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Perché Dio permette l’esistenza del male?

Perché Dio permette l'esistenza del male?

Non ci dobbiamo “chiudere” nei nostri recinti, nei nostri piccoli cenacoli. La “congrega” dei buoni… No. Gesù lo dice chiaramente: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”. Ognuno di noi, quando è sincero, può diventare strumento del bene.

Il mio in(solito) commento a:
Chi non è contro di noi è per noi (Mc 9,38-40)

Qualche giorno fa abbiamo riflettuto sul perché esiste il male. È la domanda che si è posto Giobbe il giusto, al culmine della sua disperazione. È una domanda legittima, soprattutto quando ce la facciamo nel momento in cui il male stesso ci piomba addosso. È una domanda ancor più plausibile in questo tempo, in cui il Male in persona (nota la “M” maiuscola) è venuto a ricordarci che nel mondo non c’è solo pace, ma ci sono anche conflitti tanto sanguinosi quanto ingiustificabili. Attorno a noi si moltiplicano le brutture, cose che palesemente non vengono da Dio. Allora viene anche a noi spontaneo chiederci perché esiste il male? O, ancor più significativamente: perché Dio permette il male?

Eppure, riflettiamo un istante: può Dio, che ha creato il mondo e l’uomo a sua immagine e somiglianza, che ci ha amati a tal punto da inviare sulla terra il proprio figlio a morire per noi, a farsi Pane per la nostra salvezza, può quel Pastore che non esita a lasciare le novantanove pecorelle per inoltrarsi nel deserto a cercare la centesima, l’unica che si sarà smarrita, può quello stesso Dio che ci ama a dismisura, desiderare il male per noi?

No, non può! E allora perché il male è presente nel mondo? Devo fare un distinguo: ci sono due tipi di male. Uno che dipende da noi, dalla nostra cattiveria, dalla nostra negligenza, dalla nostra bramosia di possedere tutto e tutti, dal nostro orgoglio. È un “male che fa male”, perché si potrebbe evitare, se soltanto nelle nostre vene circolasse più amore e meno invidia. È il male che ci conduce all’inferno, proprio perché, scegliendo liberamente di commetterlo, pecchiamo contro il comandamento dell’amore: se nuociamo al nostro fratello significa che non lo amiamo (cfr. Luca 10,25-28). È il male commesso da Pilato, quello di Hitler e di tanti, troppi statisti anche dei giorni nostri.

Poi ci sono le tragedie, come quella della torre di Siloe che cade sulle persone ignare e le uccide. Come un terremoto, un’alluvione… Un male che, se proprio vogliamo andare a guardare alla radice, deriva comunque da una scelta: quella del demonio. Sì, perché Satana scelse deliberatamente di non riconoscere Dio: si riteneva superiore e lo sfidò.

Ma che c’entra questo con le disgrazie che accadono? C’entra, perché sotto le sembianze del serpente, fu proprio il Male in persona ad ingannare Eva ed a spingere Adamo a compiere il peccato originale, aprendo così una ferita, tra immanente e trascendente. Una ferita che ancora oggi sanguina. L’eco di quella scelta compiuta dal primo uomo, che riverbera la scelta, ancora peggiore, operata dal demonio quando ancora era in cielo, sta ancora ripercuotendosi sulla materia. L’universo intero vibra e stride come un violino con una corda rotta in seguito all’azione scellerata del demonio. L’armonia del cosmo è ancora oggi turbata e deturpata da quel peccato che ha separato l’uomo da Dio.

Il male esiste come “vuoto di bene”. Dove non c’è l’amore c’è il male. Nel cuore di Satana, orgoglio ed invidia sono cresciuti a dismisura, ed hanno allontanato l’amore. Ecco che, chi un tempo era un angelo, è diventato il principe dei demoni. Creature angeliche che, nella grande libertà che Dio ha lasciato a loro (ed a noi) hanno scelto di operare il male. Hanno scelto di allontanarsi da Dio. E così, anche oggi, all’inferno vanno quelle anime che hanno scelto volutamente di allontanarsi da Dio. Che hanno deciso di non accogliere la sua offerta di perdono.

Ecco che arriviamo alla chiave del brano di oggi: Dio unisce, mentre il diavolo divide. La stessa parola “diavolo” deriva dal latino diabolus e, a sua volta, dal greco diábolos, (“dividere”, “colui che divide”). Quello che separa, quel che crea fratture, incomprensioni, litigi, violenza e guerre, non viene da Dio!

Dove il bene non arriva, perché siamo noi stessi ad allontanarlo o a non permettergli di raggiungerci, allora il Nemico, il divisore, trova terreno fertile e si insinua, sfrutta le nostre debolezze, travestite da forza e ci mette l’uno contro l’altro. Ci aizza. Entra in modo subdolo, il “divisore”: un piccolo peccato. Cedere ad una tentazione: “che male farà?” diciamo talvolta. Quasi non ce ne accorgiamo. Poi un sassolino diventa una montagna. Chiacchiere, maldicenze, infamie, si colpisce con la parola colui che si ritiene essere il nemico (con la “n” minuscola, quindi un nostro fratello, forse solo più sfortunato di noi). Il Nemico (con la “n” maiuscola) ci porta rapidamente verso una spirale fatta di liti devastanti, ed altre manifestazioni più o meno gravi di intolleranza.

Tutto questo non viene da Dio. Dio è amore. Dio vuole l’unità, non la divisione. Vedi com’è potente il Nemico, com’è subdolo? Si sente minacciato da questo estraneo che scaccia i demoni nel nome di Gesù e… cosa fa? Insinua il dubbio, istiga alla divisione: “ma lui non è dei nostri, non ci segue, allora è malvagio”. Noi contro di loro. Noi, i buoni, loro, i “cattivi”.

Non è così. Non ci dobbiamo “chiudere” nei nostri recinti, nei nostri piccoli cenacoli. La “congrega” dei buoni… No. Gesù lo dice chiaramente: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”. Ognuno di noi, quando è sincero, può diventare strumento del bene.

Davanti alla tentazione di arrabbiarci contro tutto e contro tutti, ricordiamo sempre che la pacatezza fu “l’arma” più potente di Gesù: non dividiamoci, ma cerchiamo sempre di ricomporre qualsiasi frattura. Preghiamo per l’unità e la pace nel mondo intero! #Santanotte

Alessandro Ginotta

Il dipinto di oggi è: “La Vergine dell’Apocalisse”, di Miguel Cabrera, 1760, olio su tela, 352 x 340 cm, Museo Nacional de Arte, Città del Messico

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