Tag: Eliseo

  • Non è mai troppo tardi per un miracolo

    Non è mai troppo tardi per un miracolo

    Dio non smette mai di stupirci. Quando tutto sembra perduto, ecco che rovescia la situazione e trasforma la disperazione in meraviglia. Una siccità spietata, una carestia feroce. E poi? Una vedova straniera, senza nulla, che diventa strumento di un miracolo. Dio le affida una missione impossibile: sfamare un profeta affamato… senza avere provviste! Due cuori provati, due anime in bilico sul baratro, un’unica certezza: la fede. E così, accade l’imprevedibile.

    Il mio in(solito) commento a:
    Gesù come Elìa ed Elisèo è mandato non per i soli Giudei (Luca 4,24-30)

    Elia ed Eliseo. Due profeti, due vite intrecciate da un mantello e da eventi straordinari. Sapevi che prima di Gesù, proprio Elia aveva già moltiplicato farina e olio? (1Re 17,14) E che aveva riportato in vita il figlio di una vedova? (1Re 17,22) Eliseo, suo discepolo, non era da meno: divideva le acque del Giordano, guariva lebbrosi, compiva prodigi. Ma il colpo di scena più incredibile è questo: Elia… non è mai morto! È stato rapito in cielo su un carro di fuoco trainato da cavalli di fuoco (2Re 2,11), lasciando il suo mantello a Eliseo, quasi fosse un testimone divino. E un giorno, tornerà. Lo dice la profezia di Malachia: prima del grande giorno del Signore, Elia sarà mandato per ricucire i cuori spezzati.

    Nei Vangeli lo ritroviamo sul monte Tabor, accanto a Gesù nella Trasfigurazione (Matteo 17,1-8), e nel brano di oggi, evocato proprio da Gesù nella sinagoga di Nazaret:
    «C’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia… ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone» (Luca 4,26)

    Ancora una volta, Dio spiazza tutti. In Israele c’erano tante persone che avrebbero potuto accogliere il profeta, ma Dio sceglie proprio una donna disperata, sull’orlo della fame, per compiere il miracolo. Lei ha solo un pugno di farina e un filo d’olio. Pensa di preparare un ultimo pasto per sé e per il figlio, prima di lasciarsi morire. Ma Elia le dice: fidati. Cucina per lui quella focaccia, e vedrai. E accade l’incredibile: l’orcio dell’olio non si svuota, la farina non finisce mai. Dio ha riscritto il loro destino con la penna della fede.

    E poi c’è Naamàn, il generale siro, malato di lebbra. Cerca una guarigione, si aspetta gesti solenni… e invece Eliseo gli dice di immergersi nel Giordano sette volte. Così semplice, quasi ridicolo. Ma lui lo fa, e guarisce. Perché la fede è anche questo: fidarsi, senza capire tutto. (Se vuoi scoprire la sua storia, la trovi qui: https://www.labuonaparola.it/perche-ci-ammaliamo/)

    Vedi, Dio scrive meraviglie sulle righe storte della nostra vita. Ci chiama alla fiducia, anche quando tutto sembra perduto. Quando il buio sembra impenetrabile, è proprio allora che una scintilla di fede può accendere una luce inattesa. Non è mai troppo tardi per un miracolo #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La Crocifissione”, di Beato Angelico, 1423, tempera su tavola con sfondo d’oro, 63.8 x 48.3 cm, The Metropolitan Museum of Art

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  • Perché ci ammaliamo?

    Perché ci ammaliamo?

    Oggi scopriremo che, qualche volta, la malattia del corpo può guarire la nostra anima. Ma non è questa l’unica ragione per cui ci ammaliamo. Potremmo scrivere un libro intero senza esaurire tutte le possibili cause, non ultima la fatalità (cfr. Luca 13,1-9), eppure in questa pagina rocambolesca assisteremo a due colpi di scena che ci sorprenderanno. Chi ha mai detto che la Bibbia è noiosa?

