Tag: Vangelo

  • Conosci la ricetta della felicità?

    Conosci la ricetta della felicità?

    Le cose belle durano poco. È un detto comune, ma ne sei proprio sicuro? Cosa ci dice il Vangelo? E come fare a vivere a lungo felici?

    Il mio in(solito) commento a:
    Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro (Matteo 10,17-22)

    Ieri la gioia del Natale. Oggi la Chiesa festeggia il primo martire: Santo Stefano, diacono. Sembra quasi che le gioie, nel Vangelo, siano destinate a non durare. Ricordi l’episodio dell’entrata trionfale a Gerusalemme? “Via via che egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!»” (Luca 9,36-38). Meno di una settimana dopo Gesù verrà catturato e giustiziato. Dalla festa alla gioia in poche ore. Ma è davvero così?

    Santo Stefano è il primo martire che il calendario liturgico ricorda subito dopo la Nascita di Gesù. Gli Atti degli Apostoli, ai capitoli 6 e 7 narrano gli ultimi suoi giorni. Fu eletto tra i diaconi che dovevano aiutare gli Apostoli. Fu anche il primo tra i discepoli del Signore a versare il suo sangue a Gerusalemme, dove, lapidato mentre pregava per i suoi persecutori, rese la sua testimonianza di fede in Cristo Gesù: “«O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l’avete osservata». All’udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì” (Atti 7,51-60).

    Ecco come morì Santo Stefano. Lo Spirito Santo, quella forza che Dio mette dentro di noi e che ci offre le parole giuste da dire al momento giusto, ha dato a Stefano la possibilità di declamare alcune delle pagine più ricche di significato di tutta la Bibbia (cfr. Atti 6 e 7). E ci ha permesso di incontrare Saulo, prima di diventare San Paolo. Sì, proprio un persecutore di cristiani divenne il più prolifico scrittore del Nuovo Testamento.

    Ma torniamo alle cose belle. Tutti sappiamo come la gioia per un successo, una vincita, qualcosa che è andata per il verso giusto, sia (ahimè) passeggera. Perché? Te lo dico subito: è perché si basa su qualcosa che non è veramente importante per la nostra anima. Qualcosa di materiale, qualcosa di finito. Qualcosa che viene dal mondo. La gioia vera, invece, è quella che abbiamo tutti dentro. Nella nostra anima. Ma non siamo capaci di riconoscere. Ma c’è un testo che ci aiuta a capire come fare. Leggiamo nelle primissime righe dell’Enciclica Evangelii Gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”. Ecco che abbiamo, insieme alla ricetta della felicità autentica, quella che non sbiadisce subito, un altro elemento che ci riporta agli Atti degli Apostoli. L’incontro con Gesù: quello che Saulo sperimentò lungo la via che conduce a Damasco e che lo trasformò radicalmente.

    Allora la ricetta della felicità è proprio questa: riuscire a trovare la nostra via di Damasco. Il nostro momento speciale in cui entriamo, a tu per tu, in contatto con Dio e ci lasciamo trasformare da Lui.

    Il grande rischio del mondo attuale, sempre più consumista ed individualista, è una tristezza che scaturisce dalla ricerca malata di piaceri superficiali. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene.

    È solo grazie a quest’incontro – o reincontro, come afferma Papa Francesco – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità. Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. 

    Lascia allora che Dio entri dentro di te e ti trasformi. Ti renderà migliore. E nella tua vita tornerà la gioia! #Santanotte!

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La Madonna con il Bambino in fasce”, di Philippe de Champaigne, 1655, olio su tavola, collezione privata

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  • L’elenco che rivoluzionò la storia dell’umanità intera!

    L’elenco che rivoluzionò la storia dell’umanità intera!

    Per il commento di oggi mi sono lasciato ispirare dalle parole che l’Angelo sussurra all’orecchio di San Giuseppe: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa […] ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù» (cfr vv. 21-22). E, tutto a un tratto, un lungo elenco di nomi diventa una storia avvincente capace di rivoluzionare la storia dell’umanità intera!

