Tag: miracoli

  • Non è mai troppo tardi per un miracolo

    Non è mai troppo tardi per un miracolo

    Dio non smette mai di stupirci. Quando tutto sembra perduto, ecco che rovescia la situazione e trasforma la disperazione in meraviglia. Una siccità spietata, una carestia feroce. E poi? Una vedova straniera, senza nulla, che diventa strumento di un miracolo. Dio le affida una missione impossibile: sfamare un profeta affamato… senza avere provviste! Due cuori provati, due anime in bilico sul baratro, un’unica certezza: la fede. E così, accade l’imprevedibile.

    Il mio in(solito) commento a:
    Gesù come Elìa ed Elisèo è mandato non per i soli Giudei (Luca 4,24-30)

    Elia ed Eliseo. Due profeti, due vite intrecciate da un mantello e da eventi straordinari. Sapevi che prima di Gesù, proprio Elia aveva già moltiplicato farina e olio? (1Re 17,14) E che aveva riportato in vita il figlio di una vedova? (1Re 17,22) Eliseo, suo discepolo, non era da meno: divideva le acque del Giordano, guariva lebbrosi, compiva prodigi. Ma il colpo di scena più incredibile è questo: Elia… non è mai morto! È stato rapito in cielo su un carro di fuoco trainato da cavalli di fuoco (2Re 2,11), lasciando il suo mantello a Eliseo, quasi fosse un testimone divino. E un giorno, tornerà. Lo dice la profezia di Malachia: prima del grande giorno del Signore, Elia sarà mandato per ricucire i cuori spezzati.

    Nei Vangeli lo ritroviamo sul monte Tabor, accanto a Gesù nella Trasfigurazione (Matteo 17,1-8), e nel brano di oggi, evocato proprio da Gesù nella sinagoga di Nazaret:
    «C’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia… ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone» (Luca 4,26)

    Ancora una volta, Dio spiazza tutti. In Israele c’erano tante persone che avrebbero potuto accogliere il profeta, ma Dio sceglie proprio una donna disperata, sull’orlo della fame, per compiere il miracolo. Lei ha solo un pugno di farina e un filo d’olio. Pensa di preparare un ultimo pasto per sé e per il figlio, prima di lasciarsi morire. Ma Elia le dice: fidati. Cucina per lui quella focaccia, e vedrai. E accade l’incredibile: l’orcio dell’olio non si svuota, la farina non finisce mai. Dio ha riscritto il loro destino con la penna della fede.

    E poi c’è Naamàn, il generale siro, malato di lebbra. Cerca una guarigione, si aspetta gesti solenni… e invece Eliseo gli dice di immergersi nel Giordano sette volte. Così semplice, quasi ridicolo. Ma lui lo fa, e guarisce. Perché la fede è anche questo: fidarsi, senza capire tutto. (Se vuoi scoprire la sua storia, la trovi qui: https://www.labuonaparola.it/perche-ci-ammaliamo/)

    Vedi, Dio scrive meraviglie sulle righe storte della nostra vita. Ci chiama alla fiducia, anche quando tutto sembra perduto. Quando il buio sembra impenetrabile, è proprio allora che una scintilla di fede può accendere una luce inattesa. Non è mai troppo tardi per un miracolo #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La Crocifissione”, di Beato Angelico, 1423, tempera su tavola con sfondo d’oro, 63.8 x 48.3 cm, The Metropolitan Museum of Art

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  • Cacciatori di miracoli

    Cacciatori di miracoli

    Oggi abbiamo un’impresa davanti a noi: spostare una montagna. Non una qualsiasi, ma quella che ci portiamo dentro. Quella fatta di paure, di limiti, di difficoltà che ci tengono ancorati a terra. Come faremo? Partiremo per un viaggio nel tempo e nello spazio, fino a duemila anni fa, in una terra straniera chiamata Decapoli. Vieni con me?

    Il mio in(solito) commento a:
    “Mangiarono a sazietà” (Marco 8,1-10)

    Immagina un paesaggio ostile, brullo, assetato di vita. Siamo dall’altra parte del mare di Galilea, lontani dalle case sicure di Cafarnao. Qui non c’è la terra fertile che nutre le radici, ma solo deserto. La sabbia si insinua nei calzari, le rocce acuminate feriscono i piedi. Un luogo duro, quasi inospitale. Eppure, proprio qui, da tre giorni, una folla immensa segue Gesù. Sono uomini e donne coperti di stracci, affamati di cibo, sì… ma soprattutto affamati di speranza.

