Tag: Vangelo

  • Una pagina scomoda

    Una pagina scomoda

    Oggi mi sono chiesto: il Vangelo può essere scomodo? Una domanda insolita, vero? Eppure… scoprilo insieme a me.

    Il mio in(solito) commento a:
    “Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto” (Marco 6, 14-29)

    Quando penso ai brani scomodi, mi vengono in mente invettive forti, richiami alla povertà, persino l’invito a perdonare chi ci ha ferito. Ma, sorprendentemente, quelli li ho sempre capiti. Scivolavano lisci come l’olio. Le parole prendevano forma nella mente senza troppe resistenze.

    Eppure c’è un brano che mi ha sempre messo in difficoltà: questo. Non saprei dirti se per i ricordi spiacevoli che mi evoca, per la crudezza della decapitazione di San Giovanni Battista, o per quella figura di Erode Antipa, fotocopia sbiadita del crudele Erode il Grande.

    Eh sì, forse non ci si fa caso, ma nel Vangelo ci sono due Erode. Il primo è Erode il Grande: il re che ingannò i Magi e ordinò la strage dei bambini innocenti nel tentativo folle di eliminare Gesù. Il secondo è Erode Antipa, che neppure era re, ma tetrarca. Sfortunato figlio del primo, si dovette accontentare del titolo di governatore.

    Ma se il padre fu assassino di innocenti, Antipa non fu certo da meno. S’innamorò di Erodiade, moglie del fratello, e la sposò. E come se non bastasse, si invaghì della giovane Salomè, figlia di Erodiade. La vide danzare e, accecato dal desiderio, le disse: «Chiedimi quello che vuoi e te lo darò» (cfr. Mc 6, 22).

    Indotta dalla madre, Salomè chiese la testa del profeta che aveva osato parlare contro l’immoralità di quella relazione.

    E qui il Vangelo ci mette davanti a una verità dura: quando facciamo tacere la voce del bene dentro di noi, stiamo uccidendo Dio. Ogni volta che scegliamo la via più facile del male, quando soffochiamo quel seme di luce che Dio ha piantato nel nostro cuore, stiamo, in fondo, decapitando il profeta.

    E sai qual è la verità più scomoda di tutte? Lo facciamo ogni volta che preferiamo ignorare la coscienza, quella voce che ci sussurra la strada giusta. La soffochiamo per pigrizia, egoismo, indifferenza. La facciamo tacere perché fa troppo rumore dentro di noi.

    Ma io ti invito a fare una scelta diversa. Non assassiniamo il bene. Lasciamo che quella voce parli, illumini, trasformi. La luce di Gesù è lì per noi, ogni giorno. Sta a noi decidere se lasciarla brillare o spegnerla #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Il Battesimo di Cristo”, del Maestro di Francoforte, 1520, olio su tela, 169x292cm, Museo Nazionale di Catalonia, Barcellona

    Sostieni labuonaparola.it


    Se ti piace questo blog sostienilo. La tua donazione mi aiuterà a continuare a creare contenuti di qualità.

    Ogni contributo, grande o piccolo, fa la differenza. Grazie per il tuo sostegno!

  • Un cimitero infestato (sembra una favola, ma è Vangelo)

    Un cimitero infestato (sembra una favola, ma è Vangelo)

    C’era una volta, in una terra lontana lambita dalle acque azzurre del Mare di Galilea, un villaggio ai margini del mondo. Le sue case sorgevano quiete tra campi verdi e cieli sereni. Ma non tutto era pace e armonia: oltre la città, tra le tombe di un antico cimitero, vagava un uomo tormentato

    Il mio decisamente in(solito) commento a:
    Esci, spirito impuro, da quest’uomo (Marco 5,1-20)

    Gli abitanti del villaggio lo chiamavano “il pazzo delle tombe”. Nessuno osava avvicinarsi a lui. Di giorno e di notte, il vento portava i suoi lamenti agghiaccianti fino alle mura della città. Le sue vesti erano a brandelli, i capelli ispidi come un nido di rovi. Si colpiva con pietre e spezzava ogni catena che cercavano di mettergli addosso. “Non c’è nulla da fare,” mormoravano i villani scuotendo il capo. “Meglio lasciarlo lì, lontano, tra i morti.”

