Non è forse vero che, qualche volta, vorremmo “chiudere Gesù in un armadio”? In modo tale che non ci possa vedere né sentire quando compiamo il male?
Il mio in(solito) commento a:
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. (Giovanni 15,9-17)
Ricordo ancora come se fosse oggi l’ultima volta in cui ebbi il privilegio di trattenermi per qualche decina di minuti davanti alla Santa Sindone, il telo di lino che avvolse il corpo di Gesù nel sepolcro. Era il giorno prima dell’apertura al pubblico e l’Arcivescovo di Torino, custode pontificio della Sindone, aveva convocato un gruppo di giornalisti per accompagnarci a fare il percorso che poche ore dopo avrebbe visto migliaia e migliaia di fedeli accalcati. Noi eravamo pochi e, per la prima volta, nessuno a metterci fretta. Scrutavo in quegli occhi che mi guardavano dal lenzuolo e provavo una sensazione che mai avevo sperimentato prima e che, da allora, non ho più provato: Io lo guardavo, Lui mi guardava, sembrava che restituisse il mio sguardo, anzi, con quegli occhi mi parlava. Mi invitava ad accomodarmi, come se fosse un amico, e voleva sapere di me, cosa turbava la mia anima. Glielo confessai mentalmente. Fu quella la preghiera più intensa che io ricordi di aver fatto. Mi sentii accolto, come mai accadde più. Quello sguardo che partiva da un telo di lino portava con sé una benevolenza, una premura, un’attenzione, un amore, svariate e svariate volte più intensi di quelli di cui sono capaci gli esseri umani. Il giorno dopo ricevetti la grazia che gli chiesi con tanta intensità, ma già mentre uscivo dal duomo sentivo la certezza che le mie preghiere sarebbero state accolte. Non avevo dubbi e mi sentivo molto più leggero. Rinato. Rigenerato.
Tornerò su questo episodio ai limiti con il soprannaturale un’altra volta. Aggiungo però, per ricollegarmi al versetto che la liturgia ha scelto per oggi, che durante tutta la mia permanenza davanti alla Santa Sindone esposta, gli altoparlanti del duomo diffondevano un canto: “Li amò fino alla fine”, ma le parole che mi risuonano ancora oggi come allora, accompagnate dalla musica, erano proprio: “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Amate sino alla fine, fate questo in memoria di me“.
Eh sì, Gesù ci stupisce ancora! L’Emmanuele, il Dio-con-noi che ci ama così tanto da rinunciare alle comodità dei cieli per incarnarsi e scendere sulla terra e condividere con noi tutte le difficoltà, la povertà, la fame, il freddo, i pericoli, la cattura, la morte, non si limita ad “amarci oltre misura”, ma ci considera addirittura suoi amici. Già, proprio noi, che ad ogni istante gli volgiamo le spalle.
L’uomo si è sempre ribellato al Creatore, finendo per idolatrare le creature. Dal vitello d’oro (cfr. Esodo 32,4) ai piccoli e grandi peccati che compiamo oggi, il rapporto d’amore tra Dio e l’uomo è tormentato. Mentre Dio ci ama, oltre ogni limite, fino a donare sé stesso e dare la propria vita per la nostra salvezza, noi lo tradiamo continuamente. Incapaci di comprendere fino in fondo l’infinita vastità di Dio, noi preferiamo rivolgere la nostra attenzione a quanto è più vicino ai nostri occhi: alle ricchezze del mondo, al potere, al prestigio… e così, ogni giorno, sacrifichiamo le nostre anime ai tanti vitelli d’oro che la società moderna ci propone. Scrive San Paolo: “Hanno venerato ed adorato la creatura al posto del creatore” (Romani 1,25). Diamo troppa importanza alle cose materiali, dimenticando completamente la dimensione spirituale.
E perfino quando abbiamo ricevuto il dono più grande, quando il Figlio di Dio è venuto a camminare in mezzo a noi, abbiamo preferito prostrarci davanti ad una statua di metallo fuso. Abbiamo scelto il “mondo”, invece del “Dio che era venuto nel mondo”.
