Tag: Comandamenti

  • Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. Cosa significa?

    Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. Cosa significa?

    L’intero decalogo può essere letto attraverso la lente dell’amore. I cattivi sentimenti sono inutili: sono tossici, ci appesantiscono e ci fanno stare male. Noi dobbiamo amare. E basta. Perché siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio.

    Il mio in(solito) commento a:
    Chi insegnerà e osserverà i precetti, sarà considerato grande nel regno dei cieli (Matteo 5,17-19)

    È tornato il Dio vendicativo e punitivo che sembrerebbe emergere dai libri più antichi della Bibbia? O forse stiamo fraintendendo questo brano del Vangelo?

    Questa pagina di Matteo va “masticata” e “digerita” con cura, perché può sembrare complessa. San Matteo scrive: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Matteo 5,17-19).

    Una lettura superficiale potrebbe vedere questo brano come “graffiante”, come se Gesù volesse esibire una severità dimenticata tra le pagine dell’Antico Testamento. Ma dov’è finita la misericordia? Non è così! Una riflessione più attenta rivela lo stesso Gesù innamorato dell’uomo che conosciamo. Un Gesù che desidera solo il nostro bene, offrendoci una chiave di lettura dei Comandamenti per vivere una vita migliore. Un Gesù che non giudica, ma propone un’alternativa cristiana alla vita del mondo. Un Gesù che “ci aggiusta il cuore”, scavando fino alla radice del problema.

    Riflettiamo un istante: non adirarsi con il proprio fratello, non offendere, riconciliarsi… Cristo traccia il cammino del buon cristiano, mettendo in pratica il comandamento dell’amore, la legge superiore a tutte le altre. Se amiamo il nostro fratello, non ci adireremo con lui, non lo offenderemo, non gli faremo un torto.

    Il significato si chiarisce proseguendo nella lettura: “Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (vv. 23-24). Le risposte a un’offesa sono due: vendetta o perdono. Chi sceglie la vendetta crede di guarire una ferita provocandone un’altra. Ma il male non è mai una medicina. La vendetta rende il mondo cieco, come diceva Kalil Gibran: “Occhio per occhio. Se fosse applicata questa legge il mondo sarebbe cieco”. L’altra strada, quella difficile ma unica veramente percorribile, è il perdono. L’amore.

    Tutti i comandamenti discendono da questo, il primo e più alto: “Ama il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questo” (Marco 12,30-31). Con l’amore si aggiusta ogni cosa: amando il mio fratello, non gli farò del male. Se abbiamo divergenze, parlerò cercando di fargli capire dov’è l’errore e, se amo, sarò perfino disposto ad accettare che l’errore potrei essere io. Amando, non sottrarrò nulla che non mi venga offerto spontaneamente.

    L’intero decalogo può essere letto attraverso la lente dell’amore. I cattivi sentimenti sono inutili: sono tossici, ci appesantiscono e ci fanno stare male. Noi dobbiamo amare. E basta. Perché siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. E “Dio è amore”, come leggiamo nella prima lettera di Giovanni: “Amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”. (1 Giovanni 4,7-8). L’amore aggiusta il cuore e rende inutile il peccato. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Il Discorso della montagna”, di Carl Heinrich Bloch, 1877, olio su rame, 104 × 92 cm, The Museum of National History at Frederiksborg Castle, Hillerød, Danimarca

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  • Le due tuniche

    Le due tuniche

    Perché, vedi, non servono grandi prediche. Servono gesti concreti. Serve che tu agisca. Ogni tua azione può essere una testimonianza viva. Ogni tuo passo può avvicinare qualcuno a Dio, senza clamore, ma con la forza di una vita vissuta davvero.

    il mio in(solito) commento a:
    E noi che cosa dobbiamo fare? (Luca 3,10-18)

    “Che cosa dobbiamo fare?”. È la stessa domanda che, duemila anni fa, riecheggiava sulle labbra di chi si accalcava attorno a Giovanni il Battista. E, in fondo, è la stessa domanda che ti ha portato qui, a leggere queste righe. Perché sì, questa domanda è anche tua. Proviamo a rispondere insieme.