    Il mio in(solito) commento a:
    Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide (Mt 1,1-25)

    Oggi voglio parlare con te di una figura straordinaria: San Giuseppe, il padre putativo di Gesù. Ma non voglio farlo in modo tradizionale. Ti porterò in un viaggio tra racconti meno noti, presi dalla letteratura apocrifa. Prima, però, lasciami fare una premessa importante, così siamo sulla stessa lunghezza d’onda.

    Hai mai sentito parlare dei testi apocrifi? Il termine viene dal greco e significa “nascosto”. In ambito religioso, indica scritti che non sono stati inclusi nella Bibbia per prudenza, perché non si aveva la certezza assoluta della loro autenticità. Questo, però, non vuol dire che siano falsi o privi di valore. Anzi, sono pieni di dettagli affascinanti che hanno influenzato la nostra tradizione. Ti stupiresti, ad esempio, se ti dicessi che il bue e l’asinello del presepe non compaiono nei Vangeli canonici, ma proprio nei testi apocrifi? E lo stesso vale per il velo della Veronica o il nome del buon ladrone, Disma.

    Ora, però, voglio raccontarti qualcosa su Giuseppe, l’uomo che Dio ha scelto per prendersi cura di Maria e Gesù. Iniziamo con una storia che mi ha sempre affascinato, tratta dal Vangelo dello Pseudo Matteo.

    Immagina questa scena. Il sacerdote convoca tutti gli uomini non sposati e chiede loro di portare un bastone. Anche Giuseppe, un uomo anziano e umile, porta il suo, un po’ controvoglia. I bastoni vengono lasciati per una notte nel santo dei santi e, il giorno dopo, uno di loro si rivela speciale: dal bastone di Giuseppe esce una colomba bianca, che vola verso il cielo. Era il segno di Dio: Maria doveva essere affidata proprio a lui. Non trovi incredibile questa immagine?

    Ma fare la volontà di Dio non è sempre facile, e Giuseppe lo sa bene. Quando torna a casa dopo mesi di lavoro e trova Maria incinta, il suo mondo crolla. È confuso, angosciato, non sa cosa pensare. Poi, una notte, un angelo gli appare in sogno e gli dice: “Giuseppe, non temere di prendere Maria con te. Quel bambino viene dallo Spirito Santo.” E qui Giuseppe fa qualcosa di straordinario: si fida, accetta, e riconosce i suoi dubbi come un errore. Si scusa con Maria e decide di abbracciare la missione che Dio gli ha affidato.

    E tu? Quando ti trovi davanti a qualcosa di difficile da accettare, riesci a fidarti? Riesci a chiedere scusa quando sbagli? Io ci penso spesso, e devo dirti che non è mai semplice. Ma Giuseppe ci mostra che è proprio lì, in quell’atto di umiltà e apertura, che possiamo trovare pace e forza.

    C’è un’altra domanda che voglio farti. Quante volte ti sei lamentato perché Dio non sembra ascoltarti? E quante volte, invece, sei stato tu a non ascoltarlo? Dio ci parla ogni giorno: attraverso la sua Parola, gli eventi della nostra vita, persino nella bellezza di un tramonto o nel silenzio di una notte stellata. Ma noi siamo così presi dal rumore intorno a noi che spesso non ce ne accorgiamo.

    San Giuseppe ci insegna una cosa fondamentale: per ascoltare Dio, dobbiamo fare spazio nel nostro cuore, mettere a tacere il caos e le preoccupazioni. Lo so, non è facile. Viviamo in un mondo frenetico, dove tutto sembra urlare per attirare la nostra attenzione. Ma se riusciamo a fermarci, anche solo per un momento, possiamo sentire quella voce dolce e discreta che ci chiama.