    E Gesù li guarda. Il suo cuore si muove di compassione. Non può lasciarli andare via così. «Se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino» dice ai suoi discepoli. Ma loro scuotono la testa: «Come possiamo sfamarli qui, in un deserto?»

    Ed è qui che arriva la domanda spiazzante di Gesù: «Quanti pani avete?»
    Sette. Solo sette. Un numero ridicolo per una folla intera.

    E allora ci viene spontaneo pensare: «Gesù, ma come?! Non sai che sette pani non bastano?» Anche i discepoli ci stanno ragionando: Filippo calcola quanti denari servirebbero per comprare il cibo necessario, Andrea si tormenta perché non ci sono neppure pesci da pescare. E noi? Anche noi lo pensiamo, vero? Lo abbiamo letto tante volte questo brano, lo abbiamo sentito proclamare in Chiesa. Ma se adesso fossimo lì, in mezzo a quella folla, con la polvere tra i capelli e il vento caldo che sferza il viso, se vedessimo quei volti scavati, quegli occhi carichi di attesa, cosa penseremmo? Che sette pani non bastano.

    Eppure… basteranno.

    Perché quando entra in gioco la fede, accade l’impossibile.

    Allora torniamo nel nostro tempo. Guardiamoci attorno. Quali sono i deserti della nostra vita? Dove ci sentiamo persi, senza risorse, senza speranza? Gesù è qui anche oggi, e ci dice la stessa cosa: “Abbi fede”. La fede è l’unica forza capace di ribaltare la realtà. Non si arrende ai calcoli della logica, non si ferma davanti alle impossibilità. La fede rompe gli schemi, spalanca il cielo e permette ai miracoli di accadere.

    Perché, se crediamo, quei sette miseri pani non solo sfameranno tutti… ma ne avanzeranno persino sette ceste colme!

    Questa è la risposta di Dio alla nostra fede: una generosità traboccante. Se ci affidiamo a Lui, non solo ci darà il necessario, ma molto, molto di più. Noi guardiamo i nostri limiti, Lui vede le nostre possibilità. Noi calcoliamo le risorse, Lui le moltiplica.

    E tu, sei pronto a credere?
    Perché basta un granello di senape di vera fede per fare cose che il mondo crede impossibili. Per spostare le montagne.

    E quando ci lasceremo andare alla fiducia, smettendo di cercare sicurezze nei nostri schemi e nelle nostre paure… allora alzeremo lo sguardo. E proprio lì, nel cuore di Dio, i miracoli accadranno #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La moltiplicazione dei pani e dei pesci”, icona ortodossa

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  • Il demone che riconobbe Dio

    Il demone che riconobbe Dio

    Noi, amati senza misura da Dio, ci perdiamo nell’incapacità di riconoscerlo davvero. Lo confondiamo con un guaritore, lo inseguiamo finché ci dà ciò che vogliamo, e poi? Lo dimentichiamo.

    Il mio in(solito) commento a:
    Gli spiriti impuri gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse (Mc 3,7-12)

    Il Vangelo di oggi ci mostra un Gesù circondato da una folla che lo pressa, che lo spinge: “Infatti aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo” (Mc 3,10). Lo cercano per guarigioni, per miracoli. Ma quanti, tra quella folla, cercavano il Figlio di Dio? Nessuno. Lo trattavano come un jukebox divino: inserisci la tua monetina e ricevi il miracolo.

    Ma Dio non è questo. Non è un dispensatore automatico di grazie. Dio è il nostro Creatore, il Padre che si è fatto vicino a noi per amore. E sì, ci guarisce, ma la sua cura parte dall’anima. Prima di liberare il corpo, vuole sanare il cuore: “Ti sono perdonati i tuoi peccati” (Mt 9,5), dice al paralitico.

    Gesù non vuole fermarsi alla superficie. Vuole toccare il tuo cuore, la tua anima. Vuole che tu lo cerchi davvero, come l’emorroissa che, nella sua audacia, sfida tutto e tutti pur di toccare il mantello del Salvatore. Ma non fermarti lì: osa toccare la sua anima.

    Eppure, quante volte gli voltiamo le spalle? Lui è qui, sempre, con un amore che non conosce pause. Ma noi? Spesso preferiamo rimanere con le nostre ferite, aggrappati ai nostri errori, piuttosto che accettare la sua guarigione. Siamo noi a dire “no” al suo amore, scegliendo di tenerci la nostra malattia.