    La prima risposta, semplice e diretta, è questa: vivi i comandamenti. Non solo i dieci della Legge antica, ma anche i due che Gesù ci ha lasciato: Ama Dio sopra ogni cosa e ama il prossimo tuo come te stesso. E non è un amore teorico, no. San Paolo ci mette il cuore: “Chi ama il prossimo ha adempiuto tutta la Legge… Pieno compimento della Legge è l’amore” (Romani 13,8-10). L’amore non è un dettaglio, è la sostanza.

    Ma Giovanni il Battista va oltre: si fa pratico, spietatamente chiaro. “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha. E chi ha da mangiare, faccia altrettanto.” Poi, ai pubblicani, dice: “Non esigete nulla di più del dovuto.” E ai soldati: “Non maltrattate nessuno, non estorcete nulla, accontentatevi delle vostre paghe.” La giustizia, la condivisione, l’onestà: ecco cosa ci chiede. Ecco cosa devi fare, qui e ora.

    Ma non fermiamoci qui. Voglio portarti più in profondità. Voglio girarti la stessa domanda che il Battista ha ricevuto: E noi, che cosa dobbiamo fare? Che cosa ti chiede Gesù, oggi, nella tua vita?

    Semplice: dobbiamo diventare pagine viventi di Vangelo. Sì, proprio tu! Gesù ha bisogno di te. Non di un supereroe, ma di una persona normale: uno studente, un operaio, un medico, una mamma, un fornaio. Non importa chi sei o cosa fai. Quello che conta è il tuo esempio, il tuo modo di vivere il Vangelo nella quotidianità.

    Dio ti ha dato un dono. Hai mai pensato a quale sia? Magari è la capacità di amare incondizionatamente, di ascoltare senza giudicare, di scrivere parole che toccano il cuore, di curare con tenerezza o di donare speranza dove sembra non ce ne sia più. Il tuo compito, il nostro compito, è far fiorire quel dono.

    Perché, vedi, non servono grandi prediche. Servono gesti concreti. Serve che tu agisca. Ogni tua azione può essere una testimonianza viva. Ogni tuo passo può avvicinare qualcuno a Dio, senza clamore, ma con la forza di una vita vissuta davvero.

    E allora, amica mia, amico mio, non nascondere il talento che hai ricevuto! È il tuo dono, la tua missione, il tuo modo di essere una pagina vivente di Vangelo. Gesù conta su di te. E il mondo ha bisogno di te, adesso #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Cristo benedicente”, di Giovanni Bellini, circa 1500, tempera e oro su pannello, 59 x 47 cm, Kimbell Art Museum, Fort Worth, Stati Uniti

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  • Il sabato del fariseo

    Il sabato del fariseo

    Guarire mano paralizzate, compiere esorcisimi, raccogliere spighe in un campo di grano per sfamare sè ed i propri discepoli, Certo che questa storia dei miracoli che avvengono il sabato… proprio non va giù ai farisei!

    Il mio in(solito) commento a:
    Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito? (Luca 6,1-5)

    Nei Vangeli ci si imbatte spesso in episodi dove Gesù guarisce malati proprio di sabato. Tra questi, troviamo la liberazione di un indemoniato (Mc 1,21-28; Lc 4,31-37), la guarigione della suocera di Simone (Mc 1,29-31; Lc 4,38-39), di un uomo con la mano paralizzata (Mc 3,1-6; Mt 12,9-14; Lc 6,6-11), di una donna piegata da una malattia (Lc 13,10-17), di un uomo affetto da idropisia (Lc 14,1-6), di un infermo alla piscina di Betzaetà (Gv 5,1-18) e di un cieco nato (Gv 9,1-41). Ma queste guarigioni suscitano polemiche, dubbi e proteste soprattutto tra i farisei e i dottori della legge. Perché?

    Secondo l’Antico Testamento, il sabato è il giorno in cui l’uomo deve astenersi da ogni lavoro, in memoria del settimo giorno in cui Dio cessò di creare (Genesi 2,2-3; Es 20,8-11) e della liberazione degli Israeliti dalla schiavitù d’Egitto (Dt 5,12-15). Il riposo sabbatico diventa un atto di fede: non è l’opera dell’uomo a governare il mondo, ma quella di Dio. È anche un’esperienza di libertà, che protegge l’uomo dal diventare schiavo del lavoro. Non perché Dio abbia bisogno del riposo dell’uomo, ma perché desidera che l’uomo si fermi, si rigeneri e si riempia della sua benedizione, un dono che trasforma e conserva.

