Tag: peccato

  • Quel peccato da evitare…

    Quel peccato da evitare…

    Tieniti forte, perché stiamo per fare un salto nel tempo. Duemila anni all’indietro. Destinazione? Un tempio. Lì ci aspetta Gesù. Vieni con me?

    Il mio decisamente in(solito) commento a:
    “Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo” (Luca 18,9-14)

    C’è odore d’incenso nell’aria. Fenditure di luce filtrano dagli alti finestroni, insinuandosi nella penombra del tempio. Guarda lì, alla tua sinistra… Lo vedi? Quell’uomo sembra un faraone! Il copricapo scintilla di gemme preziose, le sue vesti sono ampie, sgargianti, esagerate. Frange vistose gli scivolano dalle ginocchia fino ai piedi. Il braccio sinistro è avvolto da un lungo nastro di cuoio, alla cui estremità è legato l’astuccio con le Scritture. Sta ritto, impettito. Parla con voce alta, come un attore su un palco:

    «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini: ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo» (vv. 11-12).

    Perfetto, impeccabile… O almeno così crede. Snocciola i peccati degli altri con una sicurezza disarmante: ladri, ingiusti, adulteri… Ma chi vuole convincere? Gli altri, o se stesso? Parla forte, così forte da coprire la voce della sua coscienza. E intanto disprezza l’altro uomo. Quale uomo? Te lo stai chiedendo, vero? È laggiù, nell’ombra, rannicchiato dietro una colonna. La testa bassa, il petto che si solleva e si abbassa con il ritmo della sua mano che lo percuote. «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (v. 13).

    Ed eccolo, il momento. Gesù entra in scena.

    Un brivido. Lui avanza a passi decisi. Lo vedi? Sta arrivando proprio qui, accanto a noi! I suoi capelli danzano a ogni falcata. Gli occhi… oh, i suoi occhi! Luminosi, tagliano l’aria come una lama affilata. E vanno dritti verso il fariseo. La sua mascella si serra. I pugni si stringono. È come se lo sentissimo pronunciare: «Guai a voi!» (cfr. Mt 23). Il tono è duro, non lascia scampo: ipocrisie, simulazioni, arroganza… «Sepolcri imbiancati», così li chiama (cfr. Mt 23,27).

    Ma poi… poi lo sguardo di Gesù cambia. Si addolcisce. La mano destra si apre in un gesto pacato, indicando il pubblicano. E la sentenza cade, netta, definitiva:

    «Questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» (v. 14).

    E di nuovo i suoi occhi tornano al fariseo. Li immagini i suoi pensieri? Quelli che fanno l’elemosina solo per essere ammirati. Quelli che pregano a voce alta non per parlare con Dio, ma per farsi sentire dagli uomini. Quelli che digiunano solo per mettersi in mostra. Quelli che cercano i primi posti. Quelli pieni di sé, gonfi d’orgoglio, convinti di essere gli unici custodi della verità.

    Ma non vedono nulla. Non vedono Dio.

    Giustificano il loro lusso, le loro ricchezze, con il pretesto di dare gloria al Signore. Ma dentro sono aridi, vuoti. Ciechi. La loro religiosità è solo apparenza. E quando un uomo è convinto di possedere la verità assoluta, non ascolta più, non vede più, non comprende più. Diventa sordo. Diventa cieco.

    Ed è allora che l’umanità si paralizza. La verità, quando viene strumentalizzata, si trasforma in sopruso. E i farisei, che avrebbero dovuto essere uomini di fede, diventano mostri. Mostri capaci di condannare perfino il Figlio di Dio.

    Chi si sente giusto, chi si crede senza peccato, finisce per giudicare tutto e tutti. Invece di guardarsi dentro, punta il dito contro gli altri. Si crede migliore. Più capace di un esperto, più colto di uno studioso, più veloce di un atleta… Più giusto di Dio.

    E così la sua lingua si muove più veloce della testa. E troppo più veloce del cuore.

    Ci sono peccati evidenti, facili da riconoscere. Il ladro sa di rubare. L’assassino sa di uccidere. Il bugiardo sa di mentire. E in fondo, il seme di Dio che è dentro di loro continua a gridare. Può essere soffocato per un po’, ma non tace per sempre. E quando viene ascoltato, quando quel seme riesce a farsi sentire, può accadere il miracolo: il pentimento.