    E poi c’è una verità che colpisce: mentre noi fatichiamo a riconoscere Gesù, il demonio non ha dubbi su chi sia. “Tu sei il Figlio di Dio!”, gridano gli spiriti impuri, e Lui ordina loro di tacere. Ma perché il diavolo lo riconosce così chiaramente?

    Perché, per quanto detestabile, il demonio è un essere spirituale, un angelo decaduto. Conosceva Dio, lo ha visto, lo ha amato prima di ribellarsi per orgoglio. Ora, nella sua caduta, cerca di vendicarsi tormentando proprio noi, le creature che Dio ama così tanto.

    Ma tu non vuoi davvero lasciarti ingannare, vero? Perché non iniziamo, invece, a guardare Gesù per quello che è? Il Dio-con-noi, così innamorato dell’uomo da farsi Uomo. Un Dio che non spezza mai i legami, nemmeno quando il nostro cuore si raffredda. Il suo, al contrario, rimane incandescente.

    Lui non si stanca mai di amarci. Sta a noi scegliere se accoglierlo davvero o continuare a trattarlo come un guaritore di passaggio. E tu, cosa sceglierai? #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La tentazione di Cristo”, di Ary Scheffer, 1854, olio su tela, 75.5 × 55.0 cm, The National Gallery of Victoria

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  • Fammi vedere di nuovo

    Fammi vedere di nuovo

    Quando due volontà così forti si incrociano, accade qualcosa di unico: un miracolo d’amore che sfida ogni logica e trasforma l’impossibile in possibile. Immagina due mani che si cercano: la creatura che si protende verso il suo Creatore, e il Creatore che, con un gesto carico d’infinito, si china verso la sua creatura. È l’abbraccio che riscrive ogni storia. È l’incontro che cancella ogni colpa e accende dentro di noi una scintilla di vita nuova. Per sempre.

    E tu, sei pronto a vivere questo incontro?

    Il mio in(solito) commento a:
    Che cosa vuoi che io faccia per te? Signore, che io veda di nuovo! (Lc 18,35-43)

    Qualche tempo fa scrissi di quei “luoghi speciali” dove Dio sembra farsi più vicino, quasi a volerci lasciare impronte visibili del Suo passaggio. Gerico è uno di quei posti. Lì Gesù ha incontrato Zaccheo (Lc 19,1-10), raccontato la parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37), guarito Bartimeo (Mc 10,46-53) e ridato la vista ad altri due ciechi (Mt 20,29-34). E non è tutto: nella valle di Gerico, Mosè vide la Terra Promessa (Dt 34,1). Sempre lì, gli ebrei abbatterono le mura della città con il suono delle trombe (Gs 6,1-21). Gerico è un crocevia di miracoli, un luogo carico di storia e di fede. Coincidenze? Forse no. Forse è un segnale.

    C’è qualcosa di potente che unisce questi episodi: l’incontro. Zaccheo salì su un sicomoro per vedere Gesù, e quel gesto divenne l’inizio di una rivoluzione interiore. Allo stesso modo, il cieco del Vangelo di oggi non si lascia scoraggiare dalla folla che tenta di zittirlo. Non vede con gli occhi, ma il suo cuore vede chiaramente: sa che Gesù può guarirlo. E quella certezza lo spinge a gridare più forte.

    E tu? Sei arrivato fin qui. Anche tu, in fondo, stai cercando Gesù. Magari attraverso queste parole, magari attraverso la Parola. Ma dimmi: da quale male vuoi essere guarito?

    Non parlo solo di malattie del corpo, ma di quei mali che affliggono l’anima: l’egoismo, l’orgoglio, la paura di perdonare o perdonarsi, il peso dell’invidia, la mancanza di ascolto… Sono tante le “cecità” che ci imprigionano.

    Ma ecco la buona notizia: non serve un albero come Zaccheo, né un viaggio fino a Gerico per incontrare Gesù. Lui è già qui, accanto a te, ora. Ti basta un cuore sincero, un desiderio autentico di cambiare. La tua Gerico può essere una pagina di Vangelo, un momento di preghiera, o la quiete di casa tua. Basta cercarlo, perché Lui è già alla porta, pronto a rispondere.

    Quando la tua volontà di ritrovarlo incrocia la Sua volontà di salvarti, succede qualcosa di straordinario. Nulla può fermare l’esplosione di amore che trasforma ogni cosa. Una nuova vita ti attende.

