Troppe volte guardiamo chi ci sta accanto dall’alto verso il basso, etichettandolo. Così che i lebbrosari di oggi sono le strade, i ponti e qualche volta perfino i nostri quartieri.
Il mio in(solito) commento a:
«Signore, se vuoi, puoi purificarmi» (Matteo 8,1-4)
La lebbra, nei tempi antichi ed anche ai tempi di Gesù, era la peggiore delle malattie. Perché non solo colpiva il corpo, ma rubava anche tutti gli affetti alle persone ammalate che venivano ritenute impure e, come tali, “contagiose” non solo di malattia, ma anche di “impurità spirituale”. Perché la malattia, dagli antichi abitanti di Israele, veniva ritenuta una conseguenza del peccato. Si pensava che fosse una punizione. E nessuno avvicinava un lebbroso per non venire contagiato dal male, ma anche dal deterioramento spirituale che lo ha causato. Il lebbroso era un “paria” a tutti gli effetti. E non veniva neppure accettato nelle città, ma doveva vivere, da solo, in aperta campagna. Senza accostarsi a nessuno!
Ecco che il contagio del batterio che provoca la lebbra (in realtà relativamente difficile da trasmettersi da persona a persona) diventa assolutamente secondario in confronto ad un altro ben più terribile contagio: quello non solo dell’indifferenza, ma del disprezzo. Un’epidemia dalla quale ancora oggi non siamo (ahimè) usciti. Troppe volte guardiamo chi ci sta accanto dall’alto verso il basso, etichettandolo. Così che i lebbrosari di oggi sono le strade, i ponti e qualche volta perfino i nostri quartieri.
Ma torniamo al brano del Vangelo di oggi: un ammalato emarginato. Non è forse un candidato ideale per la misericordia di Gesù? Ed è così che, anche in questo brano di Vangelo, Gesù si commuoverà: “Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita” (v. 3).
«Signore, se vuoi, puoi purificarmi» (v. 2). È il grido del lebbroso che si avvicina a Gesù. Ed è il grido di tutti noi: chi non ha un male, un difetto, una preoccupazione da cui vorrebbe essere liberato? Non dobbiamo temere di chiedere a Dio di liberarci dai nostri mali, dai nostri difetti, dai nostri peccati (perfino da quello che ci spinge ad emarginare chi si presenta solo un po’ diverso da noi). #Santanotte
Alessandro Ginotta
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