    Il sabato, però, ha un significato ancora più profondo. L’uomo, creato a immagine di Dio, è chiamato a imitarlo: come Dio ha lavorato sei giorni e si è riposato il settimo, così deve fare anche l’uomo. Sant’Ambrogio ricorda che Dio si riposò solo dopo aver creato l’uomo, perché desiderava “riposare nel cuore dell’uomo”. San Tommaso d’Aquino sottolinea che è un diritto naturale riservare del tempo a Dio, affinché l’anima si possa nutrire della sua presenza.

    Nel tempo, il sabato acquisì anche un valore sociale: era un giorno in cui anche schiavi e servi potevano smettere di lavorare, recuperare le energie e riflettere sul loro scopo esistenziale. Tuttavia, al tempo di Gesù, una miriade di regole rigide aveva avvolto l’osservanza del sabato. Non solo era vietato trasportare oggetti fuori casa, ma anche curare i malati o aggiustare ossa rotte. Si vietava persino scrivere o viaggiare, e chi camminava poteva farlo solo per un massimo di duemila cubiti (circa un chilometro), il cosiddetto “cammino permesso” (At 1,12).

    Di fronte a questa interpretazione legalistica, Gesù reagisce con forza, affermando: “Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27). Quando dichiara che “il Padre mio opera sempre” (Gv 5,17), Gesù si pone come Signore del sabato, mostrando che la vera legge di Dio non imprigiona, ma libera. Con le sue guarigioni in giorno di sabato, Gesù annuncia il significato profondo della domenica, il giorno della sua resurrezione, il giorno della liberazione definitiva.

    Gesù, dunque, non sfida la legge, ma una sua interpretazione rigida e soffocante. Non porta confusione, ma chiarezza. La Chiesa, seguendo il suo esempio, afferma che le leggi devono essere interpretate in modo favorevole per l’uomo, ampliandone i benefici e riducendo ciò che può opprimere. Il vero scopo della legge, infatti, è servire l’uomo, non incatenarlo.

    Eccoli i farisei: otri vecchi, rinsecchiti, che non riescono a contenere la frizzante Verità del Vangelo. Tessuto vecchio e logoro che non può più essere riparato. Gesù è venuto a liberarci dalla schiavitù di una Legge scritta da mano d’uomo per il vantaggio dell’uomo e soltanto spacciata come proveniente da Dio: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci” (Matteo 23,13).

    Sulla Legge, tra Gesù e farisei c’è scontro aperto. San Paolo scriverà: “Ora però siamo stati liberati dalla legge” (Romani 7,6). E ancora: “Non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia” (Romani 6,14).

    Quale uomo, nella storia, ha mai osato comandare il proprio Dio? Gesù spiega ai farisei che lo accusano, che La Legge di Dio è data per l’uomo, e non contro l’uomo. E si fonda su due principi fondamentali: l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo. Ogni altro uomo che ci circonda è un fratello, che va amato e rispettato. I farisei avrebbero osservato questo Comandamento se avessero offerto loro, agli uomini affamati che vagavano nel campo, di che mangiare. Questo è quello che Dio si aspettava che facessero. Invece stanno immobili, ai margini del campo, a lanciare accuse contro Gesù ed i discepoli. Facile!

    Per carità, non cadiamo nell’errore di questi farisei! Non rimaniamo prigionieri di leggi che non comprendiamo, ma liberiamo il nostro spirito dalle gabbie dell’ipocrisia e facciamolo volare sulle ali dell’Amore! #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Cristo nel campo di grano” di Thomas Francis Dicksee, 1883, olio su tela, 139.7 x 104.1 cm, Londra, collezione privata

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  • Conosci la vera storia di Mosè?

    Conosci la vera storia di Mosè?