    Lascia che Gesù illumini il tuo cuore. E sai cosa succederà? Vedrai meglio. Vivrai meglio #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    L’immagine di oggi è: “Guarigione del cieco e resurrezione di Lazzaro” (particolare), prima metà del XII sec. (1129–34 circa), strappo di affresco su tela, 165,1 x 340,4 cm. Metropolitan Museum of art, New York

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  • Credere nei miracoli

    Credere nei miracoli

    Quando tutto sembra perduto, quando la vita ci pone di fronte a un destino che appare inesorabile e ci spinge ad abbandonare ogni speranza, siamo ancora capaci di credere nel miracolo?

    Ecco il mio in(solito) commento a:
    Ragazzo, dico a te, alzati! (Luca 7,11-17)

    Ci crediamo davvero che Dio non sia solo un’idea astratta, ma un Padre presente e pronto a rialzarci ogni volta che cadiamo? Lasciamo che entri nella nostra vita o ci lasciamo contagiare dalla diffidenza cinica che ci circonda? Ci fidiamo solo di ciò che possiamo vedere e toccare, o siamo aperti alla possibilità che esista qualcosa di più?

    Perché, se vogliamo incontrare Dio, dobbiamo cercarlo proprio lì, dove sembra più assente. Dio è ovunque e in ogni momento. Il fatto che non lo vediamo non significa che non ci sia. Dobbiamo avere lo stesso sguardo di San Giovanni evangelista, che seppe riconoscere in un lenzuolo abbandonato (cfr. Giovanni 20,7) non l’assenza di Dio, ma il segno della Sua presenza.

    Ogni miracolo è un’eccezione: un attimo in cui Dio sospende le leggi della natura per lasciare spazio all’impossibile. È il momento in cui la fisica cede il passo alla metafisica. E se Dio ha creato l’universo, non potrebbe anche riscriverne le regole? Finché cercheremo di spiegare tutto con la sola ragione, non riusciremo mai a comprendere davvero cosa succede quando il soprannaturale invade il mondo.

    Senza questa certezza, ogni difficoltà rischia di schiacciarci. Come possiamo vivere senza speranza? Come possiamo affrontare gli ostacoli della vita se non abbiamo la forza di guardare oltre?

    Quante persone non credono in Dio? E quante volte, anche noi, che diciamo di credere, ci lamentiamo perché lo sentiamo distante? Quante volte pensiamo che non si curi dei nostri problemi?

    Tante persone soffrono perché sono convinte che nulla cambierà mai. Eppure, il Vangelo ci insegna a sperare anche contro ogni speranza (cfr. Romani 4,16-25). Perché «nulla è impossibile a Dio» (Luca 1,37).

    Davvero nulla, neanche risuscitare un morto. E qui ci troviamo lungo la strada verso una piccola città. “Gesù si recò in una città chiamata Nain, seguito dai discepoli e da una grande folla” (v. 11). Da un lato, la gioia della folla che segue Gesù. Dall’altro, il dolore di una madre che accompagna il feretro del figlio, il suo unico figlio. “Quando giunse alla porta della città, stavano portando alla tomba un morto, figlio unico di una madre vedova, e molta gente della città era con lei” (v. 12). La vita e la morte si incontrano. Le due folle si fermano. Ma è il cuore di Gesù a cedere per primo: “Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!»” (v. 13). Una commozione simile a quella che provò vedendo Maria piangere per la morte di Lazzaro (Giovanni 11,33). Dio è così vicino a noi che piange con noi. La parola “misericordia” viene dal latino: misereor (ho pietà) e cor (cuore). Compassione: è l’altra faccia dell’amore di Dio.

    Gesù si avvicina, tocca la bara, e il corteo si ferma. Poi dice: «Ragazzo, dico a te, alzati!» E il giovane si siede e comincia a parlare. Gesù lo restituisce a sua madre (vv. 14-15).

    La fede che Dio ci chiede è una forza rivoluzionaria, capace di trasformare la realtà e permettere all’impossibile di accadere. È una fede che non si arrende, che spera contro ogni speranza.

    Oggi ti auguro di non spegnere mai la fantasia di una fede capace di riconoscere Dio anche in un lenzuolo abbandonato. Perché le cose più belle non si vedono né si toccano, si sentono. Proprio come l’amore. Proprio come Dio.