    Il mio in(solito) commento a:
    La lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato (Marco 1,40-45)

    La lebbra è una malattia molto diffusa nella Bibbia. Due interi capitoli del Levitico (13 e 14) spiegano addirittura come diagnosticarla e come decretarne la guarigione dopo un opportuno periodo di quarantena ed osservazione. Un manuale medico ante litteram!

    Sono tanti i racconti che si riferiscono a lebbrosi, qualche volta anche piuttosto illustri. Un episodio che ci insegna molto è quello di Naaman il siro, autorevole e temuto comandante in capo dell’esercito del re di Aram. Ce lo racconta il secondo libro dei Re (2Re 5,1-19). Naaman è uno straniero affermato, ricco e potente, che adora altri dei, ma è gravemente ammalato. E la malattia, è risaputo, avvicina a Dio. Quello della malattia è un tempo dilatato. La sofferenza stessa ci interroga perché ci pone di fronte alla fragilità della nostra vita ed alla vanità delle nostre esistenze. Viviamo per guadagnare, crescere, affermarci e poi… arriva una malattia improvvisa che scompiglia tutte le carte. Ci accorgiamo che tutto quello per cui abbiamo lavorato e faticato non ha senso. Ci ritroviamo poveri di affetti. Ci rediamo improvvisamente conto che avremmo dovuto dedicare più tempo, più più sorrisi e più abbracci ai nostri cari. Scopriamo di aver sprecato la maggior parte della nostra vita correndo dietro ad obiettivi che non potremo mai raggiungere. È allora che riscopriamo Dio e ci rivolgiamo a Lui sperando in un miracolo. È così oggi, ed era così 800 anni prima di Cristo, 2800 anni fa, quando Naaman il siro lasciò il suo paese carico d’oro e gioielli “dieci talenti d’argento, seimila sicli d’oro e dieci vestiti” (cfr. 2Re 5,5), ma il suo fardello più pesante era quello della malattia. Un male terribile che non lasciava scampo e che lo spinse ad affrontare un viaggio della speranza, inseguendo il miraggio di una cura. Proprio come qualche volta facciamo anche noi.

    Il potente e temibile Naaman aveva saputo, da una sua schiava – una giovinetta che i suoi uomini avevano rapito in Israele – che, in quella terra straniera, viveva un profeta che lo avrebbe potuto guarire. Quell’uomo di Dio, la cui fama travalicava i confini del tempo, era Eliseo, discepolo e successore di Elia, l’uomo che non morì mai.

    Nàaman arrivò con i suoi cavalli e con il suo carro e si fermò alla porta della casa di Eliseo. Eliseo gli mandò un messaggero per dirgli: «Và, bagnati sette volte nel Giordano: la tua carne tornerà sana e tu sarai guarito». Nàaman si sdegnò e se ne andò protestando” (2Re 5,9-11). Il condottiero si aspettava una “magia”. Pensava che Eliseo avrebbe agitato una bacchetta magica e che, con sfoggio di qualche effetto speciale, lo avrebbe guarito in modo solenne. Invece ad accoglierlo arriva un servo che gli ordina di andare a lavarsi nelle acque di un fiume.

    Il Giordano. Ti ricorda nulla? Ma certo: Il Battesimo di Gesù! Oltre a decine di altri episodi narrati nella Bibbia, tra cui un miracolo poco noto, ma piuttosto eclatante: la divisione delle acque (sì, proprio come accadde nel Mar Rosso!) al passaggio dei sacerdoti che trasportavano l’Arca dell’Alleanza (Cfr. Giosuè 4). Acque che salvano. Acque che purificano. Ed è proprio questa la chiave che guarirà Nàaman: la purificazione. Messo da parte il proprio orgoglio (purificatosi nell’anima), decise di dare fiducia all’emissario di Eliseo (fede) ed avvenne il miracolo: uscì dall’acqua completamente guarito.

    Vedi quante similitudini con il miracolo di Gesù? È la fede che permette al miracolo di operare. È la conversione che porta alla guarigione, prima dell’anima e poi del corpo. Nàaman, ricredutosi, capì di essere stato guarito da un atto di fede. E decise di abbandonare per sempre i suoi idoli pagani e convertirsi a Dio.

