Tag: amore

  • Ecco la ricetta per la tua risurrezione!

    Ecco la ricetta per la tua risurrezione!

    Dentro di noi c’è una nostalgia radicata, una fame di Dio che non si spegne mai davvero. Anche quando ci allontaniamo da Lui, per un po’ l’eco della Sua presenza rimane. Rinneghiamo Dio, ma è la Sua luce a tenere insieme i pezzi della nostra vita.

    Il mio in(solito) commento a:
    Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita (Lc 15,1-3.11-32)

    Tornare alla vita. Quante volte, nei momenti più bui, abbiamo desiderato avere questo potere? Eppure, sai una cosa? Possiamo davvero risorgere. Non nel senso fisico, certo, perché per quello dovremo attendere il giorno in cui Gesù ci aprirà le braccia. Ma possiamo sperimentare una risurrezione personale, proprio come il figliol prodigo di cui ci parla l’evangelista Luca.

    Possiamo rialzarci dalle nostre cadute, lasciare il passato alle spalle e ricominciare. Possiamo cambiare vita. Possiamo convertirci. E tutto parte da una scintilla, una piccola luce che arde dentro di noi: il desiderio di cambiare, il coraggio di riconoscere i nostri errori. Ma attenzione: quella scintilla non nasce da noi, è un dono. È la fiammella che Dio stesso ha acceso nella nostra anima, quella stessa luce che ci rende simili a Lui.

    Perché sì, dentro di noi – in ciascuno di noi – c’è sempre una fiammella di bontà e amore. Anche nell’anima più dura, anche dietro il muro più spesso di malvagità, odio o invidia, quella luce non si spegne mai. È la stessa fiamma che ha illuminato il cuore del buon ladrone sulla croce, San Disma. In un solo istante, in un solo guizzo di quella scintilla, si è salvato ed è stato il primo santo “canonizzato” da Gesù stesso.

    E allora, non disperiamo mai! Non importa quanto grande sia la nostra colpa, quante volte siamo caduti, quante ferite ci portiamo dentro. Dio è qui. Vicino. Pronto ad accoglierci, pronto ad abbracciarci non appena faremo ritorno a Lui.

    Perché siamo figli. E un Padre non smette mai di amare i suoi figli.

    A volte, per paura o per mancanza di comprensione, ci allontaniamo da Dio. Altre volte è la tentazione a metterci di traverso. Ma vivere senza di Lui? È come vivere in bianco e nero. La vita senza Dio perde colore, perde sapore. È come camminare al buio: prima o poi, inciampi.

    Dentro di noi c’è una nostalgia radicata, una fame di Dio che non si spegne mai davvero. Anche quando ci allontaniamo da Lui, per un po’ l’eco della Sua presenza rimane. Rinneghiamo Dio, ma è la Sua luce a tenere insieme i pezzi della nostra vita. Fino a quando non si spegne del tutto. E allora ci scontriamo con la realtà: la vita, senza di Lui, è un’infinita rincorsa di qualcosa che non sappiamo nemmeno identificare.

    A quel punto, il cuore torna a cercare. Cerchiamo Gesù, quel Gesù che non ha nemmeno un posto dove posare il capo. Ecco la sete di infinito, ecco il bisogno di nutrirci del Pane Vivo che è Lui.

    Allora, che aspetti? Cambia la tua vita, fallo adesso, non rimandare! Credi in un futuro diverso, con Dio al tuo fianco. E vedrai: la vita tornerà a sorriderti #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Il Sacro Cuore di Gesù”, di Carl Dietrich, 1842, olio su tela, 84 x 68.7 cm, Collezione privata

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  • La ricetta dell’amore

    La ricetta dell’amore

    Se esiste un passo del Vangelo capace di svelare il segreto dell’universo, è proprio questo: l’amore, incontenibile e sconcertante, capace di ribaltare ogni logica umana! Sei pronto a lasciarti travolgere? Scopriamolo insieme nel mio in(solito) commento a:

    Amerai il Signore tuo Dio. Amerai il prossimo tuo (Marco 12,28-34)

    L’amore… ah, l’amore! Chi lo ha provato sa bene che è una forza travolgente, capace di sollevarti da terra e farti sfidare l’impossibile. Per chi ami davvero, non c’è distanza che tenga, non c’è notte troppo buia, non c’è ostacolo insormontabile. Se a chiamarti è quella voce speciale, salti giù dal letto, attraversi la città e fai il possibile – e l’impossibile – per essere lì. L’amore vero mette l’altro prima di te stesso. Rinunceresti a tutto pur di salvare chi ami da un dolore, una malattia, una caduta nel buio.