    #Santanotte!

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La risurrezione del figlio della vedova di Nain”, del Maestro della Passione di Darmstadt, 1450, olio su tavola, 95×70 cm, Alte Pinakothek, Monaco

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  • Il coraggio di sfiorare il mantello di Gesù

    Il coraggio di sfiorare il mantello di Gesù

    Due storie, intrecciate come in un romanzo avvincente, ci vengono raccontate da San Marco: l’audace emorroissa e la risurrezione della figlia di Giairo.

    Ecco il mio in(solito) commento a: “Fanciulla, io ti dico: Alzati!” (Mc 5,21-43).

    Il coraggio, intrecciato con la fede, fa proprio miracoli! Una donna temeraria, che da più di dodici anni soffre di perdite di sangue, raggiunge Gesù, si getta a terra e allunga la mano per toccare una frangia del suo mantello. La sua storia si intreccia con quella della figlia di Giairo. Qui, il coraggioso è proprio lui, il padre, che lascia la fanciulla sul letto di morte per cercare Gesù, convinto che Lui la possa riportare in vita. Due racconti che emergono con una grande fede, una caparbietà fuori dal comune, una volontà straordinaria.

    Fede e coraggio sono la trama e l’ordito di questa narrazione. La fede vera è sempre audace, richiede coraggio per “credere contro ogni speranza” (cfr. Romani 4,18). Bisogna sperare, anche quando sembra sconsiderato e irragionevole. Dobbiamo sperare mentre tutto attorno a noi è buio e non avere paura di lamentarci con Dio, perché anche questa è una forma di preghiera.

    L’emorroissa lo sa bene. A causa della sua malattia, era considerata impura dagli anziani e dai farisei: “chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera” (Levitico 15,19). Pensiamo a quanto devono essere stati difficili per lei questi dodici anni, costretta a fuggire lontano da tutti, evitando i contatti. Eppure, prende il coraggio tra le mani e afferra una frangia della tunica del Maestro. Secondo la Legge del Levitico, avrebbe reso Gesù impuro fino a sera, ma è Lui a “contaminare” lei con la sua grazia e a guarirla.

    Vedi quanto è rivoluzionaria la figura di Gesù? Guarisce e fa miracoli di sabato, tocca lebbrosi e donne con perdite di sangue senza contaminarsi, purificandoli. Ci libera dal peccato, dal maligno e… può perfino salvarci dalla morte. Una figura così “destabilizzante” che farisei, scribi e dottori della Legge decisero di eliminarla.

    Torniamo al coraggio. Lo troviamo anche in questo padre, ricco e potente funzionario. Quanta fermezza nelle sue parole: “Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà” (v. 18). Non c’è ombra di dubbio in lui. Solo fede. E la fede viene ricompensata: la figlia, che tanto amava, viene strappata alla morte.

    L’amore che Dio prova per noi è così grande che il suo cuore si muove a compassione ogni volta che un ammalato gli chiede soccorso. Ma, c’è un ma! Gesù non guariva “tutti” ma curava “tutti quelli che incontrava”. E c’è differenza tra guarire e curare.

    L’incontro con Gesù è qualcosa che ci trasforma radicalmente. Lo sa bene San Paolo, che da persecutore dei cristiani si trasformò nel più appassionato degli apostoli, dopo aver incontrato Gesù sulla via verso Damasco. E l’incontro deve essere a “doppio senso”: da un lato Dio, proteso verso l’uomo, cerca sempre di incontrarci.

    Per guarire, dobbiamo accettare la cura di Gesù. Bisogna lasciarci toccare l’anima da Lui. Essere così audaci, come l’emorroissa, da inseguire Gesù e toccare la sua anima!

    Egli è sempre qui, nonostante il nostro rifiuto. Nonostante il nostro prendere le distanze da Lui. Mentre noi non sempre siamo disposti ad incontrarlo. Non sempre abbiamo la volontà di ascoltarlo. Talvolta, ostinandoci nel nostro peccato, gli impediamo di guarirci anche se Lui lo vorrebbe. Perché? Perché Dio ci ama così tanto da concederci il libero arbitrio, ossia: la facoltà di sbagliare. Ogni volta che commettiamo il peccato ci allontaniamo da Lui, come se gli voltassimo le spalle, come se gli dicessimo: no, non mi interessa la tua guarigione, mi tengo la mia malattia.