    Oggi, voglio lasciarti con questa sfida. Sei pronto ad ascoltare Dio? Sei disposto a lasciare che la sua voce trasformi la tua vita? Non è semplice, lo so. Ma credimi, ne vale la pena. Perché, proprio come Giuseppe, anche tu sei chiamato a qualcosa di grande. E se trovi il coraggio di dire “sì”, scoprirai che Dio può fare meraviglie attraverso di te.

    #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Natività” di Fra Angelico, affresco nel Museo di San Marco, cella num. 5

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  • Le genealogie nei Vangeli sono noiose?

    Le genealogie nei Vangeli sono noiose?

    Come si fa a rendere avvincente una lista di nomi? È la domanda che mi sono posto anch’io. E ora mi metto alla prova. Alla fine, voglio sapere da te se ci sono riuscito: fammelo sapere nei commenti!

    Oggi ci provo con il mio in(solito) commento a una delle pagine più… “apparentemente” noiose:
    Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide (Matteo 1,1-17).

    Se mi segui da un po’, sai già qual è la mia sfida quotidiana: far scattare in chiunque, anche in chi si sente più lontano, quella scintilla di curiosità verso il Vangelo. Accendere il desiderio di leggere, capire, approfondire.

    Ma ecco il primo colpo di scena: questo non è solo un elenco di nomi. È una storia fatta di storie. Dietro ogni nome c’è un volto, un passato, una vita piena di sorprese.

    In questa narrazione, san Matteo rompe gli schemi: inserisce persino quattro donne nella genealogia (Tamar, Rut, Raab e Betsabea). Hai mai sentito dire che il Vangelo è “maschilista”? Beh, Matteo ti smentisce in pieno. Ai tempi di Gesù era inaudito includere una donna in un albero genealogico. E non solo: Tamar e Raab non erano neppure ebree, erano straniere. Cananee! Uno shock per i farisei dell’epoca, che avrebbero considerato questa scelta un vero oltraggio.

    E poi c’è Tamar, con una storia così intricata da sembrare un romanzo. Rimasta vedova, per legge avrebbe dovuto sposare il fratello del marito. Ma anche lui si rifiutò. Così Tamar, decisa a ottenere la discendenza promessa, ricorse a un piano audace e ingegnoso, che coinvolse Giuda stesso. Ti ho incuriosito? Vai a leggere Genesi 38: ti lascerà senza fiato.

    E Raab? La locandiera di Gerico, una sorta di Mata Hari biblica, che nascose due spie israelite e permise loro di conquistare la città. Ma aspetta, non è tutto. Sai quale fosse il suo “altro” mestiere? Un dettaglio che potrebbe scandalizzarti, ma che rende la sua inclusione nella genealogia di Gesù ancora più straordinaria.

    Non dimentichiamo Rut, la spigolatrice moabita, protagonista di una delle storie più poetiche della Bibbia, e Betsabea, moglie di un ittita e con una parentela ebrea solo da parte di padre.

    Cosa ci insegnano queste figure? Che Dio non guarda la “perfezione” esteriore o la nostra posizione sociale. Tamar, Raab, Rut, Betsabea… ognuna di loro ci mostra che Dio è il Dio delle seconde opportunità. È il Dio dei re come Davide, ma anche di chi ha sbagliato, caduto e poi trovato il coraggio di rialzarsi.

    Ed eccolo il messaggio che spazza via ogni pregiudizio: Gesù è venuto per tutti. Per chi è vicino e per chi è lontano. Per chi si sente santo e per chi si sente sbagliato. Perché, lo sai, “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,31).

    Ogni nome in quella genealogia è una storia. E anche la tua vita è una storia. Dio la conosce, la accoglie, la ama. Non importa da dove vieni o quali errori hai commesso: ciò che conta è la tua volontà di crescere, di ricominciare, di andare avanti.

    Quindi, amico mio, questa lunga sequenza di nomi non è affatto noiosa. È una rivoluzione. È una dichiarazione d’amore universale.