    Ma non finisce qui. Questa avvincente pagina della Bibbia, che ci parla di fatti avvenuti più di 2800 anni fa, ha ancora in serbo per noi due colpi di scena! Nàaman comprende che tutto quello per cui aveva vissuto prima di allora, non ha più alcun senso. Ora ha scoperto Dio e la sua scala valoriale è cambiata. La sua anima è più bella. Più pura. Nàaman ha fatto un viaggio carico d’oro e ricchezze. Ora è pronto a lasciare tutto ad Eliseo. In cambio, chiede soltanto di portare con sé qualche sacco di terra raccolta sulle rive del Giordano. Tutta quella che due muli potranno caricare. Perché? Perché ora si è convertito a Dio e, una volta tornato nel suo paese, desidera poter pregare Dio, non sulla terra dove vengono venerati altri dei, ma su quella santa e pura prelevata dal Giordano. Vedi come un pugno di terra può valere più di tanti chili d’oro?

    Eliseo naturalmente non accetterà oro. I miracoli si fanno gratis. Dio non si vende. Nàaman riparte con il suo carico d’oro, che ora non vale più nulla per lui, con la terra e tanta tanta fede, oltre alla salute ritrovata.

    Ma a questo punto interviene un sornione: il servo di Eliseo, che rincorre il nobile straniero e lo inganna fingendo che il suo padrone abbia cambiato idea e lo abbia inviato lì per chiedergli dell’argento e dei vestiti. Nàaman non esiterà neppure un minuto e darà al servo il doppio di quanto richiesto. E non lo farà solo per riconoscenza, ma perché lui, che ha sperimentato la malattia ed è stato attraversato dallo spettro della morte, ha scoperto che c’è qualcosa che vale ben più del denaro: Dio. La fede. E, naturalmente, la salute. La vita.

    Il servo sornione non la farà franca. Eliseo scoprirà il suo raggiro: “da dove vieni?”, gli chiederà vedendolo carico di preziosi. “Da nessuna parte”, tenterà una tanto inutile quanto poco credibile difesa. Ma la reazione di Eliseo sarà implacabile: “«Stolto, la lebbra di Nàaman si attaccherà a te e alla tua discendenza per sempre». Egli si allontanò da Eliseo, bianco come la neve per la lebbra” (2Re 5,27).

    Nàaman si è purificato ed è guarito completamente. Il servo si è macchiato di peccato e si è ammalato di lebbra. Una bella lezione!

    Noi abbiamo mai agito così? Non abbiamo mai approfittato della debolezza degli altri per arricchirci alle loro spalle, vero?

    La lebbra, nei tempi antichi ed anche ai tempi di Gesù, era la peggiore delle malattie. Perché non solo colpiva il corpo, ma rubava anche tutti gli affetti alle persone ammalate che venivano ritenute impure e, come tali, “contagiose” non solo di malattia, ma anche di “impurità spirituale”. Perché la malattia, dagli antichi abitanti di Israele, veniva ritenuta una conseguenza del peccato. Era una punizione. E nessuno si avvicinava ad un lebbroso per non venire contagiato dal male, ma anche dal deterioramento spirituale che lo ha causato. Il lebbroso era un “paria” a tutti gli effetti. E non veniva neppure accettato nelle città, ma doveva vivere, da solo, in aperta campagna. Senza accostarsi a nessuno!

    Pensa: un ammalato emarginato. Non è forse un candidato ideale per la misericordia di Gesù? Ed è così che, anche in questo brano di Vangelo, Gesù si commuoverà: “Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato” (vv. 41,42).

    #Santanotte. Abbi fede in quel Dio che ti ama e si commuove per te, ti guarisce dentro per guarirti anche fuori.

    Alessandro Ginotta

    Qual è il senso della malattia?
    Il dipinto di oggi è: “Gesù guarisce il lebbroso” di Jean-Marie Melchior Doze, 1864, olio su tela, 135 x 105 cm, Musee des Beaux-Arts, Nimes

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