Tag: precetti

  • Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. Cosa significa?

    Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. Cosa significa?

    L’intero decalogo può essere letto attraverso la lente dell’amore. I cattivi sentimenti sono inutili: sono tossici, ci appesantiscono e ci fanno stare male. Noi dobbiamo amare. E basta. Perché siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio.

    Il mio in(solito) commento a:
    Chi insegnerà e osserverà i precetti, sarà considerato grande nel regno dei cieli (Matteo 5,17-19)

    È tornato il Dio vendicativo e punitivo che sembrerebbe emergere dai libri più antichi della Bibbia? O forse stiamo fraintendendo questo brano del Vangelo?

    Questa pagina di Matteo va “masticata” e “digerita” con cura, perché può sembrare complessa. San Matteo scrive: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Matteo 5,17-19).

    Una lettura superficiale potrebbe vedere questo brano come “graffiante”, come se Gesù volesse esibire una severità dimenticata tra le pagine dell’Antico Testamento. Ma dov’è finita la misericordia? Non è così! Una riflessione più attenta rivela lo stesso Gesù innamorato dell’uomo che conosciamo. Un Gesù che desidera solo il nostro bene, offrendoci una chiave di lettura dei Comandamenti per vivere una vita migliore. Un Gesù che non giudica, ma propone un’alternativa cristiana alla vita del mondo. Un Gesù che “ci aggiusta il cuore”, scavando fino alla radice del problema.

    Riflettiamo un istante: non adirarsi con il proprio fratello, non offendere, riconciliarsi… Cristo traccia il cammino del buon cristiano, mettendo in pratica il comandamento dell’amore, la legge superiore a tutte le altre. Se amiamo il nostro fratello, non ci adireremo con lui, non lo offenderemo, non gli faremo un torto.

    Il significato si chiarisce proseguendo nella lettura: “Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (vv. 23-24). Le risposte a un’offesa sono due: vendetta o perdono. Chi sceglie la vendetta crede di guarire una ferita provocandone un’altra. Ma il male non è mai una medicina. La vendetta rende il mondo cieco, come diceva Kalil Gibran: “Occhio per occhio. Se fosse applicata questa legge il mondo sarebbe cieco”. L’altra strada, quella difficile ma unica veramente percorribile, è il perdono. L’amore.

    Tutti i comandamenti discendono da questo, il primo e più alto: “Ama il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questo” (Marco 12,30-31). Con l’amore si aggiusta ogni cosa: amando il mio fratello, non gli farò del male. Se abbiamo divergenze, parlerò cercando di fargli capire dov’è l’errore e, se amo, sarò perfino disposto ad accettare che l’errore potrei essere io. Amando, non sottrarrò nulla che non mi venga offerto spontaneamente.

    L’intero decalogo può essere letto attraverso la lente dell’amore. I cattivi sentimenti sono inutili: sono tossici, ci appesantiscono e ci fanno stare male. Noi dobbiamo amare. E basta. Perché siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. E “Dio è amore”, come leggiamo nella prima lettera di Giovanni: “Amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”. (1 Giovanni 4,7-8). L’amore aggiusta il cuore e rende inutile il peccato. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Il Discorso della montagna”, di Carl Heinrich Bloch, 1877, olio su rame, 104 × 92 cm, The Museum of National History at Frederiksborg Castle, Hillerød, Danimarca

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  • La vera fede libera, non imprigiona!

    La vera fede libera, non imprigiona!

    Quando le regole diventano più importanti delle persone, smettono di essere strumenti di giustizia e si trasformano in gabbie

    Il mio in(solito) commento a:
    «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo» (Marco 7,14-23)

    Al tempo di Gesù, in Medio Oriente, certe regole alimentari erano rigidissime. Il maiale, per esempio, era considerato impuro: vietato mangiarlo, vietato allevarlo, vietato persino toccarne la carne. Se una stoviglia ne veniva contaminata, doveva essere distrutta, ridotta in frantumi, resa inservibile.

    Ma perché? C’era una logica dietro tutto questo. Nell’antica Palestina non esistevano fognature: le strade erano un misto di polvere e liquami, e la carne di maiale, se non cotta bene, poteva trasmettere malattie pericolose. Così, invece di spiegare il rischio sanitario, si preferì trasformarlo in un dogma: “Non toccarla perché è impura!”. Un escamotage comprensibile, forse, ma pur sempre una manipolazione della legge di Dio.

    E non finisce qui. Oltre ai divieti alimentari, l’uomo inventò regole ancora più assurde: non si poteva guarire un malato di sabato, non si poteva raccogliere qualche spiga per sfamarsi, non si poteva compiere il bene se cadeva nel giorno sbagliato.

    E chi osava trasgredire? Veniva giudicato. Perfino Gesù!