    E ora, cosa ne pensi? Sono riuscito a trasformare una lista di nomi in qualcosa di vivo? Aspetto il tuo parere…

    #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “L’Adorazione dei pastori”, di, 1622, olio su tela, 164×190 cm, Wallraf–Richartz Museum, Germania

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  • Le due tuniche

    Le due tuniche

    Perché, vedi, non servono grandi prediche. Servono gesti concreti. Serve che tu agisca. Ogni tua azione può essere una testimonianza viva. Ogni tuo passo può avvicinare qualcuno a Dio, senza clamore, ma con la forza di una vita vissuta davvero.

    il mio in(solito) commento a:
    E noi che cosa dobbiamo fare? (Luca 3,10-18)

    “Che cosa dobbiamo fare?”. È la stessa domanda che, duemila anni fa, riecheggiava sulle labbra di chi si accalcava attorno a Giovanni il Battista. E, in fondo, è la stessa domanda che ti ha portato qui, a leggere queste righe. Perché sì, questa domanda è anche tua. Proviamo a rispondere insieme.

    La prima risposta, semplice e diretta, è questa: vivi i comandamenti. Non solo i dieci della Legge antica, ma anche i due che Gesù ci ha lasciato: Ama Dio sopra ogni cosa e ama il prossimo tuo come te stesso. E non è un amore teorico, no. San Paolo ci mette il cuore: “Chi ama il prossimo ha adempiuto tutta la Legge… Pieno compimento della Legge è l’amore” (Romani 13,8-10). L’amore non è un dettaglio, è la sostanza.

    Ma Giovanni il Battista va oltre: si fa pratico, spietatamente chiaro. “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha. E chi ha da mangiare, faccia altrettanto.” Poi, ai pubblicani, dice: “Non esigete nulla di più del dovuto.” E ai soldati: “Non maltrattate nessuno, non estorcete nulla, accontentatevi delle vostre paghe.” La giustizia, la condivisione, l’onestà: ecco cosa ci chiede. Ecco cosa devi fare, qui e ora.

    Ma non fermiamoci qui. Voglio portarti più in profondità. Voglio girarti la stessa domanda che il Battista ha ricevuto: E noi, che cosa dobbiamo fare? Che cosa ti chiede Gesù, oggi, nella tua vita?

    Semplice: dobbiamo diventare pagine viventi di Vangelo. Sì, proprio tu! Gesù ha bisogno di te. Non di un supereroe, ma di una persona normale: uno studente, un operaio, un medico, una mamma, un fornaio. Non importa chi sei o cosa fai. Quello che conta è il tuo esempio, il tuo modo di vivere il Vangelo nella quotidianità.

    Dio ti ha dato un dono. Hai mai pensato a quale sia? Magari è la capacità di amare incondizionatamente, di ascoltare senza giudicare, di scrivere parole che toccano il cuore, di curare con tenerezza o di donare speranza dove sembra non ce ne sia più. Il tuo compito, il nostro compito, è far fiorire quel dono.

    Perché, vedi, non servono grandi prediche. Servono gesti concreti. Serve che tu agisca. Ogni tua azione può essere una testimonianza viva. Ogni tuo passo può avvicinare qualcuno a Dio, senza clamore, ma con la forza di una vita vissuta davvero.

    E allora, amica mia, amico mio, non nascondere il talento che hai ricevuto! È il tuo dono, la tua missione, il tuo modo di essere una pagina vivente di Vangelo. Gesù conta su di te. E il mondo ha bisogno di te, adesso #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Cristo benedicente”, di Giovanni Bellini, circa 1500, tempera e oro su pannello, 59 x 47 cm, Kimbell Art Museum, Fort Worth, Stati Uniti

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  • La pecorella smarrita

    La pecorella smarrita

    E così scopriamo uno vale più di novantanove (quando uno è un essere umano, chiunque esso sia, che ha smarrito la strada di Dio)

    Il mio in(solito) commento a:
    Dio non vuole che i piccoli si perdano (Matteo 18,12-14)

    Che strana, la matematica di Dio! Viviamo in una società che ci impone calcoli utilitaristici, dove tutto si misura in termini di guadagno e profitto. Eppure, l’amore ha un’altra logica, un’altra misura: quella del cuore.