    Accanto all’immagine di Mosè-condottiero, guida degli israeliti attraverso le acque del Mar Rosso, pensiamo anche al Mosé-uomo, fuggiasco ed omicida, che si spoglia dei privilegi di essere “fratello” del faraone, per difendere la dignità e la libertà della sua gente

    Il mio in(solito) commento a:
    Vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza (Giovanni 5,31-47)

    Povero Mosè; il suo era un compito ben arduo! La storia del lungo viaggio tra l’Egitto e la Terra Promessa è costellata di ribellioni. Sono almeno dieci gli episodi in cui il popolo di Israele si rivoltò contro Dio ed il suo condottiero. Il più noto è senz’altro l’adorazione del vitello d’oro: proprio nel momento in cui Mosè stava ricevendo i Dieci Comandamenti da Dio, gli israeliti impazienti decisero di costruirsi un loro dio… un dio (con la “d” volutamente minuscola) che si potesse guardare.

    Non ci scandalizziamo troppo, perché capita ancora oggi (ahimè!) di “costruirci un dio a nostra misura e piacimento”. E questo avviene ogni volta che “addomestichiamo” il Vangelo, leggendo solo la parte che più ci fa comodo ed ignorando quella più “scomoda”, oppure quando estrapoliamo una frase dal contesto, utilizzandola per il nostro tornaconto, senza preoccuparci di stravolgerne il significato. Ogni volta che “ci sostituiamo” a Dio, arrogandoci la facoltà di giudicare le persone in nome suo, oppure ci auto-assolviamo per qualche peccato o qualche mancanza.

    Ci capita addirittura di costruirci un “vitello d’oro”, ogni qual volta che dimentichiamo Dio e ci preoccupiamo soltanto di come guadagnare più denaro. O, più semplicemente, quando ci pare di percepire Dio lontano da noi e, proprio come fecero i contemporanei di Mosè, preferiamo costruircene uno “su misura”. Siamo uomini, proprio come gli schiavi liberati, in fuga dal faraone.

    Ma lo stesso Mosè non è quel condottiero severo che tutti immaginiamo. Siamo abituati, nell’immaginario popolare, a ricordarlo come un uomo austero e rigido, detentore delle Tavole della Legge, esigente funzionario di un Dio vendicatore, quale quello che emerge da una lettura superficiale dell’Antico Testamento. Gli stessi farisei che Gesù rimprovera aspramente (“Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita” cfr. vv. 39-40) vedono in Mosè soltanto colui che detta Leggi e precetti.

    Tant’è che, in più parti dello stesso Vangelo, Mosè viene chiamato “La Legge”. Ma costoro e, in qualche misura anche noi, abbiamo dimenticato queste parole di Gesù: “Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti»” (Matteo 22,34-40). Vedete, amici: abbiamo dimenticato l’amore!

    L’amore, che sta alla base di ogni Comandamento ed ogni precetto. L’amore, che può, a ragione, essere considerato fondamento di ogni cosa: perché Dio stesso è amore (cfr. 1Giovanni 4,8).

    A ben guardare l’Antico Testamento, scopriremo che Mosè non era affatto dispotico ed inflessibile, ma piuttosto un amorevole difensore del suo popolo ribelle davanti a Dio: “Mosè ritornò dal Signore e disse: «Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d’oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto!»” (Esodo 31,31-32). Vedete, come si schiera a favore della sua gente? La sua fede in Dio fa tutt’uno con il senso di paternità che nutre per il suo popolo.

    La Scrittura lo raffigura abitualmente con le mani tese verso l’alto, verso Dio, quasi a far da ponte con la sua stessa persona tra cielo e terra. Perfino nei momenti più difficili, perfino nel giorno in cui il popolo ripudia Dio e lui stesso come guida per farsi un vitello d’oro, Mosè non se la sente di mettere da parte la sua gente. “È il mio popolo. È il tuo popolo. È il mio popolo. Non rinnega Dio né il popolo”. Ecco un vero intercessore per la sua gente, per il suo popolo e per Dio che lo ha chiamato.

    Accanto all’immagine di Mosè-condottiero, guida degli israeliti attraverso le acque del Mar Rosso, pensiamo anche al Mosé-uomo, fuggiasco ed omicida, che si spoglia dei privilegi di essere “fratello” del faraone, per difendere la dignità e la libertà della sua gente. Poi, con le mani macchiate di sangue, si rifugia nel deserto per fare pace con se stesso e si scopre prima pastore di greggi e poi pastore di uomini.