    I farisei, uomini che avrebbero dovuto custodire la fede, arrivano a pretendere di insegnare a Dio cosa può e non può fare. Assurdo, vero? Ma oggi non succede forse la stessa cosa? Quante volte la religione diventa un codice di divieti invece che un messaggio d’amore? Quante volte si esclude invece di accogliere, si condanna invece di salvare?

    Ma Dio è davvero così? Può Dio voler negare una guarigione solo perché non è il giorno giusto? Può Dio preferire il rigore della regola alla fame di un uomo? Può Dio, che ha mandato Suo Figlio a morire per noi, essere lo stesso che mette ostacoli tra noi e la Sua misericordia? Ovviamente no!

    Dio è un Padre che ama senza condizioni. Un Dio che permette all’uomo di sbagliare in nome del libero arbitrio, non impedirà mai a un paralitico di usare la sua mano solo perché è sabato.

    E allora, diffidiamo di una fede che soffoca invece di liberare. Una fede che imprigiona non viene da Dio, ma dagli uomini. Perché il Signore non è il Dio della rigidità, ma il Pastore che lascia novantanove pecore per salvare l’unica smarrita.

    E alla fine, è proprio come dice il Vangelo: «Ciò che esce dall’uomo è quello che lo rende impuro» (Marco 7,20-23). Le parole che escono dalla nostra bocca contano più del cibo che vi entra. E il nostro cuore vale più di tutte le regole mai scritte. Per questo dobbiamo liberare la nostra anima dai vincoli umani e farla volare sulle ali dell’amore di Dio #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Christus Remunerator”, di Ary Scheffer, 1847, olio su tela, 62.5 x 84 cm, Centraal Museum, Utrecht

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  • Chi è il mio prossimo?

    Chi è il mio prossimo?

    Preparati a stupirti con questa parabola straordinaria, ambientata sulla famosa strada verso Gerico, un luogo intriso di eventi sorprendenti: scoprirai un amore, gratuito e senza condizioni, che è l’unica “moneta” che ci aprirà le porte del Paradiso.

    Ecco il mio in(solito) commento a: Chi è il mio prossimo? (Luca 10,25-37)

    Ci sono luoghi che hanno un fascino particolare, un’aura di mistero e miracoli. La strada per Gerico è uno di questi. Qui si sono svolti episodi che risuonano ancora oggi nelle pagine della Bibbia. A Gerico, Zaccheo incontrò Gesù e ne uscì trasformato (cfr. Luca 19,1-10). Sempre qui, Gesù restituì la vista a Bartimeo (Marco 10,46-53) e ad altri due ciechi (Matteo 20,29-34). È in questa stessa valle che Dio mostrò a Mosè la Terra Promessa (Deuteronomio 34,1), e qui crollarono le mura di Gerico al suono di semplici trombe (cfr. Giosuè 6,1-21). E poi? Arriviamo a oggi, alla parabola del buon samaritano, forse il racconto più sorprendente di tutti.

    Gesù ci presenta tre uomini: un sacerdote, un levita e… un samaritano. Il primo è un religioso, il secondo pure. Il terzo? È uno straniero, un pagano. Ma sarà proprio lui, contro ogni previsione, a incarnare l’amore di Dio. Sì, hai capito bene: il samaritano, un uomo che viene da una terra lontana, non appartenente al popolo eletto, diventerà l’esempio di compassione, umiltà e amore per il prossimo.

    La scena è drammatica: un uomo, brutalmente aggredito, giace per strada. Il sacerdote lo vede, ma passa oltre. Il levita? Stessa storia. Ma il samaritano si ferma. Si sporca le mani. Si prende cura di lui, lo porta in un albergo e paga di tasca propria perché venga assistito. Chi di loro ha amato davvero? Chi di loro ha compreso il significato profondo di “ama il prossimo tuo come te stesso”?

    Questa parabola non è solo un racconto di gentilezza casuale. È un insegnamento potente che ci sfida. Ci colpisce la scelta di Gesù di mettere in cattiva luce chi, secondo i canoni del tempo, avrebbe dovuto essere il più vicino a Dio. Il sacerdote e il levita seguono una logica rigida, temono di “contaminarsi” toccando il sangue del ferito. Ma è proprio qui che Gesù stravolge ogni cosa: Dio non vuole regole vuote, né sacrifici rituali. Vuole il cuore. Vuole che ci amiamo gli uni gli altri. Sempre.

    E proprio qui sta la grande rivoluzione di Cristo: abbandonare i precetti inutili, i cavilli che allontanano l’uomo dall’amore vero, quello che viene da Dio. È facile perdersi nelle leggi degli uomini, ma l’amore di Dio è semplice, diretto, puro. Il samaritano non ha esitato. Non si è fermato a calcolare il rischio, non ha cercato scuse. Ha amato con tutto se stesso. E in questo gesto ha trovato Dio.

