comodità dei cieli per farsi Uomo, che è sceso sulla terra per camminare insieme a noi, per salvarci, non può ignorare la sofferenza di una persona. Fosse anche la più lontana da Dio. Un paradosso, cercato dallo stesso Gesù per mostrarci che l’amore non ha confini, non distingue differenze di ceto, di nazionalità e neppure di credo. Perché nessuno per Dio è “straniero” o “escluso”.
La donna cananea è certa che, per Gesù, la sofferenza di un figlio conti più della religione professata. Perchè: “Io ho anche delle altre pecore che non sono di quest’ovile; anche quelle io devo raccogliere, ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge e un solo pastore” (Gv 16,10). Perché “ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25, 35). Perché lo stesso popolo di Israele è stato straniero: “Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio” (Lv 19,34). Ricordiamo sempre che in Matteo 25, Gesù ci insegna che qualunque cosa facciamo al più piccolo dei suoi fratelli, la facciamo a Lui. Quindi quando guardiamo qualcuno con disprezzo, stiamo maltrattando una persona creata a immagine di Dio e stiamo, in qualche modo, facendo del male a qualcuno che Gesù ama e per cui Egli è morto. Abbiamo visto, cara lettrice, caro lettore, che l’incontro è sempre foriero di novità, di cambiamento. Davanti alla tentazione di costruire muri nel cuore, prima ancora che sulla terra, pensiamo che chiunque alza un muro, rischia di finirci prigioniero dentro, sacrificando la sua stessa libertà in un futuro senza orizzonti.
E in questo caso? Anche in questa pagina c’è una spiegazione? Una potrebbe essere la nostra “piccolezza”. Sì, proprio quella che ci convince di essere “grandi”, quando in realtà siamo troppo vuoti di fede, inesperti. Ed è così: “senza di me non potete far nulla” (cfr. Gv 15,5). Ma: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20). Ricordate quei giochi di enigmistica che ci invitano a trovare le differenze? Nel nostro caso ne abbiamo due: lo Spirito Santo e la presenza di Gesù.
Scrive San Paolo: “Quand’ero bambino parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma divenuto uomo ciò che era da bambino l’ho abbandonato” (1Cor 13,11-12). Occorre crescere pian piano. Così come un bambino, prima di affrontare le corse in bicicletta deve fare esperienza con le rotelle, anche gli apostoli, prima di ricevere lo Spirito Santo, non possono dedicarsi ai compiti più complessi. Hanno bisogno di Gesù. Hanno bisogno di venire ispirati dallo Spirito.
Quando Gesù salirà al cielo (Mt 28), gli apostoli avranno già ricevuto lo Spirito Santo e allora saranno capaci di compiere quelle opere che ora risulterebbero difficili e gravose, tanto da spingerli al fallimento od allo scoraggiamento.
Dobbiamo avere fede in Cristo, dobbiamo avere fiducia nello Spirito Santo, che è la nostra forza. Lo Spirito Santo ci offre la capacità di sopportare tutto ciò che accade nella nostra vita, ci rinforza e ci sprona a rimanere saldi fino alla fine. Lo Spirito Santo ci guida e ci dona il coraggio che ci permette di superare le situazioni più difficili.
Dopo la Pentecoste, guidati dallo Spirito Santo e forti della presenza di Gesù, potranno affrontare anche i compiti più difficili. Perché, come ci ricorda Papa Francesco: “lo Spirito Santo è come un vento forte e libero. Ci porta forza e libertà. Non si può controllare, fermare, né misurare; e nemmeno prevederne la direzione. Non si lascia inquadrare nelle nostre esigenze umane, nei nostri schemi e nei nostri pregiudizi”. “Lo Spirito è universale, è per tutti – ha detto ancora Papa Francesco – cambia il cuore, allarga lo sguardo dei discepoli. Li rende capaci di comunicare a tutti le grandi opere di Dio, senza limiti, oltrepassando i confini culturali e religiosi entro cui erano abituati a pensare e a vivere. Mette in grado gli Apostoli di raggiungere gli altri rispettando le loro possibilità di ascolto e di comprensione, nella cultura e linguaggio di ciascuno”.
Non poniamo mai limiti né confini all’amore. Perché l’amore di Dio è sconfinato ed è certamente più grande della nostra piccolezza #Santanotte
Alessandro Ginotta
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