    C’è tanto amore in quest’uomo amato da Dio. Un uomo che, proprio come noi, è imperfetto e tormentato dalle sue vicende umane. Una persona che vive la sua stessa vita come un continuo esodo: esce da sé, dalla sua condizione di alto dignitario di un grande Paese, per salvare il suo popolo: rinuncia al potere per dedicarsi al servizio. Dialoga continuamente con Dio e con la propria coscienza, si fa portavoce di Dio con gli uomini e difensore degli uomini con Dio: “Fammi conoscere la Tua strada, e così ti conoscerò, perché io possa piacerti, e considera che questa gente è il tuo popolo” (Es 33,13).

    Ecco Mosè, un uomo ubbidiente, innamorato del suo popolo e, contemporaneamente, di Dio. Un uomo che è stato salvato dalle acque, proprio come noi veniamo salvati dal peccato con l’acqua del Battesimo. Un uomo che ha attraversato il deserto, sia quello geografico, sia quello della sua interiorità, proprio come noi combattiamo ogni giorno con le nostre paure e le nostre difficoltà.

    Lasciamoci idealmente condurre da Mosè fuori dal deserto della nostra anima, chiediamogli di percuotere la dura roccia del nostro cuore e farvi zampillare acqua per dissetare la nostra sete d’infinito. Chiediamogli di offrirci il cibo spirituale dell’amore di Dio, per placare la nostra fame di verità. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Mosè riceve le Tavole della Legge”, di scuola francese, XIX secolo, collezione privata

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  • La macchina che serviva (anche) per parlare con Dio

    La macchina che serviva (anche) per parlare con Dio

    Se ti dicessi che esisteva (e forse esiste ancora) una sorta di “ricetrasmittente”, capace di metterci in comunicazione con Dio, ti sorprenderebbe? Parliamo dell’Arca dell’Alleanza: il manufatto che conteneva le Tavole della Legge date da Dio a Mosè sul monte Sinai. Doveva essere bellissima. Facciamo un esperimento? Dopo aver letto queste righe, fermati un attimo, chiudi gli occhi e prova ad immaginarla. Partiamo dall’alto, dall’oro sfavillante dei due cherubini che si guardano uno di fronte all’altro, le ali spiegate, protese a sfiorarsi senza toccarsi. Ascolta le tue sensazioni mentre li guardi stagliarsi, maestosamente ma delicatamente, dalla base d’oro massiccio, che funge da coperchio. Il contenitore vero e proprio è una cassa: lunga 125 centimetri, larga 75 ed alta 75. Le pareti, realizzate in legno di setim (un’essenza molto profumata e pregiata), sono rivestite dentro e fuori, da lamine d’oro. Sui fianchi, quattro robusti anelli, anch’essi d’oro massiccio. Servivano per infilare due lunghe aste in legno, utilizzate per il trasporto dell’Arca. Sì, perché nessuno, tranne Mosè, poteva avvicinarsi.

    Leggiamo nella Bibbia che, quando venne portata a Gerusalemme, un uomo la toccò e cadde morto sul posto (2Samuele 6,1-8, 1Cronache 13,9-10). In seguito, l’Arca venne trafugata dai Filistei, che… poco dopo, decisero di restituirla con tante scuse (unitamente ad un volontario risarcimento in sculture d’oro). Si erano accorti, a loro spese, che chiunque l’avesse toccata o le fosse anche solo rimasto troppo vicino, si sarebbe prima ammalato e poi morto.