    La domanda “Chi è il mio prossimo?” ci scuote ancora oggi. Il nostro prossimo è chiunque incontri sul tuo cammino, chiunque abbia bisogno di te, chiunque tu possa amare. Anche se è diverso, anche se non lo conosci, anche se non ti aspetti nulla in cambio. E questo amore, gratuito e senza condizioni, è l’unica “moneta” che ci aprirà le porte del Paradiso.

    Ricordiamolo: Dio non ci ama perché lo meritiamo, ma perché Lui stesso è amore. E l’amore si dona, sempre. Non guarda alle differenze, non si ferma davanti alle difficoltà. Proprio come ha fatto il buon samaritano. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    L’illustrazione di oggi è: “Cristo come buon samaritano”, icona ortodossa

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  • L’amore non guarda il calendario!

    L’amore non guarda il calendario!

    Il sabato che segna l’inizio della fine. Gesù entra in sinagoga e si imbatte in un uomo con una mano paralizzata. Senza esitare, lo guarisce. I farisei restano sconvolti, chiedendosi come fermare quest’uomo. Ironia del destino: chi si crede Dio vuole bloccare Dio che si fa Uomo.

    Il mio in(solito) commento su: “Osservavano se guariva di sabato” (Luca 6,6-11)

    “Il Signore disse a Mosè: Sali da me sul monte e resta lì; ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che ho scritto per loro” (Esodo 24,12). Mosè riceve da Dio le tavole della legge. Dieci comandamenti. L’uomo, però, è complesso e, complice il serpente che sempre gli sussurra, ha creato una giungla di regole e precetti. Così, incapace di vivere i Dieci Comandamenti, ha preteso di rielaborarli. Oltre 600 precetti, nati nel caos, difficili da memorizzare, impossibili da seguire.

    Il terzo comandamento del Decalogo ci invita a santificare il sabato: «Il settimo giorno è un riposo assoluto, sacro al Signore» (Es 31,15). In queste parole riecheggia la Creazione: «In sei giorni il Signore ha creato cielo, terra, mare e tutto ciò che vi è, ma il settimo giorno si è riposato. Perciò il sabato è benedetto e dichiarato sacro» (Es 20,11). Cosa ci chiede Dio? Come Lui si è fermato, anche l’uomo deve ritrovare un ritmo: lavoro e riposo. Il riposo non è solo fisico, ma spirituale. Un invito per liberarsi dalle catene del lavoro, per dar spazio a Dio nella nostra vita. È un dono, un’occasione per riscoprire l’amore, soprattutto quello per Dio.

    Ecco perché Gesù dice: «Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato! Il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato» (Mc 2,27-28). Il riposo serve per riconnettersi con Dio, per sentirlo vicino. È un tempo sacro non solo per noi, ma per chi ci sta accanto. Un giorno in cui possiamo dedicarci agli affetti, ma soprattutto a Dio.

    Gesù, in più occasioni, ha sfidato il sabato: ha raccolto spighe nei campi (Luca 5,33-39), ha guarito un uomo con la mano paralizzata (Luca 6,6-11), ha liberato una donna dal demonio (Luca 13,10-17), tutto nel giorno di sabato. Ogni volta ha suscitato l’ira dei farisei, ligi a una Legge tanto antica quanto mal interpretata, che sembra più schiacciare che liberare.

    Pensiamoci un attimo: davvero Dio ci chiederebbe di soffrire la fame solo perché è sabato? Potrebbe volere che un uomo resti paralizzato solo perché l’incontro con Gesù avviene in un giorno “vietato”? Dio non può desiderare che un essere umano venga privato dell’amore, della guarigione, della grazia solo per una regola formale. È impensabile!

    Dobbiamo diffidare da una fede che reprime, che punisce senza speranza, che impone senza proporre. Una fede simile non è pura. Dio non vuole sottrarci il benessere o le opportunità. Quando le regole superano l’importanza dell’essere umano, quelle regole non glorificano più Dio. E ogni volta che “il sabato” diventa più rilevante del dolore di una persona, quel giorno non sarà più sacro a Dio. Ricordiamoci, amici: il sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato!

    Perché il sabato è il trionfo dell’amore! E l’amore non si ferma mai. Dio non può fare a meno di compiere il bene. Non può evitare di aprirci le porte del cielo, e non troverà pace finché anche uno solo di noi si allontanerà. In quel caso, sarà Lui a venirci a cercare, ignorando tutto il resto. Perché ciò che conta per Dio è la voce di chi ha davvero bisogno. #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Cristo piange su Gerusalemme”, di Ary Scheffer, 1851, olio su tavola, 154.9 x 119.4 cm, Walters Art Museum, Baltimora, USA

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  • Il sabato del fariseo

    Il sabato del fariseo

    Guarire mano paralizzate, compiere esorcisimi, raccogliere spighe in un campo di grano per sfamare sè ed i propri discepoli, Certo che questa storia dei miracoli che avvengono il sabato… proprio non va giù ai farisei!