    Ed ecco perché i peccatori ci passeranno avanti nel Regno di Dio.

    Ma c’è un altro tipo di peccatore. Quello che non si riconosce tale. Quello che si sente perfetto. Che giudica, condanna, deride. Che vede la pagliuzza nell’occhio degli altri ma ignora la trave nel proprio (cfr. Luca 6,41).

    E proprio perché non ammette il suo peccato, non chiede perdono. E proprio perché non chiede perdono, non potrà mai riceverlo. Resta cieco. Non vede quando Gesù passa per invitarlo alla conversione. Non lo riconosce quando passa per offrirgli la salvezza.

    Ma tu… tu tieni gli occhi aperti. Tienili sempre spalancati, perché Gesù passa. E io prego che tu sappia riconoscerlo #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Sacro Cuore di Gesù”, di pittore di scuola italiana, 27×18 cm, Abbotsford House, Melrose, Regno Unito

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  • Scegli bene al bivio!

    Scegli bene al bivio!

    Attraverso uno squarcio che si apre sull’infinito, puoi intravedere due destini opposti: uno di vita, l’altro di morte. Da che parte sceglierai di andare?

    Il mio in(solito) commento a:
    “Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti” (Lc 16,19-31).

    Non per niente San Luca era anche un pittore. Questo Vangelo è come un capolavoro su tela: da un lato, il ricco epulone, avvolto in vesti di porpora e lino finissimo, immerso nei suoi banchetti opulenti. Dall’altro, il povero Lazzaro, stracci addosso e piaghe sulla pelle, che nemmeno i cani esitano a leccare. È un contrasto da Caravaggio, dove la luce sfrontata della ricchezza si scontra con l’ombra della miseria.

    Ma il dipinto non si ferma qui. Ecco che il pennello cambia: ora è quello inquietante di Hieronymus Bosch, e la scena si fa cupa. Il ricco, che in vita ha ignorato Lazzaro, precipita nell’inferno. Per anni ha oltrepassato quel corpo martoriato senza degnarlo di uno sguardo, e ora, tra le fiamme, osa implorare aiuto. Lo stesso aiuto che non ha mai offerto.

    Ma ormai è tardi. Tra loro si è aperto un abisso. E non è Dio ad averlo scavato, ma il ricco stesso, giorno dopo giorno, con ogni sguardo distolto, con ogni porta chiusa in faccia.

    E noi? Quanto spesso costruiamo quell’abisso attorno al nostro cuore? Quanto spesso ci isoliamo da Dio, lasciando che il peccato eriga muri sempre più alti tra noi e il Suo amore?

    Eppure, Dio è lì. Non come un giudice spietato, ma come un Padre innamorato delle sue creature. Ricordi Adamo ed Eva? Dopo il loro peccato, non li ha puniti con fulmini e saette: ha fatto loro delle tuniche di pelle per proteggerli. Ecco l’amore di Dio: ci custodisce, anche quando sbagliamo.

    E allora sì, nulla e nessuno potrà separarci dal Suo abbraccio… tranne noi stessi. Perché solo se ci ostiniamo a rifiutare il Suo amore, sperimentiamo l’inferno: quel vuoto freddo, senza luce, senza perdono.

    Ma basta un passo. Basta alzare lo sguardo. Perché Dio è già qui, pronto a coprirci ancora con la sua tunica, pronto a stringerci a sé. Sempre #Santanotte!

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Un angelo libera le anime del Purgatorio”, di Ludovico Carracci, 1610, olio su tela, 44×51 cm, Musei Vaticani

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  • Attenzione: rischi di perdere un pezzo di te!

    Attenzione: rischi di perdere un pezzo di te!

    Leggere nuoce gravemente alla salute? Certo che no! Oggi ho scelto un titolo un po’ provocatorio, ma ti posso garantire che nessuno si farà male leggendo questo post… anzi, tra queste righe potresti scoprire un lato di Dio che ancora non conosci

    Il mio in(solito) commento al Vangelo:
    “È meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna” (Marco 9,41-50).