    Se queste parole ti risuonano nel cuore, allora vieni con me: facciamo un salto ancora più in alto e pensiamo a Gesù. Lui ha guarito, sfamato, liberato. Ha donato se stesso senza riserve, pur sapendo che ogni suo atto d’amore lo avvicinava sempre più alla croce. Scribi e farisei stringevano il cerchio, l’invidia cresceva, la condanna si faceva sempre più vicina. Eppure, Gesù non si è mai tirato indietro. Mi tornano in mente le parole di quel canto:

    “Non esiste amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici…”

    Non è una frase da canzonetta. È Vangelo puro: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

    E fin qui, forse, riusciamo a capirlo. Dopo tutto, ci sono eroi che danno la vita per chi amano. Ci sono storie di uomini e donne che si sacrificano per salvare gli altri. Ma Gesù è andato oltre. Ha dato la sua vita anche per chi lo odiava, per chi lo ha tradito, per chi lo ha condannato. Per i suoi amici? Certo. Ma soprattutto per i suoi nemici.

    Pensaci un attimo: l’abbiamo lasciato solo. Gli abbiamo preferito Barabba. Ci siamo lavati le mani. Lo abbiamo rinnegato, tradito, abbandonato. Pietro è fuggito. Giuda l’ha venduto. Gli altri apostoli si sono dileguati. Eppure, Gesù ci ha guardati e ha detto:

    “Non vi chiamo più servi, […] ma vi ho chiamato amici” (Gv 15,15).

    Perfino Pilato, Erode, i farisei, coloro che lo hanno condannato e inchiodato alla croce… anche loro erano nel suo cuore. Anche loro erano amati. Anche noi, con le nostre debolezze, i nostri tradimenti, le nostre distanze.

    Ed ecco il punto in cui tutto si ribalta: anche noi siamo chiamati ad amare così. Facile? Per niente. Possibile? Sembrerebbe di no. Perché come si fa ad amare chi ci ha feriti? Come si può perdonare chi ha distrutto vite, chi ha seminato dolore? Come si può amare un nemico? Eppure, Gesù lo ha fatto. E sulla croce ha pregato per chi lo stava uccidendo:

    “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

    Sant’Agostino ci svela il segreto: “Essi infierivano, ed egli pregava. Essi gridavano ‘Crocifiggilo!’, ed egli supplicava: ‘Padre, perdonali’.” L’amore di Gesù è senza misura, senza confini, senza limiti. Lui ha scelto di vincere il male con il bene, non con la spada, ma con la croce.

    E noi? Possiamo provare a seguirlo? Possiamo imparare ad amare così? Se ci sembra impossibile, ascoltiamo ancora Agostino:

    “Ama il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente. Non rimarrà in te nulla con cui potrai amare te stesso. Solo allora sarai capace di amare davvero.”

    Gesù ci sfida a un amore che rivoluziona il mondo. E tu, sei pronto ad accettare la sfida? #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Christus Consolator” di Carl Heinrich Bloch, 1875, olio su tela, Brigham Young University Museum of Art

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  • Gesù? Non ti schiaccia, ma ti rialza!

    Gesù? Non ti schiaccia, ma ti rialza!

    Gesù non è venuto per chi si sente perfetto, per chi si crede superiore, per chi impone agli altri la propria volontà. Gesù è venuto per gli ultimi, per chi soffre, per chi si sente piccolo. È venuto per liberare, non per incatenare. Per accogliere, non per giudicare. Per dare vita, non per spegnerla.

    Il mio (in)solito commento a: Dicono e non fanno (Mt 23,1-12)

    Nel Vangelo di oggi, Gesù smaschera scribi e farisei. Li descrive con parole dure: “Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente” (vv. 4-5).

    L’intransigenza cieca è veleno puro. E quando diventa religione, è un’arma letale perché trasforma la fede in una gabbia, anziché in un abbraccio. Ma c’è qualcosa di ancora peggio dell’imporre regole assurde: scribi e farisei soffocavano la speranza. Spegnevano i sogni. Toglievano l’aria alla libertà. Il loro labirinto di precetti impediva di respirare. Nessuno poteva fare nulla senza chiedere il permesso. Non si poteva raccogliere una spiga di sabato, né curare un malato. Alcuni cibi erano proibiti, certi rituali erano complicatissimi. E persino sfiorare una donna in alcuni giorni del mese rendeva impuri (Levitico 15,19-23). Regole su regole, senza amore, senza vita, senza senso.