    Ma una mattina diversa da tutte le altre, il mare si increspò dolcemente e una barca approdò sulla riva. Ne scese un viandante dal volto luminoso e lo sguardo profondo come l’oceano. Era Gesù, il Dio-con-noi, che aveva attraversato il mare per raggiungere anche quella terra straniera.

    Mentre camminava tra le lapidi antiche, il pazzo delle tombe lo vide. Invece di fuggire o gridare, gli corse incontro e si gettò ai suoi piedi, tremando. Una voce cupa e sinistra uscì dalle sue labbra: “Che cosa vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio Altissimo?”

    Gesù lo guardò con infinita pietà. Non era l’uomo a parlare, ma qualcosa di oscuro che si era annidato nel suo cuore. “Come ti chiami?” domandò il Maestro.

    “Legione,” rispose la voce. “Perché siamo in molti.”

    Immagina per un attimo la scena: dentro quell’uomo abitava un intero esercito di demoni! Ma anche un esercito non può nulla davanti all’Amore di Dio. Sapevano di essere condannati, così supplicarono: “Mandaci almeno in quella mandria di porci laggiù!”

    Gesù, nella sua infinita misericordia, acconsentì. I demoni lasciarono il corpo dell’uomo e si rifugiarono nei porci. Ma gli animali, impazziti, si precipitarono giù da una rupe e affogarono nel mare.

    Il villaggio avrebbe finalmente dovuto gioire, giusto? Ma la storia, ahimè, non andò proprio così…

    Il vero dramma non è l’uomo indemoniato, ma la scelta dei suoi concittadini. Anziché aiutarlo, lo hanno esiliato tra le tombe, trattandolo come un problema da eliminare.

    Quando Gesù lo libera, quell’uomo torna sereno, vestito e sano di mente. Ma anziché gioire, i cittadini hanno paura. “Se ne vadano tutti, pure Gesù!”

    Hai notato? Non solo non hanno amato il prossimo, ma hanno perfino rifiutato Dio.

    Il liberato diventerà un evangelizzatore, pieno di gratitudine. Gli abitanti di Gerasa, invece, rimarranno prigionieri del loro egoismo.

    Ecco il punto cruciale: quando nel nostro cuore non c’è Dio, il male si annida facilmente. Come liberarsene?

    Inizia aprendo il cuore alla preghiera:

    • Una sola Ave Maria ben detta fa tremare l’inferno, diceva il Curato d’Ars.
    • La preghiera a San Michele Arcangelo è potente:

    “San Michele Arcangelo, difendici nella lotta; sii nostro aiuto contro la cattiveria e le insidie del demonio… Amen.”

    • E vuoi un’arma semplice ma potente? Fai il segno della croce con acqua benedetta. Santa Teresa d’Avila garantiva che i demoni la temono più di ogni altra cosa.

    Non aspettare: apri il cuore a Dio. Perché dove c’è Lui, il male non ha alcuna chance #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La tentazione di Cristo” di Ary Scheffer, 1854, olio su tela, 75.5 × 55.0 cm, National Gallery of Victoria, Melbourne

    Sostieni labuonaparola.it


    Se ti piace questo blog sostienilo. La tua donazione mi aiuterà a continuare a creare contenuti di qualità.

    Ogni contributo, grande o piccolo, fa la differenza. Grazie per il tuo sostegno!

  • Accendi la Luce che hai dentro!

    Accendi la Luce che hai dentro!

    Oggi incontriamo Gesù, il più sorprendente degli “elettricisti dell’anima”. Sì, proprio Lui: l’unico in grado di riaccendere quella luce che a volte ci sembra spenta.

    Il mio in(solito) commento a:
    La lampada viene per essere messa sul candelabro (Mc 4,21-25)

    Hai mai avuto la sensazione che la tua vita sia come una stanza buia, priva di direzione e significato? Io sì, un tempo. Capita quando l’ago della nostra bussola interiore sembra impazzito, tremolante, senza una meta chiara. Ci sentiamo smarriti, stanchi, privi di sapore. Spenti.

    Poi ho capito che dentro ciascuno di noi brilla una scintilla divina. C’è, anche se a volte è nascosta dietro una cortina di fumo fatta di sofferenza, errori e delusioni. Per alcuni quella luce splende forte, come un faro che illumina il cammino proprio e altrui: penso ai santi, ma anche a persone comuni con una fede incrollabile. Per altri, invece, è un piccolo bagliore appena visibile. Ma c’è sempre.