    Pensaci un momento. Noi contiamo, misuriamo, pesiamo ogni cosa… E poi arriva Lui, che sconvolge tutto. Dio, l’Altissimo, l’Onnipotente, l’Immenso… si fa piccolo, minuscolo. Nasce in una mangiatoia. Sì, proprio lì, dove si mette il foraggio per gli animali. Ma perché?

    Forse per dirci qualcosa di profondo: cambiate prospettiva. Guardate il mondo con occhi nuovi.

    Gesù non è venuto per chi si sente già perfetto, per chi pensa di essere “arrivato”. No, è venuto per chi è smarrito, ferito, per chi cerca un senso. È quel pastore che lascia le sue novantanove pecore al sicuro per andare a cercare quella che si è persa. Non riesce a stare lontano. E se siamo noi ad allontanarci, Lui ci rincorre. Ci raggiunge, ci tende la mano, ci rialza. Sempre.

    Questo Dio così “strano” non sceglie la forza, ma la fragilità. Non sceglie il trono, ma la croce. E ci dice chiaramente: beati i poveri, gli affamati, gli ultimi (cfr. Luca 6,20-22). Con Lui, il mondo si capovolge. Ed è proprio lì, nel nostro smarrimento, nella nostra sofferenza, che Dio si fa presente. Perché nessuno è troppo piccolo o troppo lontano per il suo amore.

    E poi c’è Betlemme, la “Casa del Pane”. Dio si fa pane, si spezza e si dona a noi, per saziarci. Nella mangiatoia c’è già tutto: le Beatitudini, la povertà, il servizio. C’è il Vangelo intero, dalla prima all’ultima pagina. Un Dio che si china per lavarci i piedi (cfr. Giovanni 13,4-5). Che non scende per giudicare, ma per risollevarci. Per dirci: “Io sono qui, accanto a te”.

    Ecco perché la matematica di Dio ci sorprende: perché con Lui, uno vale più di novantanove.

    Pensa al Buon Pastore: lascia l’intero gregge per cercare l’unica pecora smarrita. Si addentra nel deserto, quel luogo inospitale e pieno di insidie, per salvare chi si è perso. E quando ci trova, ci solleva, ci carica sulle sue spalle e ci riporta a casa, insieme alle altre.

    Quel pastore è Dio, nostro Padre. E quella pecora smarrita sei tu, sono io, siamo tutti noi. Perché solo un amore immenso, capace di follie, può spingersi così lontano. L’amore di Dio supera ogni prudenza, ogni logica umana. È un amore folle, sì, ma grazie a Dio che è così. Perché senza questo amore, saremmo tutti perduti! #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “Gesù buon Pastore” di Cristóbal García Salmerón, XVII secolo, olio su tela, 141×108 cm, Museo del Prado, Madrid

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  • Seguitemi!

    Seguitemi!

    Non siamo il centro del mondo. È Dio il fulcro attorno a cui tutto ruota.
    Il mio in(solito) commento a: Essi subito lasciarono le reti e lo seguirono (Matteo 4,18-22).

    Non vi viene voglia, leggendo queste righe di Matteo, di unirvi al gruppo di persone che segue Gesù? Pensateci: lungo il mare di Galilea, Gesù incontra Simone e Andrea. Non li conosce, eppure dice loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E loro? Lasciarono tutto, reti e passato, e lo seguirono. Poco più avanti, la stessa scena si ripete con Giacomo e Giovanni. Lasciarono la barca, il padre, la vita di sempre. Perché? Perché chi incontra Gesù non può più restare lo stesso.