    Se ogni gesto è controllato, se dietro ogni azione si nasconde una condanna, se le regole non sono più un mezzo per avvicinarsi a Dio ma un pretesto per mantenere il potere, allora sì che si compie il peggiore dei peccati. Non l’omicidio, ma l’assassinio della libertà. Quella libertà che dovrebbe volare sulle ali dello Spirito. Che profuma di vita, ha il colore del cielo, il suono di una risata felice. Quella libertà che accende lo sguardo e fa sognare. E scribi e farisei hanno rubato tutto questo.

    Ma ora chiediamoci: esistono scribi e farisei oggi? Purtroppo sì. Anche oggi c’è chi vuole spegnere il fuoco del Vangelo. Chi preferisce regole rigide all’amore. Ci sono i nuovi farisei, quelli che si aggrappano a tradizioni vuote e dimenticano il cuore della fede: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,34). Persone che vivono con l’anima spenta, che temono la gioia, che cercano di raffreddare il cuore di chi ama davvero.

    I farisei di oggi sono quelli che soffocano l’entusiasmo, quelli che smorzano la luce negli occhi di chi vuole mettersi in gioco. Sono quelli che si aggrappano al passato con un “si è sempre fatto così”, incapaci di lasciarsi toccare dalla freschezza dello Spirito.

    Gesù non è venuto per chi si sente perfetto, per chi si crede superiore, per chi impone agli altri la propria volontà. Gesù è venuto per gli ultimi, per chi soffre, per chi si sente piccolo. È venuto per liberare, non per incatenare. Per accogliere, non per giudicare. Per dare vita, non per spegnerla. È un pastore che cammina con noi, un amico che non ci abbandona, un cuore che batte all’unisono con il nostro #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Il Discorso della montagna”, di Henrik Olrik, 1880, Chiesa di San Matteo, Copenhagen, Danimarca

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  • Quando perdonare sembra davvero troppo…

    Quando perdonare sembra davvero troppo…

    Il perdono è la più alta forma d’amore. È la possibilità che Dio ci dà di scrivere una storia diversa, una storia di bene, anche laddove sembra impossibile. Con una parola, un abbraccio, un sorriso, possiamo essere strumenti di quel miracolo che cambia il mondo: l’amore che si dona senza aspettarsi nulla in cambio

    Il mio in(solito) commento a:
    Perdonate e sarete perdonati (Luca 6,36-38)

    Ciascuno di noi sa quanto sia dura resistere alla tentazione di rispondere con il male al male ricevuto. Eppure, è proprio qui che si gioca la nostra vera battaglia. “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.” Un detto popolare che descrive alla perfezione ciò che proviamo di fronte alle parole di Gesù:

    “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati.” (Luca 6,36-37)

    Possiamo comprenderle, queste parole. Possiamo persino illuderci di riuscire a viverle. Ma poi arriva la vita, con le sue spine, e ci accorgiamo che mettere in pratica la misericordia è molto più difficile di quanto pensassimo.

    Giudicare è facile, quasi istintivo. È un riflesso automatico della nostra natura umana: inquadrare le persone, classificarle, approvarle o disapprovarle in base a schemi preconfezionati. E quando il male ci colpisce in pieno petto? Quando il torto che subiamo è troppo grande, troppo ingiusto? Perdonare sembra un’impresa impossibile.

    Io non so voi, ma davanti a questa pagina di Vangelo posso solo inginocchiarmi e chiedere aiuto. Chiedere la grazia di un cuore capace di amare come ama Dio. Perché Lui sì che sa come si fa: “A chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica” (Luca 6,29).

    Pensiamo a Gesù: tradito, percosso, torturato, inchiodato sulla croce. Avrebbe potuto liberarsi con un soffio. Avrebbe potuto far piovere fuoco dal cielo sui suoi persecutori. E invece ha scelto l’amore: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Luca 23,34).

    E noi? Come possiamo arrivare a tanto? Come si fa a non solo evitare la vendetta, ma addirittura ad amare chi ci ha feriti? La risposta è una sola: non con le nostre forze, ma con la grazia di Dio.

    Perché l’amore vero non è uno scambio, non è una moneta di pagamento: è un dono. E il più grande di tutti ce lo ha fatto Cristo stesso: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15,13).