    A volte, mentre sfogliamo il Vangelo, ci imbattiamo in parole forti, immagini che ci colpiscono dritto allo stomaco. Non perché Gesù voglia spaventarci, ma perché il suo messaggio deve arrivare chiaro e diretto a tutti. Ricordiamoci che gli evangelisti scrivevano per persone di duemila anni fa, usando espressioni del loro tempo, per farsi capire senza fraintendimenti. Il Vangelo è per tutti, sempre.

    Ecco perché Gesù parlava in parabole: per essere comprensibile anche a chi non sapeva leggere, a chi aveva un cuore semplice. Perché nessuno merita di essere lasciato indietro. “Nessuno di loro è andato perduto” (Gv 17,12).

    Ma allora, cosa vuol dire questa frase così dura? “Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala” (v. 43). Tranquillo, non dobbiamo prendere tutto alla lettera. Altrimenti saremmo tutti senza mani, piedi e chissà cos’altro! No, Dio non vuole mutilarci. Lui ci ha creati integri e integri ci vuole: nel corpo, nella mente, nell’anima. Completi dentro e fuori. Perché solo un’anima integra trova la via per il Paradiso.

    Dio non ci chiede sacrifici fisici, ma un cuore aperto alla sua grazia. Ci invita a tagliare via dalla nostra vita ciò che ci allontana da Lui. Quelle abitudini che ci consumano, quei pensieri che ci logorano, quelle scelte che ci portano lontano dall’amore.

    E l’inferno? Non è un luogo con forconi e fiamme, ma una condizione dell’anima. È il vuoto della lontananza da Dio. È la disperazione di chi si sente solo, di chi rifiuta l’amore e si chiude nell’odio. L’inferno è il gelo di un cuore senza speranza.

    Papa Francesco, con la sua semplicità, ci ricorda: “All’inferno non ti mandano, ci vai tu, perché scegli di essere lì. L’inferno è volersi allontanare da Dio perché non voglio il suo amore”.

    Allora io ti chiedo, amica, amico che leggi queste righe: fai pace con te stesso. Fai pace con Dio. Fai pace con chi ti è accanto. Vivi nell’amore, non nell’odio. E se cadi, non temere di rialzarti. Dio è qui, sempre. Accanto a te, ora e in ogni momento della tua vita. Basta un respiro, un pensiero, un piccolo passo verso di Lui, e le sue braccia saranno pronte ad accoglierti, proteggerti, consolarti.

    Non perdere pezzi della tua anima. Riconciliati con Dio oggi stesso… e vivrai in eterno #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Pietro Tedeschi, Sacro Cuore ed Eucaristia, 1780 circa, chiesa del Carmine, Imola

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  • Dio ti ama anche quando sbagli (e forse di più)

    Dio ti ama anche quando sbagli (e forse di più)

    Lo so, sembra incredibile, ma è vero: Dio ti ama persino quando inciampi, quando fai scelte sbagliate o ti perdi lungo la strada. Ti ama come un pastore ama le sue pecore, soprattutto quelle che vagano senza meta

    Il mio in(solito) commento a:
    Erano come pecore che non hanno pastore (Marco 6,30-34)

    Sai perché? Perché il suo amore non dipende da quanto sei bravo o perfetto. Dio ti ama semplicemente perché sei. Nessuna condizione, nessun “se” o “ma”. E il suo amore è così forte che riesce persino a trasformarti, a renderti migliore.

    Ma forse ti stai chiedendo: “Se Dio mi ama sempre, perché a volte non riesco a sentirlo?”

    Qui ci viene in aiuto Sant’Ignazio di Loyola, che parla di due stati dell’anima: la consolazione e la desolazione.

    La consolazione è come una carezza sull’anima. È quella pace profonda che senti quando il cuore si apre all’amore di Dio. Può essere una gioia intensa, una forza interiore, una chiarezza che illumina anche i momenti difficili. Quando sei in consolazione, tutto sembra possibile, perché percepisci la presenza amorevole di Dio accanto a te.

    La desolazione, invece, è un’ombra sull’anima. È quella sensazione di vuoto, tristezza e confusione che ti fa sentire distante da Dio, dagli altri e persino da te stesso. Ti manca il desiderio di pregare, di fare il bene, e il cuore sembra chiudersi.