    Mi torna in mente un’estate di tanti anni fa, in montagna, quando un temporale fece saltare la corrente. Tutto divenne buio. Trovammo qualche fiammifero e una vecchissima candela chiusa in una sorta di ampolla di vetro. La luce tremolante bastava appena a rischiarare la stanza. Ma quando la fiamma toccava le pareti di vetro, quest’ultimo si anneriva e tutto intorno tornava buio.

    Ecco cosa succede alla nostra anima: i peccati, come quella patina di fumo, offuscano la luce che dovrebbe illuminare il nostro cammino. Ma non è tutto perduto. Gesù è pronto a pulire quel vetro, a far brillare di nuovo il nostro cuore.

    La cosa bella è che questa luce non è solo per noi. È fatta per essere condivisa. È un fuoco che può accendere altre scintille. Possiamo illuminare chi ci sta accanto, chi magari ha perso la strada o ha lasciato spegnere la propria luce.

    Gesù ci affida un compito straordinario: brillare del suo amore e rischiarare le tenebre del mondo. Lascia che la tua anima diventi un faro, un esempio per chi ti circonda.

    E mentre rifletti su tutto questo, ti lascio con la potente preghiera di San Paolo:

    “Chiedo a Dio di illuminare gli occhi della vostra mente e di farvi comprendere a quale traguardo di speranza egli vi chiama, quale grandiosa ricchezza di gloria egli ha preparato per quelli che sono suoi, e l’immensa potenza con la quale ha agito per noi che crediamo in lui” (Efesini 1,18-20).

    Non dimenticarti mai: la luce che hai dentro può fare la differenza. Custodiscila. E falla brillare.
    #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La luce del mondo”, di William Holman Hunt, 1904, St Paul’s Cathedral, London

    Sostieni labuonaparola.it


    Se ti piace questo blog sostienilo. La tua donazione mi aiuterà a continuare a creare contenuti di qualità.

    Ogni contributo, grande o piccolo, fa la differenza. Grazie per il tuo sostegno!

  • Troppe regole non ti salveranno…

    Troppe regole non ti salveranno…

    Quando le regole diventano più importanti delle persone, smettono di parlare di Dio.

    Pensaci: È lecito in giorno di sabato salvare una vita o ucciderla? (Marco 3,1-6)

    Gesù non si fa scrupoli. Un sabato raccoglie spighe nei campi (Luca 5,33-39), un altro guarisce un uomo con la mano paralizzata (Marco 3,1-5). E sai cosa fa? Manda in crisi i farisei. Loro, paladini di una Legge antica ma travisata, applicata con rigidità a costo di schiacciare le persone.

    Ma ti sembra possibile? Può Dio desiderare il male di qualcuno? Può volere che un uomo resti prigioniero della sua paralisi solo perché è sabato? Oppure che dodici uomini e suo Figlio patiscano la fame perché in quel giorno non si può raccogliere cibo? E ancora, può Dio – che è amore puro – escludere qualcuno dai sacramenti o impedire guarigioni solo per rispettare una regola? No. Assolutamente no.

    C’è un comandamento che viene prima di ogni legge, ed è quello che Gesù ci ha insegnato: il comandamento dell’amore. L’amore che tutto libera, che tutto rigenera, che tutto perdona. È l’amore che guarisce l’uomo con la mano paralizzata, che nutre chi ha fame, che tende la mano al peccatore senza giudicarlo. È l’amore che fa nuove tutte le cose.

    L’amore di Dio non conosce confini, né calendari, né regole. È quell’amore che va oltre i nostri limiti, che non si ferma davanti al nostro peccato, ma ci raccoglie, ci rialza e ci offre una seconda possibilità. E sai qual è il suo segreto? Non guarda ciò che siamo stati, ma ciò che possiamo diventare.

    Dio è quel pastore che abbandona novantanove pecore nel deserto per salvare l’unica smarrita. Dio è quell’amore che non si ferma davanti a un calendario. E se tu fossi quella pecora? Se tu fossi quell’uomo con la mano paralizzata? Dio non aspetterebbe un giorno “giusto” per venirti incontro.