    Il perdono è la più alta forma d’amore. È la possibilità che Dio ci dà di scrivere una storia diversa, una storia di bene, anche laddove sembra impossibile. Con una parola, un abbraccio, un sorriso, possiamo essere strumenti di quel miracolo che cambia il mondo: l’amore che si dona senza aspettarsi nulla in cambio.

    Allora, abbandoniamo le zavorre del giudizio, dell’egoismo, della vendetta. E apriamo il cuore alla sola legge che conta davvero: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. E amerai il prossimo tuo come te stesso” (Marco 12,29-31).

    Sant’Agostino ci lascia un consiglio prezioso: “Ama Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente, e non rimarrà in te spazio per amare te stesso. Ama, dunque, e scoprirai la vera gioia”.

    Ecco il segreto: svuotarsi dell’orgoglio per riempirsi di Dio. Solo così potremo amare davvero. Solo così il perdono diventerà possibile #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La Crocifissione”, di Pietro Lorenzetti, 1340, tempera e oro su tavola, 41.9 x 31.8 cm, The Metropolitan Museum of Art, New York

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  • Ma Gesù, quanto è difficile seguire questo comandamento!?

    Ma Gesù, quanto è difficile seguire questo comandamento!?

    “Ama il tuo nemico”. Più che un comandamento, sembra un’impresa impossibile. Come si fa ad amare chi ci ha ferito, chi ci ha tradito, chi ci ha fatto soffrire? Eppure, Gesù non lascia spazio a interpretazioni: non dice “prova”, non dice “se puoi”, ma semplicemente… ama.

    Il mio (in)solito commento a:
    Amate i vostri nemici (Matteo 5,43-48)

    Perché? Perché Dio stesso ama così. Ama senza condizioni, senza calcoli, senza riserve. Ama anche chi sbaglia, chi cade, chi si allontana. Il Signore non fa differenze: sta accanto anche al più incallito dei peccatori, lo aspetta, lo desidera, lo cerca. E quando finalmente torna, lo abbraccia con una tenerezza che spiazza: lo riveste di dignità, gli rimette l’anello al dito, i calzari ai piedi e… fa festa! Sì, perché “ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Luca 15,7).

    Questo è il cuore di Dio: un cuore di Padre. Un cuore grande, spalancato, capace di amare anche quando nessuno lo merita. Un cuore che non si ferma alla nostra idea di giustizia, ma ci spalanca agli orizzonti infiniti della misericordia. Un cuore che non ci tratta secondo i nostri peccati, né ci ripaga secondo le nostre colpe (Salmo 103,9-10).

    E noi? Siamo chiamati a fare lo stesso. A perdonare, persino chi ci ha ferito nel profondo. Ad amare, anche quando sembra assurdo. A credere che anche dal male più grande possa nascere un bene inimmaginabile.

    Ma attenzione: amare non significa subire passivamente l’ingiustizia. Gesù non ci invita alla rassegnazione, ma a un’azione coraggiosa, creativa, che possa toccare il cuore dell’altro. Vuole che il nostro amore smuova le coscienze, spinga chi sbaglia a fermarsi, a riflettere, magari persino a cambiare strada. È la forza di chi “vince il male con il bene” (Romani 12,21).

    Ecco perché Gesù ci chiede di fare un passo in più. Quando ci viene imposto di camminare un miglio, Lui ci dice: fan due. Perché? Perché quel gesto può accendere una scintilla nel cuore di chi ci sta di fronte. Perché il vero amore non reagisce al male con altro male, ma con il bene. Sempre.

    Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”. Parole scomode, quasi insopportabili. Eppure, sono l’essenza stessa del Vangelo: l’amore non ha confini. Non si ferma davanti all’offesa, alla cattiveria, all’odio. Continua ad amare, fino all’assurdo, fino a pregare per il proprio persecutore.

    Facile? No. Difficilissimo. Ma con la preghiera e con la grazia di Dio, possiamo riuscirci. Perché non siamo soli. “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2Corinzi 11,9).

    E allora… proviamoci! Perché quando il nostro cuore si apre all’amore, anche l’impossibile diventa possibile #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Il Sacro Cuore di Gesù” 1960, olio su tela, Luigi Guglielmino, Chiesa della Consolata, Torino

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  • Come mai Dio ama anche i peccatori?

    Come mai Dio ama anche i peccatori?

    Posso darti un consiglio? Quando un peccato ti tormenta, non continuate a biasimarti (è il demonio che ti vuole ancorare al male commesso), ma prova a migliorarti, consapevole di quell’amore immenso che viene da Dio, corri a tuffarti tra le sue braccia e confessati: non temere, egli non ti giudicherà, ma cancellerà il tuo peccato e sarà Lui stesso il primo a dimenticarsene, perché tutto torni proprio come prima!