    Attenzione però: Sant’Ignazio ci ricorda che Dio non ci abbandona mai, neanche nella desolazione. Se non percepisci il suo amore, è solo perché il tuo cuore si è chiuso, come quando cammini con la testa bassa, perso nei tuoi pensieri, senza vedere il cielo sopra di te.

    Le cause della desolazione, secondo il santo, possono essere tre:

    • Il male che hai commesso (quando ti allontani da Dio con il peccato).
    • Il male che subisci (quando qualcuno ti ferisce).
    • Il male che esce da te (quando non riesci a perdonare o ti lasci dominare dalla rabbia).

    In ogni caso, la desolazione non è mai un segno che Dio ti ama di meno. È piuttosto un invito a cercarlo con più sincerità.

    E sai una cosa sorprendente? Dio ti ama persino di più quando inciampi e torni a Lui: “Vi sarà più gioia in cielo per un peccatore che si converte, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Luca 15,7).

    Ricordi la parabola del padre buono? Quel padre che corre incontro al figlio perduto, gli mette la veste più bella, l’anello al dito e organizza una festa incredibile? Ecco, Dio è esattamente così: ti aspetta a braccia aperte, pronto a guarire ogni ferita.

    Ma allora cosa puoi fare per uscire dalla desolazione?

    • Se hai commesso un errore, cerca il suo perdono: Lui non aspetta altro che abbracciarti.
    • Se non riesci a perdonare un torto subito, chiedigli aiuto per farlo: scoprirai una nuova libertà.
    • Se il male che ti ferisce non dipende da te, smetti di pensare che Dio ti abbia dimenticato. Lui è lì, pronto a sostenerti.

    Sì, Dio è sempre accanto a te. Basta che tu rialzi lo sguardo e lo incroci di nuovo. Lui è lì, con occhi pieni d’amore, pronto a ricordarti quanto sei importante per Lui.

    Dio ti ama così tanto che ha lasciato le comodità del cielo per scendere quaggiù, condividendo fame, freddo, pericoli e persino la morte. “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

    Ecco Gesù, che si commuove davanti a te e osserva: “Erano come pecore senza pastore”.

    Ma tu ora lo sai: non sei mai solo. Dio ti ama sempre #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Gesù Buon Pastore” di Cristóbal García Salmerón, olio su tela, 17° secolo, 141x107cm, Museo del Prado, Madrid

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  • Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

    Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

    I cuori chiusi, di pietra, che non vogliono aprirsi né sentire, restano muti, sordi e ciechi, imbruttiti ed impoveriti, perché non permettono all’amore che Dio riversa su tutti noi ed anche anche su di loro, di far breccia in quella cortina impermeabile che li isola e li spinge inesorabilmente verso l’oscurità

    Il mio in(solito) commento a:
    Satana è finito (Marco 3,22-30)

    Non c’è peggior sordo di chi proprio non vuole sentire. E di sordi (in questo modo) ce n’erano tanti al tempo di Gesù… ed anche qualcuno ora.

    Gesù opera miracoli, guarisce gli ammalati e scaccia i demoni. Perciò, pensano i farisei, deve essere lui stesso un demonio. Ma quanto è cieco l’uomo che non vuole vedere! Quanto è sordo! Quando è paralizzato il cuore di chi non vuol credere neppure dopo aver visto con i propri occhi un miracolo accadere!

    I cuori chiusi, di pietra, che non vogliono aprirsi né sentire, restano muti, sordi e ciechi, imbruttiti ed impoveriti, perché non permettono all’amore che Dio riversa su tutti noi ed anche anche su di loro, di far breccia in quella cortina impermeabile che li isola e li spinge inesorabilmente verso l’oscurità. La principale malattia, è proprio questa: l’incapacità non solo di provare amore, ma anche di permettere all’amore degli altri di penetrarvi. Peggio ancora, questa coltre di fuliggine scura non permette neppure alla fiammella, che Dio ha posto nel cuore di ciascuno di noi, di brillare e fare luce sull’anima cupa. Restano in preda alle tenebre, incapaci di aprirsi al bello, alla luce vera, al calore della vita.