    Eccola qui l’Arca. Tanto bella e splendente, da trattare con rispetto e riverenza, proprio come l’Antico Testamento descriveva Dio. In effetti l’Arca rappresenta il simbolo terreno della presenza di Dio. Il Dio-con-noi che ha promesso di camminare insieme al suo popolo verso la Palestina e che, per 40 anni, marcerà in testa alla colonna. Per il viaggio l’Arca veniva avvolta in pelle di tasso, ricoperta, a sua volta, da un telo di stoffa color turchino (Numeri 4,6). Quando la carovana si fermava, essa veniva collocata al riparo di un’apposita tenda, chiamata “del Convegno”. Perché lì veniva Mosè per parlare a tu per tu con Dio: “Quando entrava, udiva la voce che gli parlava dall’alto del coperchio che è sull’Arca fra i due cherubini; il Signore gli parlava” (Numeri 7,89). Ti affascina l’argomento? Non perdere il prossimo numero del Corriere della Valle, perché continueremo a seguire l’Arca e scopriremo come, attraverso di essa, Mosè (ma non solo lui) potesse dialogare con Dio.

    Alessandro Ginotta

    L’articolo di oggi è uscito su “Il Corriere della Valle” n. 19 del 12 maggio 2022

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  • Come uscire dal deserto della nostra anima?

    Come uscire dal deserto della nostra anima?

    Ascolta “podcast-1-Mose-Cento-giorni-con-Gesù” su Spreaker.

    Lasciamoci idealmente condurre da Mosè fuori dal deserto della nostra anima, chiediamogli di percuotere la dura roccia del nostro cuore e farvi zampillare acqua per dissetare la nostra sete d’infinito. Chiediamogli di offrirci il cibo spirituale dell’amore di Dio, per placare la nostra fame di verità.

    Il mio in(solito) commento a:
    Vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza (Giovanni 5,31-47)

    Povero Mosè; il suo era un compito ben arduo! La storia del lungo viaggio tra l’Egitto e la Terra Promessa è costellata di ribellioni. Sono almeno dieci gli episodi in cui il popolo di Israele si rivoltò contro Dio ed il suo condottiero. Il più noto è senz’altro l’adorazione del vitello d’oro: proprio nel momento in cui Mosè stava ricevendo i Dieci Comandamenti da Dio, gli israeliti impazienti hanno deciso di costruirsi un loro dio…

    Non si scandalizziamo troppo, perché capita ancora oggi di “costruirci un dio a nostra misura e piacimento”. Ogni volta che “addomestichiamo” il Vangelo, leggendo solo la parte che più ci fa comodo ed ignorando quella più “scomoda”, oppure quando estrapoliamo una frase dal contesto, utilizzandola per il nostro tornaconto, senza preoccuparci di stravolgerne il significato. Ogni volta che “ci sostituiamo” a Dio, arrogandoci la facoltà di giudicare le persone in nome suo, oppure ci auto-assolviamo per qualche peccato o qualche mancanza. E ci capita addirittura di costruirci un “vitello d’oro”, ogni qual volta che dimentichiamo Dio e ci preoccupiamo soltanto di come guadagnare più denaro. O, più semplicemente, quando ci pare di percepire Dio lontano da noi e, proprio come fecero i contemporanei di Mosè, preferiamo costruircene uno “su misura”. Siamo uomini, proprio come gli schiavi liberati, in fuga dal faraone.

    Ma lo stesso Mosè non è quel condottiero severo che tutti immaginiamo. Siamo abituati, nell’immaginario popolare, a ricordarlo come un uomo austero e rigido, detentore delle Tavole della Legge, esigente funzionario di un Dio vendicatore, quale quello che emerge da una lettura superficiale dell’Antico Testamento. Gli stessi farisei che Gesù rimprovera aspramente (“Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita” cfr. vv. 39-40) vedono in Mosè soltanto colui che detta Leggi e precetti. Tant’è che, in più parti dello stesso Vangelo, Mosè viene chiamato “La Legge”. Ma costoro e, in qualche misura anche noi, abbiamo dimenticato queste parole di Gesù: “Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti»” (Matteo 22,34-40). Vedete, amici: abbiamo dimenticato l’amore!

    L’amore, che sta alla base di ogni Comandamento ed ogni precetto. L’amore, che può, a ragione, essere considerato fondamento di ogni cosa: perché Dio stesso è amore (cfr. 1Giovanni 4,8).