    Il mio in(solito) commento a:
    Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano (Luca 5,27-32)

    Discorre con una peccatrice al pozzo, salva un’adultera dalla lapidazione, si lascia lavare e baciare i piedi da una donna dal passato discutibile, cena con un truffatore con la passione di salire sugli alberi e arriva a promettere il Paradiso ad un ladro in procinto di scontare una condanna a morte. Ho citato soltanto alcuni degli episodi più eclatanti. Momenti che, vissuti 2000 anni fa, avranno fatto scandalizzare l’intera casta dei farisei! Certo che Dio è “strano”. Il suo modo di pensare e di agire è così diverso dal nostro, che spesso ci risulta difficile da comprendere: sono innumerevoli i casi in cui Cristo “…un mangione e un beone, amico dei pubblicani e peccatori” (cfr. Matteo 11,19) si relaziona con persone “difficili”anche se hanno commesso parecchi erroriEntra nelle loro vite e le trasforma, liberando i peccatori dal pesante giogo della loro colpa e trasformandoli in persone “normali”, capaci di amare e vivere esistenze “normali”, senza trascinarsi dietro scomodi fardelli legati alla propria anima.

    Dio, che poteva restare a godersi le sue “comodità” nei cieli, ha deciso di scendere sulla terra, di incarnarsi e vivere un’esistenza difficile. Una vita in mezzo agli ultimi, nascendo in una mangiatoia, al freddo ed al gelo. Rischiando ripetutamente la propria vita, fino a perderla per noi, che lo abbiamo rinnegato, vituperato, schiaffeggiato ed abbiamo permesso che lo inchiodassero ad una croce senza opporre alcuna resistenza, anzi, preferendogli Barabba, un ribelle tumultuoso colpevole di omicidio! Lo stesso Dio, che fa questo per amore, non può non amare le proprie creature! E così Gesù si è fatto carne per camminare in mezzo a noi. Si è fatto uomo per vivere in mezzo a noi. Per salvarci. Per guarirci. Per liberarci dal male. Per portarci a vivere insieme a Lui.

    No. Gesù non è venuto sulla terra per dare una pacca sulle spalle ai migliori. Ma per restare più vicino a chi ne ha bisogno, a chi soffre e si lamenta, a chi cerca luce lontano da Lui. A chi cerca, nella vita, quel surrogato di Dio che è la finta felicità, quella che sorride, ma non scalda il cuore. Quella che fa star male e stordisce. Quella che ci porta sulla cattiva strada. Ma Dio non lo può permettere.

    Egli è il buon Pastore che non esita a lasciare il gregge di novantanove pecore per inoltrarsi nel deserto a cercare l’unica che si è smarrita. Perché Dio è così: non sa stare lontano da noi. E, quando siamo noi ad allontanarci, o perché non lo riconosciamo, o perché desideriamo la libertà di poter sbagliare con le nostre stesse mani, allora Gesù si fa ancora più vicino. Fa di tutto per riconciliarsi con noi, ci risolleva e ci conforta.

    Mi piace ricordare una mirabile pagina del Trattato della vera devozione a Maria, di san Luigi di Montfort, che proclama la fede cristologica della Chiesa: “Gesù Cristo è l’Alfa e l’Omega, ‘il Principio e la Fine’ di ogni cosa. […]. Egli è il solo maestro che deve istruirci, il solo Signore dal quale dipendiamo, il solo capo al quale dobbiamo essere uniti, il solo modello cui dobbiamo rassomigliare, il solo medico che ci deve guarire, il solo pastore che ci deve nutrire, la sola via che ci deve condurre, la sola verità che dobbiamo credere, la sola vita che deve vivificarci, il solo tutto che ci deve bastare in ogni cosa. […]. Ogni fedele che non è unito a Cristo come il tralcio alla vite cade, secca e serve solo ad essere gettato nel fuoco. Se invece siamo in Gesù Cristo e Gesù Cristo in noi, non c’è più nessuna condanna da temere. Né gli angeli del cielo, né gli uomini della terra, né i demoni dell’inferno, né alcun’altra creatura potrà farci del male, perché non potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Gesù Cristo. Tutto possiamo per Cristo, con Cristo e in Cristo; possiamo rendere ogni onore e gloria al Padre nell’unità dello Spirito Santo; possiamo diventare perfetti ed essere profumo di vita eterna per il prossimo” (n. 61).