    Quando le regole calpestano la dignità umana, non è Dio che si allontana da noi. Siamo noi che ci allontaniamo da Lui. Eppure, il suo amore resta. Sempre. Incondizionato. Illimitato. Come ci ricorda Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Unico Figlio, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).

    E noi? Siamo capaci di amare così? Siamo capaci di guardare il prossimo non per ciò che è stato, ma per ciò che potrebbe diventare? Il comandamento dell’amore è una sfida: ci chiama a perdonare, a guarire, a nutrire. Ci chiama a essere, anche noi, strumenti di libertà, di rigenerazione e di perdono.

    #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Troppe regole non ti salveranno...
    Il dipinto di oggi è: “Cristo Risorto in Gloria”, di Guido Reni, 1614, affresco, cupola del Santissimo Sacramento, Duomo di Ravenna

    Sostieni labuonaparola.it


    Se ti piace questo blog sostienilo. La tua donazione mi aiuterà a continuare a creare contenuti di qualità.

    Ogni contributo, grande o piccolo, fa la differenza. Grazie per il tuo sostegno!

  • Il Vangelo della gioia

    Il Vangelo della gioia

    Cristo ci sorprende sempre. Arriva quando meno ce lo aspettiamo, sconvolge le nostre certezze, scuote le nostre vite… come il vino nuovo che ribolle, pronto a scardinare ogni routine.

    Il mio in(solito) commento a:
    Lo sposo è con loro (Marco 2,18-22)

    Hai mai sentito il peso di una gioia trattenuta? Di un sorriso che si spegne prima ancora di fiorire? San Francesco di Sales aveva le idee chiarissime: “Il maligno gode nella tristezza e nella malinconia, perché lui è – e lo sarà per l’eternità – triste e malinconico”. Ecco perché tenta in ogni modo di spegnere la nostra gioia: rende piacevole il male e sgradevole il bene, trasformando le nostre opere buone in fardelli pesanti.

    Ma Dio non ci vuole così. Lo dice chiaramente: “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 9,13). Il Vangelo è un invito alla gioia, un canto che risuona nel cuore di chi lo ascolta davvero. Lo senti? È il saluto dell’angelo a Maria: “Rallegrati” (Lc 1,28). È Giovanni che danza di gioia nel grembo di Elisabetta. È il sorriso di Gesù che esulta nello Spirito Santo.

    Il Vangelo non è mai un peso. È vita, è speranza, è allegria! È questo che il Signore ci chiede: abbandonare le maschere tristi e vivere con il cuore in festa. Non per spensieratezza, ma per quella gioia profonda che solo l’amore di Cristo può donare.

    Cristo ribolle, come il vino nuovo, e ci chiama al cambiamento. Basta con le rigide regole dei farisei, con il sacrificio fine a sé stesso. Quei vecchi otri non possono contenere la novità del suo amore. Gli otri nuovi, invece, traboccano della sua Parola: una Parola semplice, che profuma d’amore e riempie la vita di senso.

    Ma attenzione: anche oggi ci sono moderni farisei. Li riconosci subito: hanno l’anima spenta e il volto grigio. Disprezzano chiunque sia diverso da loro, giudicano e condannano. Cercano di soffocare la gioia del Vangelo perché non riescono a capirla.

    E noi? Noi non possiamo arrabbiarci. Cristo ci ha insegnato a pregare per loro: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Il nostro compito è un altro: custodire il vino nuovo del Vangelo, alimentare la fiamma che arde nel cuore e condividerla con chi ci circonda.

    «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare» (v. 19). Facciamo festa! Una festa vera, profonda, che nasce dall’incontro con Gesù. Lui non ci vuole tristi e musoni. Lui vuole la gioia. Quella gioia che, come dice Papa Francesco, “riempie il cuore e la vita intera di chi si incontra con Gesù” (Evangelii Gaudium 1).

    Allora non lasciamo che niente e nessuno spenga questa gioia. Conserviamola viva, perché è il dono più prezioso che abbiamo ricevuto #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Christus Consolator” di Carl Heinrich Bloch, 1875, olio su tela, Brigham Young University Museum of Art

    Sostieni labuonaparola.it


    Se ti piace questo blog sostienilo. La tua donazione mi aiuterà a continuare a creare contenuti di qualità.