    Il mio in(solito) commento a:
    Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito? (Luca 6,1-5)

    Nei Vangeli ci si imbatte spesso in episodi dove Gesù guarisce malati proprio di sabato. Tra questi, troviamo la liberazione di un indemoniato (Mc 1,21-28; Lc 4,31-37), la guarigione della suocera di Simone (Mc 1,29-31; Lc 4,38-39), di un uomo con la mano paralizzata (Mc 3,1-6; Mt 12,9-14; Lc 6,6-11), di una donna piegata da una malattia (Lc 13,10-17), di un uomo affetto da idropisia (Lc 14,1-6), di un infermo alla piscina di Betzaetà (Gv 5,1-18) e di un cieco nato (Gv 9,1-41). Ma queste guarigioni suscitano polemiche, dubbi e proteste soprattutto tra i farisei e i dottori della legge. Perché?

    Secondo l’Antico Testamento, il sabato è il giorno in cui l’uomo deve astenersi da ogni lavoro, in memoria del settimo giorno in cui Dio cessò di creare (Genesi 2,2-3; Es 20,8-11) e della liberazione degli Israeliti dalla schiavitù d’Egitto (Dt 5,12-15). Il riposo sabbatico diventa un atto di fede: non è l’opera dell’uomo a governare il mondo, ma quella di Dio. È anche un’esperienza di libertà, che protegge l’uomo dal diventare schiavo del lavoro. Non perché Dio abbia bisogno del riposo dell’uomo, ma perché desidera che l’uomo si fermi, si rigeneri e si riempia della sua benedizione, un dono che trasforma e conserva.

    Il sabato, però, ha un significato ancora più profondo. L’uomo, creato a immagine di Dio, è chiamato a imitarlo: come Dio ha lavorato sei giorni e si è riposato il settimo, così deve fare anche l’uomo. Sant’Ambrogio ricorda che Dio si riposò solo dopo aver creato l’uomo, perché desiderava “riposare nel cuore dell’uomo”. San Tommaso d’Aquino sottolinea che è un diritto naturale riservare del tempo a Dio, affinché l’anima si possa nutrire della sua presenza.

    Nel tempo, il sabato acquisì anche un valore sociale: era un giorno in cui anche schiavi e servi potevano smettere di lavorare, recuperare le energie e riflettere sul loro scopo esistenziale. Tuttavia, al tempo di Gesù, una miriade di regole rigide aveva avvolto l’osservanza del sabato. Non solo era vietato trasportare oggetti fuori casa, ma anche curare i malati o aggiustare ossa rotte. Si vietava persino scrivere o viaggiare, e chi camminava poteva farlo solo per un massimo di duemila cubiti (circa un chilometro), il cosiddetto “cammino permesso” (At 1,12).

    Di fronte a questa interpretazione legalistica, Gesù reagisce con forza, affermando: “Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27). Quando dichiara che “il Padre mio opera sempre” (Gv 5,17), Gesù si pone come Signore del sabato, mostrando che la vera legge di Dio non imprigiona, ma libera. Con le sue guarigioni in giorno di sabato, Gesù annuncia il significato profondo della domenica, il giorno della sua resurrezione, il giorno della liberazione definitiva.

    Gesù, dunque, non sfida la legge, ma una sua interpretazione rigida e soffocante. Non porta confusione, ma chiarezza. La Chiesa, seguendo il suo esempio, afferma che le leggi devono essere interpretate in modo favorevole per l’uomo, ampliandone i benefici e riducendo ciò che può opprimere. Il vero scopo della legge, infatti, è servire l’uomo, non incatenarlo.

    Eccoli i farisei: otri vecchi, rinsecchiti, che non riescono a contenere la frizzante Verità del Vangelo. Tessuto vecchio e logoro che non può più essere riparato. Gesù è venuto a liberarci dalla schiavitù di una Legge scritta da mano d’uomo per il vantaggio dell’uomo e soltanto spacciata come proveniente da Dio: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci” (Matteo 23,13).

    Sulla Legge, tra Gesù e farisei c’è scontro aperto. San Paolo scriverà: “Ora però siamo stati liberati dalla legge” (Romani 7,6). E ancora: “Non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia” (Romani 6,14).

    Quale uomo, nella storia, ha mai osato comandare il proprio Dio? Gesù spiega ai farisei che lo accusano, che La Legge di Dio è data per l’uomo, e non contro l’uomo. E si fonda su due principi fondamentali: l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo. Ogni altro uomo che ci circonda è un fratello, che va amato e rispettato. I farisei avrebbero osservato questo Comandamento se avessero offerto loro, agli uomini affamati che vagavano nel campo, di che mangiare. Questo è quello che Dio si aspettava che facessero. Invece stanno immobili, ai margini del campo, a lanciare accuse contro Gesù ed i discepoli. Facile!