    Ecco un Dio misterioso, che ci ama, a prescindere dai nostri limiti e dai nostri peccatiChe ci insegna ad essere misericordiosi con gli altri, fossero questi anche i nostri peggiori nemiciE ad essere misericordiosi con noi stessi, anche quando cadiamo nel più abominevole dei peccatiPerché Dio ci ama. Ed abita dentro di noi. Perché “ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Luca 15,7). No, Dio non viene a giudicare, ma per amare. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Cristo di San Giovanni della Croce” di Salvador Dalì, 1951, olio su tela, cm 205×116, Kelvingrove Art Gallery and Museum di Glasgow, in Scozia.

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  • Attenzione a non sbagliare!

    Attenzione a non sbagliare!

    Non sei perfetta o perfetto? Beh, sei in buona compagnia (anche del sottoscritto naturalmente!). Ma quel che assolutamente non dobbiamo fare è cadere in un errore fin troppo comune: credere che la nostra imperfezione limiti l’amore che Dio prova per noi! Leggi di più nel mio

    in(solito) commento a:
    Vendi quello che hai e vieni! Seguimi! (Marco 10,17-27)

    Non commettiamo lo stesso errore di quel giovane: lui se ne andò triste, con il peso di una scelta che non riusciva a compiere. Ma noi? Noi non dobbiamo andarcene sconsolati. Seguire Gesù non significa essere perfetti, né privarci di tutto ciò che possediamo. Dio non ci vuole impeccabili, ci vuole veri. Uomini e donne con i nostri pregi e difetti, con le nostre fragilità e i nostri desideri. E non essere perfetti non è una scusa per non seguirlo!

    Ma a quale episodio ci riferiamo? Devi sapere che un giorno, un giovane ricco si avvicinò a Gesù con una domanda che tutti, prima o poi, ci formuliamo: “Che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Forse sperava in una risposta rassicurante, qualcosa che confermasse che stava già facendo abbastanza. Ma Gesù, con il suo sguardo che scruta l’anima, gli disse: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni! Seguimi!”.

    Il giovane sentì il cuore stringersi. Era un uomo giusto, aveva sempre osservato i comandamenti, eppure quelle parole lo misero in crisi. Sapeva che Gesù gli aveva detto la verità, ma quella verità era troppo pesante. Rinunciare a tutto? Impossibile. E così, abbassò lo sguardo e se ne andò, triste.

    Ma proprio qui sta il suo errore. Credeva che tra Dio e le ricchezze ci fosse una scelta netta, come se la fede e la vita sulla terra fossero due realtà opposte, inconciliabili. Ma Dio non è nemico del mondo materiale. È Lui che lo ha creato, e tutto ciò che esiste è uscito dalle Sue mani. Persino l’oro e l’argento. Il problema non è la ricchezza in sé, ma ciò che essa fa al nostro cuore.

    Dio non ci chiede di vivere nella miseria, ma di non lasciare che il denaro avveleni la nostra anima. Non vuole che diventiamo ciechi davanti alla sofferenza altrui, incapaci di condividere, insensibili a chi non ha nulla. Santa Teresa di Calcutta diceva: “Non esiste povertà peggiore che non avere amore da dare”. Il mondo materiale è solo polvere. Noi, invece, siamo polvere che ha ricevuto il soffio vitale di Dio. È questo che conta davvero: il Suo Spirito in noi, il Suo amore che ci trasforma.

    I discepoli, sentendo le parole di Gesù, rimasero sgomenti: “E allora chi può salvarsi?”. Ma Gesù li guardò con tenerezza e rispose: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio”. E questa è la nostra speranza.

    Se ci sembra difficile rinunciare a ciò che possediamo, se sentiamo che il nostro cuore è ancora attaccato alle sicurezze di questo mondo, non dobbiamo scoraggiarci. Dio ci ama lo stesso. Non ci allontana, non ci rifiuta. Se ci affidiamo a Lui, se ci lasciamo guidare, Lui stesso può aiutarci a rivedere le nostre priorità. E chissà, magari un giorno ci renderemo conto che non è il denaro a vincere, ma l’amore. Sempre. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Il giovane ricco”, icona ortodossa

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  • Giudicare può portare brutte sorprese…

    Giudicare può portare brutte sorprese…

    Puntare il dito, ergersi a giudici, credere di essere chissà chi… è un atteggiamento oggi (troppo) comune. Ma è anche uno dei più sbagliati e pericolosi (anche per noi stessi!). Vediamo perché

    Il mio in(solito) commento a:
    Togli prima la trave dal tuo occhio (Matteo 7,1-5)

    C’è un veleno che intossica l’anima, ma lo beviamo senza accorgercene. Un virus che si diffonde senza febbre, senza brividi. Eppure, quando entra nel cuore, lo cambia. Ci rende ciechi. Ci fa credere giusti mentre inciampiamo nei nostri stessi errori. Questo veleno ha un nome: peccato.