    E così, chi di noi si comporta come un fariseo, convinto di essere perfetto, certo di essere nel giusto, chiuso nella bolla del proprio orgoglio, non potrà guarire. Dio non si impone, si propone. Così, quando vede una lacrima scendere sul nostro viso, non può che commuoversi e accorrere in nostro aiuto. Poi sta a noi. Se davvero vogliamo guarire, dobbiamo essere disposti a cambiare. Non dobbiamo sentirci sicuri come il fariseo, ma sempre pronti a metterci in discussione come il pubblicano. Dobbiamo accogliere il suo amore, se vogliamo guarire. Dobbiamo permettere a Gesù di toccare la nostra anima, guarire prima lei e poi tutto il corpo.

    Abbi anche tu il coraggio di sfiorare il mantello di Gesù. Sii audace nella preghiera e Dio ti ricompenserà! #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La risurrezione della figlia di Giario”, di Gaspare Martellini, 1847, olio su tela, cm 104×154, collezione privata

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  • Perché Gesù ci promette il centuplo?

    Perché Gesù ci promette il centuplo?

    Il centuplo. È la promessa che Gesù fa a chi è disposto a credere che l’impossibile possa avverarsi.

    Il mio in(solito) commento a:
    Riceverete in questo tempo cento volte tanto insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà (Marco 10,28-31)

    Devi saperti abbandonare e imparare a credere che non esiste nulla di davvero impossibile se vuoi permettere ai miracoli di accadere. Io posso testimoniare che è così: negli ultimi anni ne ho visti di miracoli! Alcuni sono perfino accaduti a me. Eventi soprannaturali che hanno cambiato il corso della mia vita e quella di chi mi sta accanto. Qualche volta, quando mi trovo a tu per tu con lettori e amici, ne racconto uno. Sai, quando dalle mie labbra escono le prime parole temo sempre di venire deriso o ritenuto pazzo. Ma poi Dio mi sorprende, perché vedo che gli occhi di chi mi ascolta si accendono di viva attenzione. Scorgo un impercettibile annuire che si fa sempre più deciso, finché mi rendo conto che le persone che mi stanno davanti non solo mi credono ma, molto probabilmente, hanno provato anche loro esperienze simili a quelle che racconto. E allora mi coglie molto sollievo, accompagnato dalla certezza che Dio esiste e opera continuamente miracoli in ciascuno di noi. Basta che noi siamo disposti a credergli. A credere all’esistenza di Dio. A lasciare aperta quella porticina che si apre verso l’ignoto dentro di noi.

    Dio ripaga quel piccolo sforzo al quale ci abbandoniamo con il centuplo (e forse più!). È così che ha trasformato cinque pani e cinque pesci in una scorta senza fine capace di sfamare una moltitudine di persone (ed avanzarne ancora).

    Perché la risposta di Gesù, alla nostra fede, è sempre di una generosità sovrabbondante. Sì, Lui non si ferma a pensare se pochi pani e pochi pesci potranno bastare. Lui è sicuro che basteranno. Ed avanzeranno. Chi possiede questa fede, anche se solo un pizzico, come un granellino di senape, potrà fare cose che, ai più, sembrano impossibili.

    A tutti noi, che vogliamo credere, che vogliamo avere fede, Gesù chiede di non rinchiuderci nei nostri schemi asfittici e riduttivi, di non affidarci al calcolo ed alla ragione, ma di alzare lo sguardo oltre l’orizzonte e contemplare la vastità del cielo. La vastità di Dio. E lasciare che, i nostri pensieri, vengano trasportati dall’alito dello Spirito Santo “che soffia dove vuole e quando vuole” (cfr. Giovanni 3,8).

    Abbiamo un tesoro immenso che ci attende nei cieli, ma a chi lo segue Gesù offre una ricompensa che non è solo da intendersi in termini materiali ma anche spirituali e relazionali, poiché si riceveranno nuove comunità di fede, fratelli e sorelle in Cristo, e una ricchezza spirituale interiore. Così la comunità dei credenti diventa una nuova famiglia che accoglie e supporta i suoi membri.

    Certo, non sempre tutto è rose e fiori. Qualche volta ci può accadere di scontrarci con persone tanto limitate da non riuscire a guardare al di là della loro ordinaria quotidianità, fatta di eventi certi e prevedibili, ma che non lasciano nulla al soprannaturale. Come bimbi gelosi dei giocattoli di chi sta loro accanto cercano di strapparci i nostri dalle mani. E, quando non ci riescono, se la prendono con noi attaccandoci in tutti i modi in cui saranno capaci: “insieme a persecuzioni” (cfr. v. 30). Ma questo male che ci faranno è davvero nulla rispetto all’oceano di bene che Dio farà straripare attorno a noi. #Santanotte.