    Scribi e farisei sono persuasi che il Figlio di Dio sia un demonio e, come tale, lo considerano senza ammettere prove d’appello. Neppure il miracolo più eclatante può far cambiare loro opinione. Questa cecità, questa sordità a tutto, anche all’amore, è il peccato peggiore che un uomo possa compiere: il peccato contro lo Spirito Santo (v. 29).

    Il rifiuto del divino, il negarne l’esistenza in modo caparbio, chiudendosi in una tanto cinica quanto aprioristica opposizione, il sostenere sempre il contrario di ciò che si vede, perfino con i propri occhi… questo è il peccato che più ci allontana da Dio. Questa è la bestemmia che ci può davvero costare la dannazione eterna. Perché non c’è peggior male di quello che non si riconosce di aver compiuto. Non è un male che non si vede, che si tiene nascosto. No! Peggio ancora! E’ un male di cui noi stessi, che lo operiamo, non vogliamo neppure prendere coscienza.

    Dio è pronto a perdonare tutto, purché noi ammettiamo l’errore. Ma, la supponenza che ci spinge a ritenerci perfetti, l’arroganza che ci convince di non avere colpe né parti di noi stessi da migliorare, sono le principali cause che ci impediscono di accogliere il perdono del Signore. E così, un pregiudizio ci condanna a vagare nelle tenebre del male, lontani da Dio.

    Ma tutto ciò accadeva solo nel passato, oppure anche ai nostri giorni? Chi, fra noi, oggi proprio non vuol vedere e non vuol sentire, pronto a negare anche l’evidenza ed a scagliarsi contro chiunque abbia un pensiero differente? Meditiamo e preghiamo.

    Proprio tu, che stai leggendo queste righe oggi, sei chiamato ad essere ricettivo nei confronti di questo amore. La messe è abbondante, ma gli operai sono pochi: servono testimoni e messaggeri della Parola di Dio, capaci di offrire a chi ci sta accanto, e resta lontano da Dio, una prospettiva di luce. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    L’immagine di oggi è: “La tentazione di Cristo”, mosaico, duomo di Monreale (PA), XII sec.

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  • Perché non riesci a sentire l’amore di Dio?

    Perché non riesci a sentire l’amore di Dio?

    Dio è sempre qui, accanto a te. È qui ed attende che il tuo sguardo si rialzi ad incrociare il suo. È qui ed aspetta che tu ti accorga di Lui

    Il mio in(solito) commento a:
    Chiamò a sé quelli che voleva perché stessero con lui (Marco 3,13-19)

    Ma lo immagini? Dio è onnipotente. Da solo ha creato la terra, le stelle e tutto l’universo. Perfino noi stessi. Schioccando le dita può compiere i miracoli più impensabili. Eppure cerca sempre di coinvolgerti. In tutto. Gesù ti coinvolge quando ti guarisce: «Che vuoi che io ti faccia?», «Va’, la tua fede ti ha salvato» (cfr. Marco 10,51-52). Ti coinvolge quando sazia la tua fame: «Quanti pani avete? Andate a vedere» (cfr. Marco 6,38). Gesù ti cerca ed ha un appuntamento con te: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (cfr. Luca 19,5). Sì, con te. Perché tu sei importante per Lui.

    Se è vero che l’uomo ha sete di Dio, quella che Lui prova per noi che cos’è?

    Lo senti l’amore di Dio che scende come un balsamo a sanare le tue ferite? Qualcuno potrebbe non percepirlo, almeno non in ogni momento. Attenzione però: in questi casi non è Dio che, per qualche ragione ignota, decide di punto in bianco di non amarti più. Certo che no! Dio riversa sempre, instancabilmente, su di te, straripanti fiumi d’amore. L’amore è l’essenza stessa di Dio. Perché “Dio è amore” (1Giovanni 4,7-12). 

    Allora perché non sempre ti senti toccare da questo amore? Proprio perché, in quei momenti, il tuo cuore è chiuso. Qualche volta camminiamo a capo chino, pensando soltanto alle nostre difficoltà, isolandoci in una bolla di egoistico autocompatimento, e non ascoltiamo nulla e nessuno. Lasciamo parlare soltanto il nostro dolore. Siamo noi, in quei momenti, a non riuscire ad alzare il capo e guardare verso lo splendore di Dio. Noi che abbiamo nei nostri occhi soltanto il buio del dubbio, della delusione, e forse perfino le tenebre dell’invidia. 