    Ma la sua caratteristica più pericolosa è il mimetismo. Oh, sì! Perché il peccato non si mostra mai per quello che è. Si nasconde, si mimetizza così bene che a volte non lo vediamo nemmeno in noi stessi. Ma negli altri? Oh, lì lo notiamo eccome! Ci salta subito all’occhio, come una macchia su un vestito candido. E allora puntiamo il dito, condanniamo, spettegoliamo. Perché? Perché ci fa sentire migliori. Come se, sottolineando le colpe altrui, potessimo sbiadire le nostre. Ma è un’illusione.

    Papa Francesco è chiaro: “Chi giudica sbaglia sempre, perché prende il posto di Dio, che è l’unico giudice. Sbaglia posto!”.

    E sai qual è il paradosso? Dio non vuole fare il giudice. Non è venuto a giudicare, ma a salvare. Non si sofferma sugli errori, ma sulle possibilità di riscatto. Gesù vede la ferita, non la colpa. E mentre noi perdiamo tempo a catalogare i peccati degli altri, Lui è già lì, pronto ad accogliere, a risollevare, a perdonare.

    Giudicare e condannare il fratello che pecca è sbagliato. Non perché non si voglia riconoscere il peccato, ma perché condannare il peccatore spezza il legame di fraternità con lui e disprezza la misericordia di Dio, che invece non vuole rinunciare a nessuno dei suoi figli. Non abbiamo il potere di condannare il nostro fratello che sbaglia, non siamo al di sopra di lui: abbiamo piuttosto il dovere di recuperarlo alla dignità di figlio del Padre e di accompagnarlo nel suo cammino di conversione.

    Il Papa lo spiega bene:

    “Gesù non si arresta di fronte agli errori, ma va oltre i peccati e i pregiudizi. Noi, invece, ci soffermiamo sulle cadute altrui. Ci piace il chiacchiericcio, lo sparlare. Ma Gesù? No. Gesù guarda il modo di salvarci, non la nostra storia brutta. Gesù si avvicina.”

    Ecco la vera rivoluzione: l’amore è più forte del giudizio! Perché chi ama, non condanna. E chi condanna, non ha ancora imparato ad amare.

    Ma c’è un dettaglio che dovresti sapere: chi giudica, sarà giudicato con la stessa misura. È una legge spirituale, un boomerang inesorabile. La domanda allora è: se un giorno fossi tu sotto processo, preferiresti essere accolto con amore… o condannato senza appello?

    Pensaci bene, prima di puntare il dito. Perché nel Vangelo non c’è scritto “giudicatevi gli uni gli altri”. Ma una cosa sì: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi.” #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Christus Remunerator”, di Ary Scheffer, 1847, olio su tela, 62.5 x 84 cm, Centraal Museum, Utrecht

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  • Nel tuo matrimonio c’è Dio?

    Nel tuo matrimonio c’è Dio?

    Un’alleanza dentro un’altra alleanza. Ricordo quel momento come fosse ora: le nostre mani unite mentre don Salvatore, con tutta la forza di cui era capace, le spingeva e stringeva come se le volesse davvero far diventare “una cosa sola”.

    Il mio in(solito) commento a:
    «L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Marco 10,1-12)

    Don Salvatore ci conosceva bene ed era fermamente determinato a fare sì che la nostra unione fosse la più solida e stabile possibile. Pareva quasi che in quella stretta ci mettesse tutta la sua volontà (e forse anche di più, visto che le sue mani in quel momento trasmettevano anche la forza di Dio). La morsa che stringeva le nostre mani giunte era giunta così possente ed inaspettata, che io per poco io non trasalii. Stavo quasi per per chiedergli di mettere meno vigore in quel gesto simbolico, quando lui tuonò con una voce stentorea: “L’uomo non osi separare ciò che Dio unisce”.