    Alessandro Ginotta

    Perché Gesù ci promette il centuplo?
    Il dipinto di oggi è: “Christus Consolator”, di Carl Heinrich Bloch, 1875, olio su tela, Brigham Young University Museum of Art

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  • Perché credere in Dio

    Perché credere in Dio

    Tu credi in Dio? Sappi che Dio produce miracoli che si nutrono della nostra speranza. Quando hai un problema è inutile temere di non poterlo risolvere, prova piuttosto a nutrire la speranza di poterlo superare e ti sorprenderai di scoprire che la soluzione verrà da sé. Anzi: da Dio!

    Il mio in(solito) commento a:
    Chi ha visto me, ha visto il Padre (Giovanni 14,7-14)

    Grazie alla fede si compiono i miracoli. Se hai un po’ di dimestichezza con il Vangelo saprai che è un concetto che Gesù ripete spesso: Cristo si accerta che la nostra fede sia capace di credere nell’impossibile prima di realizzarlo. Gesù ci coinvolge quando ci guarisce: «Che vuoi che io ti faccia?», «Va’, la tua fede ti ha salvato» (cfr. Marco 10,51-52). Egli mette alla prova la nostra sete di Lui quando sazia la nostra fame: «Quanti pani avete? Andate a vedere» (cfr. Marco 6,38). Gesù misura la nostra fede persino quando deve risuscitare una persona: “Gesù le disse: «chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo»” (cfr. Giovanni 11,26-27).

    Ma oggi la Parola ci dice una cosa nuova: «In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre» (v. 12). Se tu credi, allora anche tu potrai compiere miracoli.

    Ho molto riflettuto su questa riga. A una prima lettura sembrerebbe raccontare qualcosa di impossibile. Io, in grado di compiere miracoli? Quando mai!? Eppure, guarda bene nella tua anima. Sei proprio sicuro che non sia mai accaduto nulla di strano, nulla di apparentemente impossibile, nessuna coincidenza improbabile si è mai verificata? Se pensi che nulla di tutto questo sia accaduto lasciatelo dire: o conduci un’esistenza tremendamente ordinaria, oppure non sei abbastanza attento allo straordinario che si manifesta accanto a te. Io sono certo che, se ci penserai bene, anche tu troverai dei piccoli miracoli che Dio ha compiuto nella tua vita.

    Ma ipotizziamo per un (solo) istante che non ce ne siano. Basterà andare avanti a leggere il Nuovo Testamento per incontrare presto miracoli eclatanti compiuti dagli apostoli dopo la morte e Risurrezione di Cristo: san Pietro guarì uno storpio alla porta del tempio (cfr. At 3,1-10), un paralitico a Lidda (cfr. At 9,33-35) e una donna di nome Tabità a Giaffa (cfr. At 9,36-42). Filippo (sì, proprio il Filippo a cui si rivolge Gesù in questo brano di Vangelo) guarì molte persone e compì esorcismi nelle regioni di Samaria (cfr. At 8,7). San Paolo addirittura risuscitò due persone: un adolescente a Troade (cfr. At 20,9-12), guarì il padre di Publio (cfr. At 28,8) e un infermo a Listra (cfr. At 14,8-10), poi compì un esorcismo a Filippi (cfr. At 16,16-18).

    Se ancora sei convinto che nella tua vita non sia mai avvenuto nessun miracolo accennerò a qualcuno dei miei, come la volta in cui Dio fermò per me il tempo permettendomi di arrivare puntuale (anzi in anticipo) ad un appuntamento che era ormai perduto e che avrebbe stravolto le sorti della mia vita. Allora È grazie a quei 15 minuti che mi regalò Dio se oggi sono qui a scrivere questo articolo. Un’altra volta fece addirittura apparire una chiesa là dove non esisteva (questo te lo racconto nel mio ultimo libro Sorprendersi con Dio). E potrei andare avanti narrando molti altri episodi come incidenti scampati, previsioni impossibili avverate…

    E allora ho riflettuto: ma è proprio vero! Dio è così, produce miracoli che si nutrono della nostra speranza. Quando hai un problema è inutile temere di non poterlo risolvere, prova piuttosto a nutrire la speranza di poterlo superare e ti sorprenderai di scoprire che la soluzione verrà da sé. Anzi: da Dio! Apriti allo straordinario e qualcosa di straordinario avverrà dentro di te! #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Sacro cuore di Gesù”, di autore francese della prima metà del XIX secolo, Reims, Collezione privata

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  • Hai smarrito i superpoteri della fede?