    Per carità, non cadiamo nell’errore di questi farisei! Non rimaniamo prigionieri di leggi che non comprendiamo, ma liberiamo il nostro spirito dalle gabbie dell’ipocrisia e facciamolo volare sulle ali dell’Amore! #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Cristo nel campo di grano” di Thomas Francis Dicksee, 1883, olio su tela, 139.7 x 104.1 cm, Londra, collezione privata

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  • Tra il dire e il fare…

    Tra il dire e il fare…

    Tra il dire e il fare… c’è di mezzo il mare. Ma che cosa c’entra un simile proverbio con un brano di Vangelo?

    Il mio in(solito) commento a:
    Dicono e non fanno (Mt 23,1-12)

    A dire e non fare, in questo brano di Vangelo, sono scribi e farisei: “Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente” (vv. 4-5). La chiusura, la rigidità eccessiva, è sempre nociva. Quando applicata alla religione rischia di trasformarsi in fondamentalismo. E anziché avvicinare a Dio, questo atteggiamento allontana. Ma questo non è il loro peggior peccato. Eh no!

    C’è ben di peggio di essere eccessivamente severi con un popolo affamato che cerca la fede: uccidere i loro sogni.

    Sì, perché la responsabilità maggiore di scribi e farisei era quella di opprimere la fantasia, la libertà, l’espressività della gente, ingabbiandola in celle fatte di regolamenti così complessi da potersi rispettare che richiedevano sempre la presenza di uno di loro per poter decidere, di momento in momento, se una data operazione fosse lecita o meno. Non si poteva raccogliere una spiga in giorno di sabato, né era permesso prendersi cura di un ammalato. Non era permesso mangiare determinati alimenti ed erano prescritti rituali assurdi e complicatissimi. Pensate che veniva ritenuto impuro chi solo avesse sfiorato, anche solo inavvertitamente, una donna, o determinati oggetti, in alcuni giorni del mese: “Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera. Ogni giaciglio sul quale si sarà messa a dormire durante la sua immondezza sarà immondo; ogni mobile sul quale si sarà seduta sarà immondo. Chiunque toccherà il suo giaciglio, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e sarà immondo fino alla sera. Chi toccherà qualunque mobile sul quale essa si sarà seduta, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e sarà immondo fino alla sera. Se l’uomo si trova sul giaciglio o sul mobile mentre essa vi siede, per tale contatto sarà immondo fino alla sera” (Levitico 15,19-23). E proseguendo nella lettura potreste scoprire fatti anche peggiori.

    Se ogni azione deve essere codificata, riflettuta, ponderata… se dietro ad ogni gesto si può nascondere un rimprovero o la minaccia di venir esclusi dal Regno dei Cieli… se, peggio ancora, le limitazioni vengono prescritte non per il volere di Dio, ma per preservare una posizione personale di privilegio, quale quella di scribi e farisei, camuffando proprio quello che viene fatto per i proprio tornaconto come se fosse Legge di Dio… allora sì che si compie il peggiore dei peccati. Che non è l’omicidio. Ma è l’assassinio della libertà. Quella libertà che si dovrebbe librare in un volo sulle ali dello Spirito. Quella libertà che dovrebbe avere lo stesso sapore della vita e della gioia. Quella libertà che dovrebbe avere lo stesso colore dell’azzurro del cielo. Quella libertà che dovrebbe avere lo stesso suono di una risata felice. Quella libertà che dovrebbe avere occhi di speranza e sogni di futuro. Tutto questo hanno rubato scribi e farisei.

    Ma ora soffermiamoci su una domanda: esistono scribi e farisei ai nostri giorni?

    Ancora oggi c’è chi vorrebbe arrestare il ribollire del vino nuovo del Vangelo. Ci sono moderni farisei, ancorati alle tradizioni, che non riconoscono la legge dell’amore: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. (Giovanni 13,34). I farisei di oggi hanno l’anima spenta e, con il volto grigio, cercano sempre di raffreddare la fiamma dell’amore che arde nel cuore di chi continua a farsi voce per la Parola. Come quelli di ieri, i farisei di oggi sono persone sempre tristi, si credono perfetti e disprezzano gli altri. Si sentono autorizzati da Dio a giudicare. E a condannare.

    I farisei di oggi sono persone che pongono continui freni all’entusiasmo di chi vorrebbe mettersi in gioco. Di chi non si arrende al “si è fatto sempre così”. Di chi propone soluzioni intelligenti che si scontrano con la chiusura mentale di chi continua a preferire il sapore stantio del vino vecchio senza riuscire a lasciarsi toccare dalla gioia di un Vangelo che rende liberi. Gesù non è venuto per chi si sente sicuro di sé, per quegli uomini saccenti, che sono sempre pronti a giudicare tutto e tutti. Persone che si ritengono autorizzate a decidere come gli altri si debbano comportare in ogni situazione. Persone così piene d’orgoglio che pensano di poter imporre la propria volontà perfino a Dio. No, Gesù è venuto in mezzo a noi per aiutare i più deboli, gli indifesi, gli ultimi, chi vive con la testa bassa, umiliato dal giogo dei prepotenti.