Ai tempi di Gesù (ed anche ai giorni nostri) l’uomo ha accolto miracoli, guarigioni, moltiplicazioni, per un puro tornaconto. Ci fa comodo guarire dalle malattie. Ci fa comodo riuscire a sfamare le moltitudini con cinque pani d’orzo e due pesci. Ma, oggi come allora, ci limitiamo a questo: all’utile, al tangibile, mentre continuiamo a rifiutare di alzare il nostro sguardo a Dio per lasciarci alle spalle gli eccessi di un materialismo che avvelena la nostra anima. E’ debole l’uomo; non trova la forza di lasciare il concreto che ritiene certo (le ricchezze mondane) per il trascendente che reputa incerto (il Regno di Dio).
Così, nelle ultime ore del viaggio di Gesù in mezzo a noi, lo abbiamo lasciato solo. Gli abbiamo preferito Barabba. Ci siamo lavati le mani. Lo abbiamo tradito ed abbandonato. Come Fece Giuda. Così come San Pietro. Così come tutti gli altri apostoli che fuggirono sulla costa o nelle campagne, per allontanarsi dal luogo dove Dio, pur essendo stato abbandonato dal suo popolo, decise di salvarlo per un amore più grande (cfr. Giovanni 15,13).
Per Gesù noi, infedeli e traditori, non solo siamo creature da amare, ma siamo addirittura amici: Non vi chiamo più servi, […] ma vi ho chiamato amici” (v. 15). Ma noi sappiamo davvero che cosa vuol dire essere amico di qualcuno? In questo mondo un po’… distratto… si potrebbe forse pensare che Gesù sia uno dei tanti che troviamo sul nostro account Facebook…
Ma per Gesù l’amicizia è un’altra cosa. E’ un sentimento puro e sincero, disinteressato e profondo. Un amico vero è pronto a fare tutto per te. E’ sempre pronto ad aiutarti, consolarti, soccorrerti nelle difficoltà. Un amico come Gesù, un amico vero, arriva anche a dare la vita per te: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (v. 13).
“Voi siete miei amici” (v. 14) E cosa fanno gli amici? Si vogliono bene. Condividono tutto: le gioie, ma anche i dolori, i momenti felici e quelli tristi. Chi trova un amico trova un tesoro: sembra una “frase fatta”, una di quelle dozzinali che si trovano su internet, ma è la verità. Anzi… è proprio la Bibbia che ha portato questo aforisma nella vita reale: “Un amico fedele è come un rifugio sicuro, e chi lo trova ha trovato un tesoro” (Sir 6,14). Prosegue il Siracide: “Per un amico fedele non c’è prezzo, non c’è misura per il suo valore” (Sir 6,15). Gesù è nostro amico. Ci aiuta e ci sostiene in ogni situazione. Non si offende mai per quello che facciamo o diciamo. Quando commettiamo un errore, per grave che sia, Egli è sempre pronto a perdonarci e donarci di nuovo il suo cuore. Anzi, non smette mai di farlo, neppure quando noi ci allontaniamo da Lui. Neppure quando gli chiudiamo la porta in faccia.
Quando noi crediamo che Gesù sia lontano… sbagliamo. Siamo noi che, cadendo nel peccato, ci allontaniamo da Lui. Non è forse vero che, qualche volta, lo vorremmo “chiudere in un armadio”? In modo tale che non ci possa vedere né sentire quando compiamo il male? Ma Lui, da buon amico, non ci abbandona mai. Non smette di darci buoni consigli (la coscienza) non smette di desiderare con tutto il cuore che noi riconosciamo il nostro errore. Non attende altro che il nostro pentimento per poterci buttare le braccia al collo ed accogliere di nuovo tra i suoi amici più sinceri, dove, in realtà, siamo sempre stati. Perchè c’è sempre posto per noi nel cuore di Gesù!
Il mio augurio questa sera è che tutti noi possiamo sentirci davvero amici di Gesù, capire quanto Lui ci ama, quanto sia sempre pronto a perdonarci, quanto noi possiamo sentirci liberi di esporgli i nostri dubbi, manifestargli le nostre paure ed essere certi che Lui, da buon amico, per noi ci sarà sempre, qualsiasi cosa noi faremo, diremo o penseremo (e magari proviamo, da amici, a fare la stessa cosa per Lui). #Santanotte
Alessandro Ginotta
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