    Ricordo ancora quando, da bambino, lessi per la prima volta questo brano. Mi sembrava incredibile: com’è possibile che una parola, uno sguardo, bastino a far lasciare tutto? Eppure è così. Seguire Gesù non è una passeggiata, ma una scelta che sconvolge ogni cosa. Ti cambia dentro. Non è un invito ad accomodarsi, ma a partire, a camminare, a riorganizzare la tua vita con Dio al centro.

    Quando scegliamo di seguire Gesù, è come vivere una rivoluzione copernicana. Scopriamo che non siamo il centro dell’universo. Non tutto ruota attorno a noi, ma siamo noi a ruotare attorno a Dio, insieme al mondo intero. Lui è il centro, l’origine, il Creatore.

    Questi versetti raccontano una sete: la sete di Dio. Una sete che spinge i discepoli a lasciare tutto per seguirlo, senza esitazione. Pensate: pochi istanti prima, Gesù era un perfetto sconosciuto. Eppure, al suo passaggio, nasce un desiderio incontenibile di camminare dietro a lui, incuranti delle strade polverose, delle notti senza un riparo, delle incertezze del viaggio.

    E noi? Non ci sentiamo mai così? Non avvertiamo anche noi, nel profondo, quella sete? Eppure, quante volte ci facciamo distrarre, spaventare, scoraggiare. Mille pensieri, troppi impegni. E spesso la paura ci paralizza: “Non sono all’altezza”, ci diciamo. Così torniamo alla nostra vita di sempre, fingendo di dimenticare l’incontro con Dio.

    Ma Dio non smette di passare accanto a noi. Non si arrende. Si manifesta in mille modi: in un passante, in un mendicante, in un amico, in un libro. Maria Maddalena lo scambiò per un giardiniere. I discepoli di Emmaus per un viandante. E noi? Quando abbiamo visto Gesù per l’ultima volta?

    «Se tu conoscessi il dono di Dio…» (Giovanni 4,10). Questa è la chiave: non perdere mai la sete di Dio. Lui ci cerca, ci desidera. La preghiera, ci dice il Catechismo, è l’incontro tra la sete di Dio e la nostra sete di Lui. Due seti che si fondono, trovando pace solo dove inizia l’infinito.

    Non esiste un modo giusto o sbagliato per cercare Dio. Basta accorgersi di una verità semplice e rivoluzionaria: Dio abita già in noi. È lì, nel nostro cuore, che ci aspetta, pronto a illuminare la nostra anima #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La pesca miracolosa”, copia da Duccio di Buoninsegna, tempera su legno, 36.5×47.5 cm, collezione privata

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  • Che cosa significa la parola Vangelo?

    Che cosa significa la parola Vangelo?

    Il futuro ultimo sarà di luce, non di tenebra. Sarà d’amore, non di odio. Sarà di pace, non di conflitto. Sarà con Dio, non senza Dio. Chi di noi conosce il significato del termine Vangelo?

    Il mio in(solito) commento a:
    Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto (Luca 21,12-19)

    Ci graffiano l’anima, come carta vetrata, le letture di quest’ultima settimana prima dell’Avvento. Sono pagine intense, che parlano della fine dei tempi e di un passaggio di tribolazione. Ma non finisce lì. C’è un filo di speranza che attraversa tutto: sì, perché Vangelo vuol dire sempre e comunque Buona Notizia.

    Sai, io ripeto spesso che il Vangelo va spiegato con parole semplici, alla portata di tutti. Ma oggi farò un’eccezione. Oggi vale la pena esplorare il significato profondo di questa parola: “Vangelo” viene dal latino evangelium, che deriva dal greco euanghélion. È un termine composto da eu (“bene, buono”) e da un derivato di ánghelos (“messaggero”). Ti ricorda qualcosa? Esatto, ánghelos: angelo, messaggero di Dio. Ecco il cerchio che si chiude, amico caro. Il Vangelo è un messaggio divino, buono come lo è Dio stesso.