    Invece Dio è sempre qui, accanto a te. È qui ed attende che il tuo sguardo si rialzi ad incrociare il suo. È qui ed aspetta che tu ti accorga di Lui. Che ti renda conto di quanto Lui ti ama. Di quanto sei importante per Lui. Tutti. Tutti quanti. Lui ti tende la mano ed è pronto ad aiutarti a risollevarti.

    Dice il salmista:

    Come la cerva anela
    ai corsi d’acqua,
    così l’anima mia anela
    a te, o Dio.

    L’anima mia ha sete di Dio,
    del Dio vivente:
    quando verrò e vedrò
    il volto di Dio?

    (Salmo 42,1-2).

    Due bisogni che si dissetano a vicenda. Due fami che si saziano: «Chi mangia la mia carne dimora in me e io in lui» (Giovanni 6, 51-58).

    Gesù cena con Zaccheo, pranza con Matteo, e mangia con te. Lui cerca la tua compagnia. Cristo desidera che tu ti interessi a Lui, che tu lo segua. E non ti misura in santità o giustizia, non conta quanti digiuni fai, ma ti dimostra il suo amore mangiando insieme a te. Vivendo in mezzo a noi. Restandoti sempre accanto.

    Come si fa a non amare un Dio così? #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La Comunione degli Apostoli”, di Luca Signorelli, 1512, olio su pannello, 232×220 cm, Museo diocesano di Cortona

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  • Perché siamo sempre insoddisfatti?

    Perché siamo sempre insoddisfatti?

    Basta guardarsi attorno: sui social, dal barbiere, in panetteria come al bar, sentiamo attorno a noi voci insoddisfatte, lamentele su qualunque cosa, dal meteo, alla politica, allo sport. Siamo scontenti delle nostre vite e non troviamo una luce che le rischiari. Vuoi provare a leggere qui?

    Il perché nel mio in(solito) commento a:
    Non ascoltano né Giovanni né il Figlio dell’uomo (Matteo 11,16-19)

    «Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!» (v. 17). Che cosa ci sta dicendo Gesù? Che le ha provate tutte… ma siamo dei testoni!

    D’altra parte nella Bibbia è frequente il riferimento ad un popolo caparbio: “Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice»” (Esodo 32,9). Fin dai primissimi atti della Creazione, la creatura si è ribellata al suo Creatore.

    Pensiamo al peccato originale: “Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti»” (Genesi 2,16-17). Eravamo in Paradiso. L’Eden, il giardino che ci offriva ogni cosa di cui avessimo bisogno. Bastava allungare una mano per cogliere ogni tipo di frutto. Senza alcuna fatica, senza stanchezza, senza dolore. Ma l’uomo proprio non riesce a mantenere fede alle proprie promesse.

    Eppure Dio è stato molto chiaro: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore tuo Dio ti benedica nel paese che tu stai per entrare a prendere in possesso” (Deuteronomio 30,15-16).

    Purtroppo ogni giorno noi facciamo esperienza del male, che si manifesta in molti modi nelle relazioni e negli avvenimenti, ma che ha la sua radice nel cuore dell’uomo, un cuore ferito, malato e incapace di guarirsi da solo. La Sacra Scrittura ci rivela che all’origine di ogni male c’è la disobbedienza alla volontà di Dio e che la morte ha preso dominio perché la libertà umana ha ceduto alla tentazione del Maligno. Abbiamo la disobbedienza nel sangue. E, ad avercela iniettata dentro, è stato proprio il demonio, ispirandoci l’idea di disubbidire a Dio, insinuando che non ci sarebbe accaduto nulla se solo avessimo provato quel frutto succulento: “Suvvia, solo un morso…”. E fu così che il peccato entrò dentro di noi.