    Hai smarrito i superpoteri della fede?

    Volere è potere, recita un antico proverbio e, in questo caso, non è sbagliato: se noi fossimo capaci di recuperare lo slancio dei primi cristiani, se solo noi imparassimo a custodire quel piccolo seme che è la speranza, allora saremmo in grado di compiere grandi, grandissime cose.

    Il mio in(solito) commento a:
    Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo (Marco 16,15-20)

    Leggendo queste righe di San Marco non possiamo non trasalire. Vi sono scritte cose impossibili (almeno cose che ai nostri tempi riteniamo impossibili). Davvero Cristo aveva concesso ai suoi discepoli la capacità di guarire gli ammalati, la possibilità di essere immuni ai veleni, il dono di comunicare in lingue sconosciute, il potere di scacciare i demoni? Stando al Vangelo ed alle testimonianze dei primi cristiani sì. Pensi forse che siano falsità o stratagemmi letterari? Ti assicuro di no. Non in questo caso. Questo Vangelo è veramente autentico e racconta fatti testimoniati anche in altri testi. Allora perché nessuno ai giorni nostri è più capace di eguagliare le opere dei primi discepoli?

    La spiegazione ce la dà San Marco: «Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (vv. 17-18). Questi sono i segni che accompagneranno quelli che credono. Credere. Questa è la radice del problema. Volere è potere, recita un antico proverbio e, in questo caso, non è sbagliato: se noi fossimo capaci di recuperare lo slancio dei primi cristiani, se solo noi imparassimo a custodire quel piccolo seme che è la speranza, allora saremmo in grado di compiere grandi, grandissime cose.

    Abbiamo perso la capacità di credere, abbiamo smarrito la voglia di sognare e stiamo perdendo perfino la possibilità di vivere un’esistenza felice. Perché le tenebre del male stanno tentando di avvolgere il mondo intero facendolo precipitare in un periodo di oscurità. Ma non dobbiamo rinunciare a credere in una grande verità: non praevalebunt. Le porte degli Inferi non prevarranno (cfr. Matteo 16,17-19). Non verrà il buio, ma la luce è e sarà sempre capace di trionfare.

    Scavando più a fondo ci accorgiamo che accanto alla nostra incredulità c’è un ulteriore motivo: il nostro smisurato narcisismo. Siamo così pieni di noi stessi che non troviamo più spazio per Dio. Crediamo che i “superpoteri” siano nostre capacità innate. Siamo convinti che il destino del mondo e forse perfino quello dell’universo intero dipenda da noi. Nulla di più sbagliato. Non siamo noi ad avere capacità soprannaturali, ma è Dio stesso ad operare attraverso di noi: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano” (v. 20). È Dio-con-noi che agisce dentro di noi e, per mezzo di noi permette che avvengano i miracoli. Accade così anche con i santi che preghiamo per ottenere qualche grazia: il miracolo non è opera loro diretta, ma loro sono sempre un tramite dell’azione di Dio, una sorta di ponte che avvicina Dio all’uomo, che ne facilita l’azione.

    Dunque dobbiamo credere. Credere che Dio ci è accanto e, in caso di necessità interviene nelle nostre vite e in quelle dei nostri famigliari, amici e colleghi tramite noi. Perché è così che avvengono i miracoli.

    Se ancora non ti ho annoiato scopriamo insieme il terzo livello di lettura di questo brano di Vangelo: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (cfr v. 15). Quando avremo riscoperto questa fede che ci permetterà di piegare l’esistenza per far sì che anche l’impossibile possa accadere, quando avremo capito che questa capacità non è una nostra “bravura”, ma che dipende unicamente da Dio, allora ci spetterà ancora un compito: seminare speranza. Farci noi stessi specchio di quella luce immensa che è Dio e scacciare le tenebre dal mondo. Perché il buio altro non è che assenza di luce e, quando arriva il bene, anche il buio più profondo si dissolve. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: Ercole Ramazzani, “Ascensione del Signore”, 1594, olio su tela, Diocesi di Senigallia

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