    A ben guardare l’Antico Testamento, scopriremo che Mosè non era affatto dispotico ed inflessibile, ma piuttosto un amorevole difensore del suo popolo ribelle davanti a Dio: “Mosè ritornò dal Signore e disse: «Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d’oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto!» (Esodo 31,31-32). Vedete, come si schiera a favore della sua gente?  La sua fede in Dio fa tutt’uno con il senso di paternità che nutre per la sua gente. La Scrittura lo raffigura abitualmente con le mani tese verso l’alto, verso Dio, quasi a far da ponte con la sua stessa persona tra cielo e terra. Perfino nei momenti più difficili, perfino nel giorno in cui il popolo ripudia Dio e lui stesso come guida per farsi un vitello d’oro, Mosè non se la sente di mettere da parte la sua gente. “È il mio popolo. È il tuo popolo. È il mio popolo. Non rinnega Dio né il popolo”. Ecco un vero intercessore per la sua gente, per il suo popolo e per Dio che lo ha chiamato.

    Accanto all’immagine di Mosè-condottiero, guida degli israeliti attraverso le acque del Mar Rosso, pensiamo anche al Mosé-uomo, fuggiasco ed omicida, che si spoglia dei privilegi di essere “fratello” del faraone, per difendere la dignità e la libertà della sua gente. Poi, con le mani macchiate di sangue, si rifugia nel deserto per fare pace con se stesso e si scopre prima pastore di greggi e poi pastore di uomini. C’è tanto amore in quest’uomo amato da Dio. Un uomo che, proprio come noi, è imperfetto e tormentato dalle sue vicende umane. Una persona che vive la sua stessa vita come un continuo esodo: esce da sé, dalla sua condizione di alto dignitario di un grande Paese, per salvare il suo popolo: rinuncia al potere per dedicarsi al servizio. Dialoga continuamente con Dio e con la propria coscienza, si fa portavoce di Dio con gli uomini e difensore degli uomini con Dio: “Fammi conoscere la Tua strada, e così ti conoscerò, perché io possa piacerti, e considera che questa gente è il tuo popolo” (Es 33,13).

    Ecco Mosè, un uomo ubbidiente, innamorato del suo popolo e, contemporaneamente, di Dio. Un uomo che è stato salvato dalle acque, proprio come noi veniamo salvati dal peccato con l’acqua del Battesimo. Un uomo che ha attraversato il deserto, sia quello geografico, sia quello della sua interiorità, proprio come noi combattiamo ogni giorno con le nostre paure e le nostre difficoltà.

    Lasciamoci idealmente condurre da Mosè fuori dal deserto della nostra anima, chiediamogli di percuotere la dura roccia del nostro cuore e farvi zampillare acqua per dissetare la nostra sete d’infinito. Chiediamogli di offrirci il cibo spirituale dell’amore di Dio, per placare la nostra fame di verità.

    #Santanotte amici. Dio ci accompagni sulle vie dell’amore e ci perdoni ogni volta che, sentendoci smarriti, ci ribelleremo a Lui. Dio vi e ci benedica amici cari! 🙂 🙂 🙂

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La Trasfigurazione” di Giovanni Francesco Penni, 1528, olio su tavola, 402x267cm, Museo del Prado, Madrid

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  • Quanto amore c’è nel mio cuore?

    Quanto amore c’è nel mio cuore?

    + Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,17-19)

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

    Parola del Signore

    Gv 12,44-50

    Se al tempo di Gesù fossero esistiti i bignami… probabilmente si sarebbe potuta scegliere questa frase come estrema sintesi del Vangelo: “Ama Dio con tutto il cuore e ama il prossimo come te stesso“. Sono le parole che Gesù ci ha indicato come il primo di tutti i comandamenti.

    Il Signore disse a Mosè: Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli” (Esodo 24,12). Dio consegnò a Mosè le tavole della legge. Dieci comandamenti. Ma l’uomo è complicato. Il serpente poi sussurra sempre al suo orecchio, cavilla, divide, confonde… così l’uomo, incapace di mettere in pratica i Dieci Comandamenti, pretese di sostituirsi a Dio e tentò di interpretarli. Gli uomini di Dio fecero del loro meglio, ma nella confusione generale nacquero oltre 600 precetti, difficili da ricordare, complicati da rispettare.