    Ogni contributo, grande o piccolo, fa la differenza. Grazie per il tuo sostegno!

  • Tira fuori il profeta che è in te!

    Tira fuori il profeta che è in te!

    Sai cosa fa davvero Dio? Ci sceglie. Sì, proprio così. Ci pesca dalla folla, tra persone comuni, piene di difetti e fragilità, e ci affida una missione. Non ci vuole perfetti, ci vuole autentici. E ci dà ciò che ci manca per portare a termine il compito che ci affida.

    Il mio in(solito) commento a: “Oggi si è compiuta questa Scrittura” (Luca 4,14-22)

    Ogni tanto, nella storia, arrivano uomini straordinari, capaci di vedere oltre, di scrutare l’invisibile con gli occhi dell’anima. Isaia era uno di questi. Ottocento anni prima di Gesù, ha annunciato la sua venuta con parole che oggi ci fanno venire i brividi: «La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Isaia 7,14). Isaia ha visto anche Giovanni Battista, il precursore: «Preparate nel deserto la via del SIGNORE, appianate nei luoghi aridi una strada per il nostro Dio!» (Isaia 40,3-5). E poi, quel brano che Gesù leggerà in sinagoga secoli dopo: «Lo spirito del Signore Dio è su di me… mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri» (Isaia 61,1).

    Ma il vero colpo al cuore sono i Canti del Servo di Javhé. Isaia descrive la Passione di Gesù con una precisione spiazzante. Leggi queste parole e sembra di essere sotto la croce:

    «Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti» (Isaia 53,5).

    Non è impressionante? “Trafitto”, “Maltrattato”, “Come un agnello condotto al mattatoio”. Isaia non racconta solo un futuro evento, ci fa sentire il peso dell’amore di Dio per noi.

    E allora, dove voglio arrivare? Voglio farti notare una cosa meravigliosa: la Bibbia è un tesoro inesauribile. Parole scritte secoli fa che oggi esplodono di significato. La Parola di Dio è viva, ti parla, ti sfida, ti consola. San Paolo lo dice chiaro: «La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio» (Ebrei 4,12).

    Ma chi è un profeta? Non è un indovino o un mago. È una persona comune, chiamata da Dio per parlare in suo nome. Isaia stesso si sentiva inadatto: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono» (Isaia 6,5). Ma Dio lo purifica e lo invia. E così fa con noi. Ci chiama, ci purifica, ci affida una missione.

    Oggi tocca a noi. Sì, proprio a me e a te. Gesù ci dice: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Marco 16,15). Essere profeti oggi significa ascoltare Dio, vivere la Sua Parola, diventare testimoni vivi del Vangelo. Non si tratta di giudicare, ma di aprire orizzonti di speranza. Di mostrare con la nostra vita che Dio ci ha creati, amati e resi liberi, affinché possiamo amarLo a nostra volta.

    Sai qual è la cosa più bella? Gesù non scarta la canna incrinata, ma la ripara. Non spegne lo stoppino che fuma, ma lo ravviva. Ogni volta che cadiamo, ci rialza. Quando la nostra luce vacilla, soffia su di noi lo Spirito Santo per riaccenderla. Questo è il Dio che cammina accanto a noi. Un Dio che non si stanca mai di cercarci, di amarci, di perdonarci.

    E allora, cosa aspetti? Lasciati pescare. Lasciati amare. E porta nel mondo quella luce che solo tu puoi donare #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi é: “L’intercessione di Gesù e della Vergine”, di Lorenzo Monaco (Piero di Giovanni), 1402, tempera su tela, 239×153 cm, The Met, New York

    Sostieni labuonaparola.it


    Se ti piace questo blog sostienilo. La tua donazione mi aiuterà a continuare a creare contenuti di qualità.

    Ogni contributo, grande o piccolo, fa la differenza. Grazie per il tuo sostegno!

  • Che cosa vuol dire Agnello di Dio?

    Che cosa vuol dire Agnello di Dio?

    Un viaggio tra le pagine della Bibbia per scoprire la figura più sorprendente di tutte: Cristo-Agnello.
    Un simbolo di mitezza e mansuetudine, capace di affrontare persino il sacrificio più estremo con un silenzio che parla più di mille parole.