    C’erano una volta Adamo ed Eva. Nel racconto della Creazione troviamo Dio alle prese con le coppie: tutto è creato a coppie generando così ordine e armonia: il cielo e la terra, la luce e le tenebre, l’acqua e il terreno asciutto. Ogni essere vivente è creato in coppia, “secondo la loro specie”. Il grande tema della Creazione è quindi la famiglia, l’unità delle diversità da cui scaturisce la vita. Infatti, nel testo biblico, l’uomo è creato a immagine di Dio come maschio e femmina. Non l’uno o l’altro presi singolarmente, ma insieme, formano l’immagine di un Dio che è amore e donazione.

    Quando Dio crea l’uomo, crea la famiglia, prendendo come modello se stesso, l’unico Dio in tre persone, la Trinità, la “comunità divina”. Anche se l’immagine del Creatore può essere vista nel singolo individuo creato, poiché è generato da Dio, è nell’umanità come coppia che brilla tutta la potenza di Dio. Insieme, realizzano l’immagine della fecondità di Dio, del dono della vita, dell’amore e dell’amicizia. Questa ultima frase l’avrei voluta scrivere a caratteri cubitali, in grassetto, sottolineato e evidenziato: Insieme. È una delle parole più belle che si possano scrivere. Insieme si costruisce. Insieme si genera. Insieme si matura. Insieme si crescono i figli. Insieme si affrontano i problemi. E questo “insieme” è un insieme fatto sì di donna e uomo, ma anche di Dio. “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Giovanni 15,5). Dio è il generatore, il fulcro, il collante della famiglia. Dio è l’amore che la tiene insieme. Dio è la potenza generativa che permette di concepire figli e trasmettere la vita. Sì, perché proprio così, a immagine di Dio, noi diventiamo capaci di trasmettere quel grande dono che Dio ci ha fatto quando siamo venuti al mondo: la nostra vita. Una vita che siamo in grado di trasmettere. Ma che, senza Dio, diventa sterile, povera, malata, assente.

    Quand’è che una famiglia va in crisi e si spezza? Quando perde Dio. Quando al suo interno viene a mancare la forza conciliante, l’amore, la capacità di sperare e superare ogni ostacolo che viene dalla fede. Se Dio non c’è tutto questo si spegne. E si spegne anche la famiglia.

    Dio, nelle sue tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo è in tutte le famiglie del mondo che si vogliono bene e stanno insieme. Attenzione: non significa che sia tutto rose e fiori. No. L’essere umano è imperfetto e i problemi ci saranno sempre. Ma dove c’è Dio c’è anche la capacità, la volontà e la possibilità di superarli. Se due coniugi sbagliano, Dio li aiuta a tornare ad essere una cosa sola: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (vv. 5-9).

    Quando un matrimonio è vero, quando al centro c’è Dio, quando c’è la chiara idea di famiglia in cui si collabora, ci si completa, ci si comprende e ci si perdona a vicenda, allora Dio è presente in ogni sua Persona dentro all’unione. E quell’unione è per sempre. È una casa sulla roccia. È una forza inseparabile che andrà avanti per sempre. Ma quando non c’è la spinta generativa, quando una coppia sta insieme solo per comodità ma non per missione, allora quella coppia, presto o tardi, naufragherà. Ne possiamo stare certi. Perché l’unione senza amore è una casa costruita sulla sabbia. Al primo alito di vento crolla. E non protegge nessuno, anzi, rischia di essere pericoloso abitarci dentro.

    La vera unione, quella da non dividere, è quella dove c’è Dio. Dove c’è l’amore. Dove c’è il desiderio di generare altra vita. Dove c’è la consapevolezza di essere mistero e dono reciproco in ogni istante della vita. Questa è la vera unione, il vero matrimonio cristiano, che nessuno deve dividere.

    Poi ci sono finti matrimoni (attenzione: possono essere finti anche se celebrati in chiesa, con tutti i crisimi del caso). Il finto matrimonio è un non-matrimonio. Una non-unione. un rapporto che è più un contratto fra prestatori d’opera che il frutto di un amore. Questa unione non è niente. Non è generativa. Non è alimentata dall’amore. Non è neppure una famiglia perché ogni componente non guarda al “noi” a una direzione comune, ma solo e unicamente al proprio tornaconto personale. È un’unione fondata sull’egoismo e non sull’amore. Naufragherà certo. Ed è meglio non celebrarla neppure, piuttosto che trovarcisi dentro a distanza di anni, salvo scoprire di non trovarsi.

    Nel tuo matrimonio c’è Dio? Allora siete almeno in Tre. E insieme farete molta strada da qui all’eternità. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Lo sposalizio della Vergine”, di Raffaello Sanzio, 1504, olio su pannello, Pinacoteca di Brera, Milano

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