    Ma allora perché parlare di sofferenza, distruzione e morte? Perché Dio sa trasformare anche le righe più storte in un capolavoro. La croce, da sconfitta, è diventata trionfo: Resurrezione. L’immagine di Gesù in croce parla di dolore, tradimento e morte. Sembra la fine di tutto. Anche i suoi discepoli, sgomenti, scappano via. Ma quella morte non è un incidente: era scritta. Nel momento in cui tutto sembra perduto, Dio interviene e ribalta la storia. È lì che nasce la speranza: dove la logica umana si infrange, Dio apre nuove vie.

    Ed è lo stesso per noi. La sofferenza non è la fine, ma un passaggio. Attraverso di essa, arriviamo alla resurrezione, alla vita piena. Pensa a questo: tutto il male che abbiamo compiuto o tollerato ci scorrerà addosso, come gocce di pioggia. Non sarà una punizione, ma una purificazione. Doloroso, sì, come un travaglio. Ma ogni dolore del parto porta una vita nuova.

    E allora non temere. Dio non ci abbandonerà, nemmeno per un istante. Sarà accanto a noi, condividendo il nostro peso, come ci ha promesso: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28,20).

    Il futuro è nelle sue mani. È un futuro di luce, d’amore e di pace. Non sappiamo quando arriverà quel giorno, ma sappiamo che è certo. E possiamo prepararci fin da ora, smettendo di fare il male e iniziando a seminare bene. Perché ogni male evitato è una lacrima in meno da versare. Ogni atto di amore è una goccia di luce che splenderà nell’eternità #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La Risurrezione” di Andrea Mantegna, 1457, olio su tela, 71×94 cm, Musée des beaux-arts de Tours, Francia

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  • L’unità di misura di Dio è l’amore

    L’unità di misura di Dio è l’amore

    Davanti a Dio non esistono angoli bui dove rifugiarsi. Lui vede ogni nostro gesto come sotto un faro, ma non è lì per giudicarci. No, Dio fa il tifo per noi, ogni singolo istante della nostra vita!

    Il mio in(solito) commento a:
    Vide una vedova povera, che gettava due monetine (Luca 21,1-4).

    Sai cosa possiamo imparare oggi? Che due piccole monetine possono valere più di un intero tesoro. Perché Dio non misura con il centimetro, ma con il cuore.

    A Dio non interessa quanto doniamo, ma come lo facciamo. Un gesto fatto con amore, per quanto piccolo, vale più di tutto l’oro del mondo. È la legge dell’amore. Anche nelle relazioni più intime, ciò che conta davvero è offrire amicizia, calore, comprensione. Non è una questione di quantità, ma di qualità. Dio non è un mercante: Lui dona, e vuole che anche noi impariamo a donare così.

    Pensa un attimo: possiamo persino dar via tutto ciò che possediamo, ma se lo facciamo per vanità o per metterci in mostra, quel gesto è vuoto. È molto più impegnativo – e autentico – ascoltare chi soffre, accompagnarlo con pazienza, sostenerlo davvero. Non basta una monetina per liquidare la nostra coscienza. Serve il cuore.

    Gesù ce lo dimostra con l’esempio della vedova: questa donna povera offre le sue ultime due monetine, non per ricevere qualcosa in cambio, ma per fiducia. Fiducia nella Provvidenza. Nel suo cuore c’è la certezza che Dio non l’abbandonerà. Ha capito che, con Dio, non le manca nulla. Che bellissimo esempio di fede!

    Se abbiamo la fortuna di poter alleviare le sofferenze di qualcuno, non possiamo tirarci indietro. Ma attenzione: il Vangelo non si predica a parole, si vive sulla pelle. Ogni nostro gesto deve rispondere a una domanda: lo facciamo per apparire o per amore? Se cerchiamo l’applauso, sbagliamo. Ma se agiamo per aiutare davvero, allora stiamo camminando sulla strada giusta.