    In questo brano, San Matteo, ci presenta un Gesù arrabbiato. Ci rimprovera di comportarci come bambini viziati, mai contenti di ciò che ci accade, sempre pronti a lamentarci di tutto e di tutti. Siamo caparbi. Siamo convinti di poterci autodeterminare anche nel rapporto con Dio. Desideriamo la salvezza, ma la vogliamo a modo nostro. Alcuni di noi, spudoratamente, si spingono perfino ad arrogarsi il diritto di correggere Dio, imponendo precetti e comandamenti che nulla hanno a che vedere con quelli divini. Siamo tentati dal correggere le dichiarazioni del Papa, o addirittura di un Concilio. Sì, siamo viziati e abbiamo perso di vista la semplicità e la bellezza della vita vista dai bambini. Abbiamo dimenticato che Gesù ci vuole sorprendere ogni giorno. Non ricordiamo più che Gesù ci apre le porte a quel mistero dell’onnipotenza di Dio, che è la misericordia e il perdono? A quanto pare no. L’uomo vive dentro di sé il dramma di non accettare la salvezza di Dio, perché vorrebbe essere salvato “a modo suo”.

    Oh! Se ricordassimo come vivono veramente i bambini! Se ci calassimo di nuovo nella loro innocenza! Se usassimo la loro capacità di accogliere l’abbraccio di Dio e con esso tutto il perdono e tutto l’amore che vi scaturiscono! Dobbiamo farci piccoli per poter accogliere l’amore di Dio, e smettere di essere perennemente insoddisfatti! La vita ci sorriderà, se avremo Gesù nel cuore.

    Liberiamoci dal peso del peccato, riconciliamoci con Dio per iniziare una nuova vita. Perché aspettare domani? Iniziamo adesso! ti va? Dio ti benedica. #Santanotte!

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Lasciate che i piccoli vengano a me” di Melchior Paul Von Deschwanden, 1871, olio su tela, 102 x 113 cm, Hargesheimer Kunstauktionen, Germania

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  • Coniugare e congiungere…

    Coniugare e congiungere…

    Quanto ti pesa il tuo coniuge? No, non è una barzelletta, anche se potrebbe sembrare. Dalla spiegazione di un termine utilizzato per indicare il proprio marito o la propria moglie parte il mio in(solito) commento al #Vangelo

    Venite a me, voi tutti che siete stanchi (Matteo 11,28-30)

    Qualche volta Gesù gioca con noi. In questo brano, ci stuzzica con un termine che sembrerebbe indicare una cosa, ma in realtà ne intende un’altra. Quale?

    Giogo. Soggiogare. Parole che evocano qualcosa di pesante, sgradevole, imposto. A una lettura superficiale, questo breve brano del Vangelo (solo tre versetti!) sembrerebbe confermare l’idea di un Dio da Antico Testamento, severo ed esigente.

    Il giogo, sì, è quell’attrezzo che si mette sul collo di cavalli e buoi per far trainare loro l’aratro o carri pesanti, impedendo loro di distrarsi. Così, a prima vista, sembrerebbe confermare la tesi di un Dio oppressivo.

    Ma è tutto il contrario! Pensiamo un attimo a un’altra parola: coniugare. Coniugare significa “congiungere, unire”, composto da con- e iugare, derivato dal latino iugum “giogo”. Anche buoi e cavalli spesso venivano aggiogati a due a due, così suddividevano il carico e faticavano meno. Da qui anche il termine coniuge

    Questa è l’immagine che Gesù ha in mente quando parla: una coppia unita che “fatica” insieme, che si supporta, che divide il carico. Come in una famiglia, dove marito e moglie si dividono i compiti.

    Dio non è un oppressore severo, ma un compagno che si offre di affiancarci lungo il nostro cammino, aggiogarsi con noi e trascinare il peso che ci opprime. Vuole aiutarci. Come il buon samaritano, Dio desidera darci una mano, anzi, due spalle capaci di portare buona parte del carico che ci ostiniamo a trascinare da soli.

    Perché Dio è così: si propone, non si impone. Se noi siamo disposti, Lui è pronto ad affiancarci e aiutarci, sollevandoci da gran parte del nostro peso. Al contrario, se lo respingiamo, se rifiutiamo il Suo aiuto, tutto il peso resterà sulle nostre spalle e rischieremo di rimanerne schiacciati. Non perché Dio vuole che quel carico ci soverchi, ma perché saremo stati noi a impedirgli di aiutarci.

