Nel tentativo di arginare lo spopolamento delle chiese alcuni gruppi di cristiani stanno, in più parti del mondo, tentando di recuperare il senso della Liturgia. Cosa di per sé positiva, ma non basta. Anzi, se portata avanti da sola, come sta avvenendo ora, rischia di fare danni.
Il mio in(solito) commento a:
Tu sei Pietro, e a te darò le chiavi del regno dei cieli (Matteo 16,13-20)
È un po’ come soffermarsi a pulire solo l’esterno del bicchiere (cfr. Matteo 23,13-33), preoccuparci dell’aspetto esteriore dei riti, senza guardare a quanto veramente conta: a quel che è contenuto all’interno. E che cosa c’è (o meglio non c’è più) dentro al nostro bicchiere? La tensione verso l’infinito, la consapevolezza che la preghiera non è solo ripetere sequenze di parole, ma è principalmente un movimento del cuore che parte dalla nostra anima e si espande fino a toccare il mistero di Dio (cfr. Matteo 6,5-13). La capacità di non chiudersi davanti a doni e carismi che lo Spirito Santo continua ad elargire su di noi, ma ammettere che il trascendente esiste ed è capace di innumerevoli sorprese: “E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell’unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole” (1Corinzi 12,7-11). Non dobbiamo perdere il tesoro che ci ha offerto Dio attraverso lo Spirito Santo! Non dobbiamo dimenticare i carismi che riempiono (o riempivano) una parte di quel bicchiere che oggi ci stiamo sforzando di far brillare all’esterno.
San Pietro, in questo brano di Vangelo, ascolta la voce dello Spirito Santo e gli presta le sue labbra. Gesù vuole sapere che cosa si pensi di Lui: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (v. 13). Via via, una serie di risposte. Solo San Pietro afferma con decisione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (v. 16).
Sempre impulsivo, irruento, sanguigno, ma molto genuino, San Pietro è, tra gli apostoli, forse quello che più ci assomiglia. È sempre pronto a scagliarsi in difesa delle proprie idee; talvolta è anche veloce con la spada, come nell’episodio del servo Malco. Ma se, altre volte, il suo entusiasmo ha provocato il biasimo di Cristo, oggi viene premiato: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli» (v. 18). Questa volta non è stato avventato nel parlare, ma è stata l’irruenza dello Spirito Santo a mettere sulle labbra dell’apostolo la verità: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
Ti è mai accaduto di avere la sensazione che qualcosa stia per succedere e, di lì a poco avviene proprio quello che avevi pensato? No, non ti preoccupare: non sei un “mago”, semplicemente sei stato attento. Hai ascoltato la voce dello Spirito Santo che è giunta fino a te. In qualche modo possiamo dire che sei stato un profeta. Ma attenzione, la profezia (quella vera) non è mai a vantaggio di sé stessi, ma sempre degli altri.
Lo Spirito Santo agisce (anche) attraverso di noi. Sono momenti unici nella vita dell’uomo, quelli in cui accettiamo di farci piccoli piccoli, azzeriamo la nostra vanità ed il nostro orgoglio, e lasciamo che sia il divino a parlare per noi. A parlare dentro di noi. Un’esperienza mistica ed intensa che non capita a tutti. Un’intensità irrefrenabile che si sprigiona non da noi, ma da Dio, che si esprime attraverso di noi. Ecco cosa è accaduto a San Pietro. Ha saputo ascoltare.
Perché, come scrive San Paolo nella prima lettera ai Corinzi: “Chi profetizza parla agli uomini per loro edificazione, esortazione e conforto” (1Corinzi 14,3). Nell’era dominata dall’egoismo, in un tempo in cui ciascuno di noi è più abituato a parlare, che ad ascoltare, è importante non chiudere il nostro cuore, ma aprirlo all’amore di Dio che vi si riversa dentro. È importante imparare ad ascoltare la voce di Dio. E riproporla a chi, ancora, non la conosce. Perché le ultime parole di Gesù, prima di salire al cielo, sono state: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura” (Marco 16,15).
Prima di pulire l’esterno riempiamo l’interno! Non chiudiamoci in una asettica (ed asfittica) esteriorità, ma recuperiamo l’autentico senso della fede, che è dialogo intimo con Dio, che è capacità di sorprendersi davanti all’infinito, che è gioia di sentire dentro di noi la voce di Dio, che è apertura a credere che i miracoli veramente possano accadere e non solo venire raccontati come se fossero confinati al passato #Santanotte
Alessandro Ginotta
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