    Dio vede tutto: il bene che facciamo e quello che scegliamo di non fare. Ma non ci osserva per punirci. Al contrario, Dio è il nostro primo sostenitore, pronto a perdonarci e ad esultare per ogni atto di amore autentico.

    Allora, per amore di Dio e del prossimo, impariamo a donare con il cuore. Non immagini quanto amore ci tornerà indietro. Vedrai: la tua vita si riempirà di gioia, di senso e, soprattutto, di Dio!

    #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La visione di Sant’Ignazio di Loyola a La Storta”, di Domenico Zampieri (detto il Domenichino), 1622, olio su tela, 166.05 × 98.11 cm, Los Angeles County Museum of Art

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  • In che mondo vivi?

    In che mondo vivi?

    Se conosci e segui il Vangelo anche a te sarà capitato di pensare: “ma io non mi riconosco più in questo mondo!”. Scopri come puoi cambiare proprio il mondo che non ti piace nel mio

    in(solito) commento a:
    Tu lo dici: io sono re (Giovanni 18,33-37)

    «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù» (v. 36). Indubbiamente la logica di Gesù è ben diversa da quella “del mondo” che ci circonda. I poveri sono beati, gli ultimi sono i primi, i nemici non solo si perdonano, ma addirittura si amano. Tutto al contrario, non è vero?

    È difficile per un non cristiano immedesimarsi in queste affermazioni. Ma è altrettanto difficile per un vero cristiano, guardarsi attorno e vivere nel mondo che ci circonda: guerre, terribili ingiustizie, lotte di potere, corruzione, tutto quello che ci circonda appare estremamente distante dagli ideali evangelici! Sembra quasi che il mondo stesso respinga chi vuole seguire gli insegnamenti di Cristo: l’autentico cristiano è percepito come un perdente, un pazzo visionario da escludere, una persona da emarginare perché portatrice di idee e sentimenti contrari al vivere comune. Pensaci bene: non è il mondo di oggi ad essere cambiato, perché le stesse cose le ha vissute Gesù sulla propria pelle. Lui è stato respinto, messo più volte alla prova, disconosciuto, catturato, percosso, processato ingiustamente e perfino condannato a morte.

    Ma poi, tutto è cambiato. Perché non c’è uomo che possa soffocare la Verità. Perché per quanto ci impegniamo non siamo capaci di cancellare il bene e l’amore che Dio riversa sulla terra e su ciascuno di noi. Perchè in fondo capiamo che i valori che ci insegna il Vangelo sono davvero autentici e gli unici per cui valga la pena di vivere.

    E qui abbiamo un altro annuncio: quello della Croce. Perché l’amore più alto di Dio lo si scopre nel punto più basso dell’uomo: la Croce, a cui le creature hanno impietosamente inchiodato il Creatore. Un altro ribaltare della prospettiva: il piccolo che diventa grande, l’umile che viene esaltato, il potente che viene rimandato indietro a mani vuote.

    È la Croce il luogo in cui il re dei re, destinato a regnare senza fine, diventerà servo, è lo stesso luogo in cui il servo acquisterà la dignità di amico: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Giovanni 15,15).

    Tutto un Vangelo condensato in queste poche righe. No, Dio non ha bisogno di occhiali nuovi, siamo noi a dover cambiare il punto di vista. Dio non è un vendicatore od un giustiziere. Dio non viene a giudicare, ma per amare. E quando si fa buio nel nostro cuore, pensiamo a Gesù. Perché Lui è qui, a soffrire con noi. A sostenerci con le sue braccia forti. Perché é proprio nei momenti più bui che Egli si fa luce! #Santanotte

    Alessandro Ginotta

    Il dipinto di oggi è: “La Crocifissione di Cristo”, di Diego Velázquez, 1632, olio su tela, 248×169 cm, Museo del Prado, Madrid

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