    Gesù risponde sempre alla morte con la vita, al male con il bene, al peccato con il perdono, alla disperazione con la speranza, alla solitudine con la comunione, alla tristezza con la gioia, alla paura con la serenità. È Gesù che ci libera dal giogo pesante delle nostre fatiche e dei nostri affanni. Un Dio che vuole essere Uomo. Un pastore misericordioso, che non abbandona mai le sue creature. #Santanotte!

    Alessandro Ginotta

    L’immagine di oggi è: “Cristo nei panni del Buon Samaritano”, icona greco-ortodossa, collezione privata

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  • Ti senti lontano da Dio? Leggi qui:

    Ti senti lontano da Dio? Leggi qui:

    Ecco una delle parabole più belle, dedicata a tutti noi che, di tanto in tanto, ci smarriamo lontani dall’ovile…

    Il mio in(solito) commento a:
    Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte (Luca 15,1-10)

    Non c’è amore più grande di quello di Dio: incredibilmente, immensamente, totalmente innamorato delle proprie creature, tanto da rinunciare alle comodità celesti e farsi carne. Dio che si fa uomo per camminare in mezzo agli uomini. Per soffrire la stessa fame, la stessa sete, la stessa stanchezza che proviamo noi uomini. Il suo principale desiderio è quello di amare ciascuno di noi, accettandoci così come siamo, senza volerci per forza cambiare. E lo fa non per i nostri meriti, ma semplicemente perché noi esistiamo: siamo, quindi veniamo amati.

    Gesù sopporta perfino tradimento, scherno e ripudio. Perché se noi siamo tremendamente piccoli davanti a Cristo, Lui è enormemente grande. Si offre, a ciascuno di noi, in ogni momento. Anzi, si propone. Perché Dio non ci costringe mai a nulla, neppure a seguirlo. Lui ci indica la strada, ma ad ogni bivio ci lascia liberi di scegliere quale via prendere. Sì, perché Egli ci ama così tanto che ci permette, nella nostra libertà, anche di sbagliare.

    Ma possiamo essere certi che qualsiasi sarà la nostra direzione, ad ogni bivio Lui rimarrà sempre accanto a noi. Lo sarà quando avremo preso la strada giusta, perché percorrendola, ci saremo avvicinati a Lui. E lo sarà quando quando avremo imboccato quella sbagliata, perché è proprio quando commettiamo un errore che Dio si fa più vicino a noi: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Matteo 9,12). Anche se noi non sempre ce ne accorgiamo.

    E, Dio non solo cammina con noi, restandoci vicino nella difficoltà come nella gioia, ma, da duemila anni, continua ogni giorno a farsi Pane per noi. Quante volte non ci rendiamo conto del dono che riceviamo, quando partecipiamo all’Eucarestia! Gesù stesso viene dentro di noi, si fonde con noi, si fa un unico corpo con noi, ci regala la vita e la salvezza. Dio è così: neppure il pensiero delle altre novantanove pecore ferma il Gesù-pastore dall’andare nel deserto a cercare l’unica che si è smarrita. Perché tutte le pecore, anche la più debole, anche la più testarda, anche la più lontana con la mente e con il cuore, sono ugualmente importanti agli occhi di Dio. E no, nessuno merita di essere lasciato indietro. Nessuno.

    Quando Dio ritrova un peccatore pentito, allora in cielo si fa una gran festa: “Vi assicuro che in cielo si fa più festa per un peccatore che si converte che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (v. 7). Questo è l’amore di Dio: il suo amarci per primo, senza ricatti, senza compromessi, senza costringerci ad amarlo a nostra volta. È proprio questo amore incondizionato che è stato espresso sulla Croce, dove Gesù si è donato interamente a tutti noi. Il suo andare fino in fondo, il suo amare anche chi non lo ama, il suo arrivare al punto di consegnarsi alla volontà omicida di un’umanità distratta e confusa, ha ridefinito il concetto stesso di amore e di sacrificio. Perché “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Icona di Cristo Pantocratore, XVI secolo, pannello di legno e gesso, 28,8×20,9×1,6 cm, Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo

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