    Gesù  non cancella questi precetti, ma è critico verso scribi e farisei che li hanno codificati: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei” (Mt 23,2) dirà riferendosi proprio a coloro che hanno interpretato i Comandamenti ricevuti da Mosè: “Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno” (Mt 23,3). Più avanti aggiungerà: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci” (Mt 23,13). Moltiplicando i precetti, scribi e farisei hanno reso di fatto così difficile conoscerli tutti e rispettarli che… è come se avessero creato una barriera: hanno chiuso le porte del Regno dei Cieli.

    I precetti di per sè sono buoni, se presi singolarmente, tantè che Gesù stesso mette in guardia: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (v. 17). Ed ecco che si compie il miracolo: i precetti, troppi e difficili da ricordare, vengono “portati a compimento”. Gesù li sublimerà: non vengono abrogati, come una legge, ma perfezionati con una lettura più alta, più completa, più… divina, come solo il Figlio di Dio poteva fare: Dio, che è Amore (cfr. 1Gv 4,8) ama le sue creature, che devono amare Lui e amarsi a vicenda. Così tutti i comandamenti e tutti i precetti, possono essere ricondotti ad uno solo: L’amore.

    Gesù era pratico, parlava sempre con gli esempi per farsi capire.  A costo di sembrare ovvio, farò un esercizio per applicare questa “sublimazione” ai Dieci Comandamenti (ma si potrebbe fare con ciascuno dei precetti):

    1. Io sono il Signore, tuo Dio… Non avere altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine… Non ti prostrerai davanti a quelle cose…
      Amare Dio.
    2. Non pronunciare invano il nome del Signore tuo Dio… Amare Dio.
    3. Ricorda di santificare le feste… Amare Dio.
    4. Onora tuo padre e tua madre… Amare il prossimo.
    5. Non uccidere. Amare il prossimo. Se amo mio fratello, non lo ucciderò.
    6. Non commettere adulterio. Amare il prossimo. Se lo amo, non causerò dolore al coniuge tradito.
    7. Non rubare.  Amare il prossimo. Non danneggerò il fratello che amo.
    8. Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Amare il prossimo. Non farò del male a mio fratello.
    9. Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Amare il prossimo. Causerei inutilmente dolore.
    10. Non desiderare la casa del tuo prossimo… né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo. Amare il prossimo. L’invidia causa litigi che possono sfociare in prepotenze e violenze. Se amo mio fratello che possiede queste cose, voglio il suo bene, non gli porterò via nulla.

    Visto? Tutto si può tradurre con la legge dell’amore, la legge di Dio.

    Concludo con le parole di Papa Francesco: “Il comandamento dell’amore a Dio e al prossimo è il primo non perché sta in cima all’elenco dei comandamenti. Gesù non lo mette al vertice, ma al centro, perché è il cuore da cui tutto deve partire e a cui tutto deve ritornare e fare riferimento”. E ancora: “In mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni – ai legalismi di ieri e di oggi – Gesù opera uno squarcio che permette di scorgere due volti: il volto del Padre e quello del fratello. Non ci consegna due formule o due precetti: non sono precetti e formule; ci consegna due volti, anzi un solo volto, quello di Dio che si riflette in tanti volti, perché nel volto di ogni fratello, specialmente il più piccolo, fragile, indifeso e bisognoso, è presente l’immagine stessa di Dio“.

    Cari amici le domande che oggi vi propongo (e mi propongo) sono: Sono capace di riconoscere il volto di Dio nel fratello che mi sta accanto? Quanto amo Dio? E quanto amo mio fratello? Davanti ad una persona che ha bisogno di aiuto, mi perdo, come scribi e farisei, in mille distinguo… oppure la aiuto incondizionatamente e indipendentemente dal colore della sua pelle, dal suo status sociale, dal suo credo?

    Questa notte, Gesù, ti affido tutti i miei amici e le persone che conosco! Aiutali ad amare Te, e tutti i fratelli, come Tu ci hai insegnato!

    #Santanotte amici miei! 🙂 🙂 🙂

    Quanto amore c'è nel mio cuore?

    Il dipinto di oggi è “Cristo Risorto appare a Maria Maddalena” del pittore russo Alexander Andreyevich Ivanov, 1835, olio su tela, 240 × 321 cm, State Russian Museum, San Pietroburgo

    Alessandro Ginotta

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