    Il mio in(solito) commento a:
    «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» (Giovanni 1,29-34)

    Torniamo indietro nel tempo, al primo viaggio della simbologia dell’Agnello nella Bibbia. Gli storici Erodoto e Giuseppe Flavio ci portano all’epoca del faraone Ahmose (XVIII dinastia), collocando la prima Pasqua tra il 1525 e il 1550 a.C. – quasi 3.500 anni fa. È qui che Dio ordina agli israeliti di celebrare un evento destinato a cambiare il corso della storia:

    «Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia […] senza difetto, maschio, nato nell’anno. […] Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case […] Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre» (Esodo 12,3-13).

    Ecco che l’Agnello diventa simbolo di unione, candore, sacrificio e salvezza. Un’immagine che attraversa la storia fino a incontrare Cristo: l’Agnello perfetto, che non solo offre la sua vita, ma spalanca la strada alla redenzione di tutti.

    «Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello» (Isaia 53,6-7).

    Non trovi straordinaria questa profezia di Isaia, scritta ben 700 anni prima della nascita di Gesù? Giovanni Battista, con poche ma potenti parole, darà il sigillo definitivo:
    «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» (Giovanni 1,29).

    Il candore dell’Agnello accompagna tutta la Bibbia, dall’Esodo fino all’Apocalisse:
    «Essi […] hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello. […] Perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi» (Apocalisse 7,14-17).

    Ma fermiamoci un attimo. Cosa significa davvero seguire l’Agnello? Vuol dire accogliere il suo stile di vita come nostro: una vita di mitezza, capace di spezzare il ciclo della violenza; di amore, che sa farsi dono per gli altri; di accoglienza, perché ogni volto è un riflesso del divino. Significa ascoltare con il cuore aperto e cercare, senza paura, la verità che ci è stata affidata. Vuol dire incarnare i principi fondamentali del Vangelo: giustizia, perdono e pace.

    Il Cristo-Agnello non è solo un simbolo da contemplare, ma un invito a trasformare la nostra vita. Lasciamo che sia Lui il nostro pastore, e impariamo da Lui il coraggio di amare, anche quando amare più ci costa #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “L’adorazione dell’Agnello mistico”, di Jan van Eyck, 1432, olio su tavola, 137,7 × 242,3 cm, Cattedrale di San Bavone, Gand, Belgio

    Sostieni labuonaparola.it


    Se ti piace questo blog sostienilo. La tua donazione mi aiuterà a continuare a creare contenuti di qualità.

    Ogni contributo, grande o piccolo, fa la differenza. Grazie per il tuo sostegno!

  • Smarrirsi per ritrovarli

    Smarrirsi per ritrovarli

    Famiglia. Ti parlo da papà, in una di quelle sere che sanno di magia. È tardi, e Rita – neppure due anni – si stringe ora tra le braccia della mamma, ora tra le mie. Un attimo accoccolata tra noi sul divano, il successivo scivola giù, tocca terra con i suoi piedini e si dirige verso il frigorifero. Lo apre con una decisione disarmante, scruta l’interno, sceglie una barretta di cioccolata fondente, la scarta, getta l’involucro nel bidone della raccolta differenziata, e poi, con l’aria di chi sa il fatto suo, si siede sul tappeto. Divarica le gambe, prende un morso, e sorride al mondo.

    Il mio decisamente in(solito) commento a:
    Gesù è ritrovato dai genitori nel tempio in mezzo ai maestri (Luca 2,41-52)

    Rita è così: un concentrato di tenerezza e determinazione. Si rifugia nelle nostre coccole, ma vuole già decidere per sé. È incredibile pensare a quanta forza di carattere possa avere una bimba così piccola. E io? A quell’età non ero nemmeno lontanamente così. La libertà e l’indipendenza che lei dimostra oggi, credo di averle sfiorate solo intorno ai sei anni.

    Osservandola, il cuore si riempie di tutto. Amore, gioia pura, e sì, anche un pizzico di apprensione. Cresce così in fretta. Ogni gesto, ogni passo, sembra un soffio verso il domani. E mi ritrovo a pensare a Maria e Giuseppe. Come avranno reagito quando si accorsero che Gesù non era più con loro? Quel senso di vuoto, la responsabilità che pesa come un macigno, la paura che divora. Immagino la loro ricerca affannata, le mille domande tra parenti e conoscenti. E poi, finalmente, lo trovano. Lì, nel tempio, seduto tra i maestri, sicuro e capace di tener testa a uomini molto più grandi di lui.