    Sì, perché al cristiano non serve un codice di precetti limitativi, ma egli ha bisogno di Gesù Cristo, del suo amore, della sua generosità, della sua mitezza, del suo perdono. E Gesù, che risponde alla morte con la vita, al male col bene, al peccato col perdono, alla disperazione con la speranza, alla solitudine con la comunione, alla tristezza con la gioia, alla paura con la serenità, a liberarci dal giogo pesante imposto da un uomo che crede di essere Dio. Gesù, un Dio che vuole essere Uomo. Un pastore misericordioso, che non abbandona mai le sue creature.

    #Santanotte amici, non permettiamo che il nostro cuore si indurisca, come quello dei farisei, ma lasciamoci sempre trasportare dalla brezza leggera dello Spirito Santo. Perché è quando il suo soffio incontra una vela disposta a lasciarsi investire, che avvengono miracoli!

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Cristo fra i farisei”, del pittore fiammingo Jacob Jordaens, 1660, olio su tela, 140×212 cm, The Phoebus Foundation, Antwerp

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  • Come si può liberare la nostra anima?

    Come si può liberare la nostra anima?

    Quando le regole diventano più importanti delle persone allora quelle regole non danno più gloria a Dio. E ogni volta che “il sabato” diventerà più importante della sofferenza anche di un solo ammalato, allora quello stesso giorno non sarà più sacro a Dio. 

    Il mio in(solito) commento a:
    Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo (Marco 7,14-23)

    Tra le popolazioni del medio oriente, ai tempi di Gesù, era assolutamente vietato consumare alcuni cibi. Ad esempio il maiale veniva considerato un animale impuro ed era severamente proibito consumarne le carni e, addirittura, ne veniva proibito l’allevamento. E, dentro ai villaggi, non era permessa la presenza di suini. Pensa che, se solo un piatto, una pentola od una ciotola, veniva accidentalmente in contatto con della carne di maiale, la stessa stoviglia doveva venire distrutta: rotta in mille pezzi, tanto da rendersi inservibile!

    Queste prescrizioni, che in forma attenuata troviamo ancora ai giorni nostri presso le popolazioni di religione mussulmana, avevano comunque una loro ragione d’essere. Devi sapere che ai tempi di Gesù in Palestina non esistevano impianti fognari ed i liquami scorrevano liberamente lungo le strade fangose. In quelle condizioni era estremamente pericoloso mangiare carne di maiale: animale che, notoriamente, vive in ambienti molto sporchi ed è soggetto ad infezioni dovute ai parassiti. Mangiare carne di maiale non correttamente cotta poteva causare malattie anche piuttosto serie. Spiegare questi concetti ad un popolo affamato non era facile. Così a qualcuno venne in mente di dichiarare immondi i cibi meno raccomandati, nascondendo dietro ad un precetto religioso quella che era soltanto una raccomandazione sanitaria. Stratagemma efficace e, forse, perfino comprensibile. Ma pur sempre una distorsione della Legge di Dio.

    Ma l’uomo inventò anche precetti “non alimentari”: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» (cfr. Marco 7,1-13). Pensa, ad esempio, alla proibizione di curare gli ammalati in giorno di sabato: «È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?» (cfr. Marco 3,4). O addirittura al divieto di raccogliere qualche spiga in un campo di grano per sfamarsi: «Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni?» (cfr. Marco 2,25).

    Ecco che i farisei, che dovrebbero essere uomini di fede, si arrogano il diritto di dare ordini a Gesù. Non solo. Addirittura pretendono di decidere che cosa sia lecito che il Figlio di Dio faccia e quando.

    Può Dio desiderare il male di un uomo? Può Dio desiderare che questo paralitico sia condannato a non utilizzare la sua mano destra soltanto perché l’incontro con Gesù avviene in giorno di sabato? Può Dio condannare dodici uomini, insieme al proprio Figlio Unigenito, a patire la fame, solo perché in giorno di sabato non si può compiere nessun lavoro nei campi? Può Dio desiderare che, proprio in nome di quella religione che dovrebbe rappresentare amore per ogni uomo, alcune persone vengano escluse dai sacramenti, o venga impedito loro di guarire, o di ricevere grazie particolari? Può Dio, che non ha esitato neppure un istante a mandare il proprio Figlio a vivere in mezzo a noi imporre limiti alla nostra guarigione, al nostro nutrimento, al nostro cammino? Ovviamente no!

    Diffidiamo sempre da una fede che limita, da una fede che castiga sempre e non incoraggia mai, da una fede che impone e non propone. Questa fede non può che essere inquinata!

    Un Dio che ci ama a tal punto da permetterci di sbagliare concedendoci il libero arbitrio non può impedire che un paralitico possa recuperare l’uso della propria mano, solo perché non è il giorno giusto sul calendario.

    Quando le regole diventano più importanti delle persone allora quelle regole non danno più gloria a Dio. E ogni volta che “il sabato” diventerà più importante della sofferenza anche di un solo ammalato, allora quello stesso giorno non sarà più sacro a Dio. Perché il Signore è quel pastore buono che non esita a lasciare novantanove pecore nel deserto per correre a salvare l’unica che si è smarrita.

    «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo» (vv. 20-23). Dovremmo preoccuparci molto di più delle parole che escono dalla nostra bocca, piuttosto che del cibo che vi entra… Ma soprattutto dovremo imparare ad impedire che la nostra anima resti prigioniera di vincoli inventati dall’uomo ed a liberarla sulle ali dell’amore che viene da Dio! #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Come far volare la nostra anima sulle ali dell'amore
    Il dipinto di oggi è: “Ascensione di Cristo”, di Benvenuto Tisi da Garofalo, 1510, olio su tavola, 314 × 204,5 cm, Galleria Nazionale di Arte Antica, Roma

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  • Qual è la tradizione degli uomini?

    Qual è la tradizione degli uomini?

    L’Amore inarrestabile, incontenibile, incondizionato che Dio prova nei nostri confronti fa sì che chiunque di noi abbia la possibilità di salvarsi. Anche il peggiore dei peccatori, redimendosi, può aspirare al Paradiso, proprio come accadde a San Disma, il buon ladrone. Non c’è peccato troppo grave che Dio non possa perdonare, purché il nostro pentimento sia sincero!

    Il mio in(solito) commento a:
    Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini (Marco 7,1-13)

    Ecco un esempio di ipocrisia dell’igiene. O meglio, di inutile impiego di regole utili: è fuori di discussione che, per evitare intossicazioni alimentari e trasmissione di malattie contagiose, sia buona norma pulire accuratamente stoviglie e bicchieri, ma si tratta di una abitudine dettata dal buon senso e non di un comandamento trasmesso da Dio. Farisei, scribi e dottori della legge spacciavano come provenienti da Dio tutta una serie di norme, che in realtà dipendevano soltanto dal calcolo della ragione dell’uomo.

    Non c’è mai limite al peggio: oltre a formulare leggi e precetti (se ne contavano ben 613 per regolamentare ogni aspetto della vita: dal cibo all’abbigliamento, fino a cosa sia lecito o meno fare), farisei, scribi e dottori della Legge, smarrirono completamente ogni legame con le ragioni che portarono, originariamente, alla formulazione di tutte queste regole. Si giunse al punto in cui le regole stesse divennero più importanti delle persone che dovevano salvaguardare. Tutto questo era finalizzato a difendere i privilegi di qualche casta!

    È questa la peggiore ipocrisia che Gesù proprio non accetta:

    “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini” (vv. 6,7).

    No. Dio non ci vuole rigidi e bacchettoni, non desidera che noi viviamo con l’assillo di rispettare alla lettera centinaia di precetti severi. Dio non cerca farisei che continuamente si battano il petto e non vuole neppure automi che obbediscano ciecamente a leggi che non comprendono. Se fosse così non ci avrebbe creati liberi… e perfino un po’ testardi. Un po’ come Lui, che si intestardisce ad amarci, anche quando lo respingiamo, anche quando lo rinneghiamo, anche quando facciamo di tutto per allontanarci da Lui. D’altra parte, noi siamo stati creati a sua immagine (cfr. Genesi 1,26).

    Questo Dio che ci ama oltre ogni ragione, desidera una cosa sola: salvarci. “La volontà del Padre che mi ha mandato è questa: che io non perda nessuno di quelli che mi ha dato, ma li risusciti nell’ultimo giorno” (Giovanni 6,39). Sono chiare le parole di Gesù: il Padre cerca la nostra salvezza e desidera donarci la Vita Eterna. E quale moneta ci comprerà il Paradiso? L’Amore!

    L’Amore inarrestabile, incontenibile, incondizionato che Dio prova nei nostri confronti fa sì che chiunque di noi abbia la possibilità di salvarsi. Anche il peggiore dei peccatori, redimendosi, può aspirare al Paradiso, proprio come accadde a San Disma, il buon ladrone. Non c’è peccato troppo grave che Dio non possa perdonare, purché il nostro pentimento sia sincero!

    Dio non lega neppure la sua benevolenza alla nostra conversione: “Cristo è morto per noi” (Romani 5,8) mentre ancora eravamo peccatori. Dio ci ha voluto bene anche quando eravamo sbagliati. Dio, infatti, ci ama per primo. Egli non ci ama perché in noi c’è qualche ragione che susciti il suo Amore, ma lo fa perché Egli stesso è Amore, e l’Amore tende per sua natura a diffondersi, a donarsi #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Ecce Homo” di Juan de Juanes, 1570, olio su tela, 83×62 cm, Museo del Prado, Madrid

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  • Troppe regole ci rubano il Paradiso!