    Dev’essere stato uno di quei momenti in cui tutto cambia. Da una parte il sollievo, dall’altra la consapevolezza che il loro bambino stava crescendo, che qualcosa iniziava a sfuggire dal loro abbraccio. Un paradosso, vero? Il Salvatore, colui che è venuto per cercarci, inizia la sua missione smarrendosi. Per poi ritrovare ogni singola pecora, anche l’ultima, quella che si è persa più lontano.

    Maria e Giuseppe, insieme a Gesù, hanno vissuto il miracolo dell’amore, quello che costruisce e unisce. Lo stesso amore che poi spingerà Maria, a Cana, a incoraggiare il Figlio a compiere il suo primo miracolo pubblico. Chissà quanti altri ne avrà realizzati nel silenzio, tra le mura di casa, nel nascondimento. Di una cosa però sono certo: ha vissuto il miracolo più grande di tutti. Quello dell’essere amato.

    Buona Festa della Santa Famiglia! #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Ritorno di Gesù dal Tempio”, di Simone Martini, 1342, tempera all’uovo su legno, 49,6 x35,1 cm, Walker Art Gallery, Liverpool

    Sostieni labuonaparola.it


    Se ti piace questo blog sostienilo. La tua donazione mi aiuterà a continuare a creare contenuti di qualità.

    Ogni contributo, grande o piccolo, fa la differenza. Grazie per il tuo sostegno!

  • Sai correre veloce?

    Sai correre veloce?

    C’è sempre un’immagine che accompagna i miei commenti, ma il dipinto che ti presento oggi è è più importante del solito, tant’è che partiremo proprio da qui

    Il mio in(solito) commento a: “L’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro” (Gv 20,2-8).

    Proviamo a leggere il Vangelo del 27 dicembre attraverso gli occhi di un capolavoro: il dipinto di Eugène Burnand, “I discepoli Giovanni e Pietro corrono al Sepolcro il mattino della Resurrezione” (1898).

    Giovanni corre. Corre più veloce di Pietro. Li vediamo: i loro corpi tesi, gli occhi spalancati, i capelli scompigliati dal vento. Hanno appena sentito Maria di Magdala e ora si precipitano, con il cuore in gola, verso il Sepolcro. Vogliono capire, vogliono vedere. Ma i loro volti non guardano solo avanti: si spingono oltre. Fuori dalla cornice. Perché fuori dalla cornice c’è ciò che il nostro mondo fatica a contenere: il Risorto. Pietro e Giovanni sono sconcertati, increduli, ma corrono. Ogni passo è pieno di speranza, ogni falcata di una fede che si fa strada tra i dubbi. E intorno a loro, il mondo cambia. È l’alba. La luce tenue cancella il buio che ha avvolto la crocifissione, dissolve le tenebre che hanno oscurato l’orto degli ulivi, rischiara il cielo sotto cui Pietro ha rinnegato Cristo. È una luce nuova, dolce e gentile, che non brucia ma accarezza. Una luce che porta vita. Alle loro spalle, le tre croci del Calvario sono solo un’ombra lontana. La morte è stata sconfitta. Ora c’è una nuova direzione, una nuova meta: quella che sta oltre la cornice, verso l’eternità.

    Il Sepolcro è vuoto, la pietra è rotolata via. Restano solo i teli, un segno di un miracolo che ci invita a correre anche noi. E allora, amici cari, corriamo. Corriamo verso la luce che illumina i nostri volti, lasciandoci alle spalle il buio della sofferenza e tutto ciò che ci separa da Dio. Guardiamo oltre la cornice ristretta della nostra vita. Là c’è la vera meta: la vita, l’amore, l’eternità. Corriamo insieme verso quella luce. Il sentiero di Dio ci chiama #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Sostieni labuonaparola.it


    Se ti piace questo blog sostienilo. La tua donazione mi aiuterà a continuare a creare contenuti di qualità.

    Ogni contributo, grande o piccolo, fa la differenza. Grazie per il tuo sostegno!