    Troppe regole ci rubano il Paradiso!

    Un elenco infinito di regole e precetti che si perde nella più complessa delle casistiche paralizzando di fatto la fede. È quanto avevano architettato i farisei. E oggi?

    Il mio in(solito) commento a:
    Guai a voi, guide cieche (Matteo 23,13-22)

    Tu pensi che davvero Dio ci consegnerebbe un elenco di precetti, comandamenti e istruzioni da seguire così voluminoso da assomigliare ad un vocabolario, sedendosi su un trono ad aspettare che ce ne dimentichiamo uno, per poi giudicarci severamente?

    Io sono certo di no. Le regole devono essere poche, ma soprattutto semplici ed intuitive. Perché troppe regole rubano il Paradiso e paralizzano la fede. Ed in questo Gesù è stato molto chiaro:

    «Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Ama il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti» (Matteo 22,37-40). Il comandamento universale: la legge dell’amore, che condensa in se stesso tutti gli altri: riassume tutte le regole in una semplice da ricordare ed impossibile da ignorare.

    Non certo come i 613 precetti codificati da scribi e farisei: 248 “obblighi” e 365 “divieti”, che erano stati escogitati da loro, nel tentativo di codificare tutti i comportamenti ed ogni situazione. Ma il tutto si traduceva in una mole di cavilli che rendeva inutilmente gravosa e troppo complicata la vita di ogni persona: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!» (Luca 11,46). Troppe regole da ricordare. Troppe occasioni per sbagliare: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare» (Matteo 23,13).

    I vecchi precetti, la rigidità di riti e preghiere, i sacrifici, con Gesù non hanno più senso. Tutte queste cose rappresentano il vino vecchio che ormai si conserva in otri sgualciti. Gli otri nuovi, invece, sono pieni della Parola di Gesù, quella che trasforma le mille regole dei farisei in parole semplici, che profumano d’amore: “ama Dio e ama il prossimo tuo”.

    D’un tratto la complessità delle antiche leggi diventa una semplicità spumeggiante. Così, a scribi e farisei, non resta che fare leva sull’abitudine, sull’inerzia al cambiamento innata in quella parte di popolazione che continua a preferire il vino vecchio. Persone che sono rimaste schiave della Legge, senza lasciarsi toccare dalla gioia di un Vangelo che rende liberi.

    Dio non cerca farisei che continuamente si battano il petto e non vuole neppure automi che obbediscano ciecamente a leggi che non comprendono. Se fosse così non ci avrebbe creati liber (ed anche un po’ testardi). Un po’ come Lui, che si intestardisce ad amarci, anche quando lo respingiamo, anche quando lo rinneghiamo, anche quando facciamo di tutto per allontanarci da Lui. D’altra parte, noi siamo stati creati a sua immagine (cfr. Genesi 1,26).

    Questo Dio che ci ama oltre ogni ragione, desidera una cosa sola: salvarci. “La volontà del Padre che mi ha mandato è questa: che io non perda nessuno di quelli che mi ha dato, ma li risusciti nell’ultimo giorno” (Giovanni 6,39). Sono chiare le parole di Gesù: il Padre cerca la nostra salvezza e desidera donarci la Vita Eterna. E quale moneta ci comprerà il Paradiso? L’Amore!

    L’Amore inarrestabile, incontenibile, incondizionato che Dio prova nei nostri confronti fa sì che chiunque abbia la possibilità di salvarsi. Dio, infatti, ci ama per primo. Egli non ci ama perché in noi c’è qualche ragione che susciti il suo Amore, ma lo fa perché Egli stesso è Amore, e l’Amore tende per sua natura a diffondersi, a donarsi, indipendentemente da noi come siamo e come ci comportiamo. 

    Come un padre ama le sue creature, Dio ama ciascuno di noi, tutti: buoni e cattivi. Chiunque di noi, come san Disma, il buon ladrone, potrà rubare il proprio posto in Paradiso pentendosi dei propri peccati. Di qualunque entità essi siano. Anche i più gravi. Anche i più terribili. 

    Perché Dio è più grande. Il concetto di Dio è qualcosa che sfugge alla nostra comprensione: è così smisuratamente vasto che non lo possiamo neppure immaginare. Così come non possiamo neppure figurarci la sua infinita bontà.

    #Santanotte Ricordiamo sempre le parole di San Giovanni della Croce: Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore.

    Alessandro Ginotta

    Perché Gesù ci promette il centuplo?
    Il dipinto di oggi è: “Christus Consolator” di Carl Heinrich Bloch, 1875, olio su tela, Brigham Young University Museum of Art

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