Hai lavorato a lungo e duramente, sei consapevole di aver ottenuto un buon risultato, quando arriva uno sguardo di sufficienza ed una stroncatura tanto priva di fondamento, quanto dolorosa. Che cosa è successo?
Il mio in(solito) commento a:
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria (Marco 6,1-6)
Chi parla è l’invidia. Non la tua, la sua. Chi stronca il tuo lavoro spesso sa bene quanto vale, ma ti teme. È talmente codardo che, invece di confrontarsi con te ad armi pari, preferisce lanciare frecce avvelenate, senza capire che così avvelena solo la sua anima, non la tua.
Vediamo l’etimologia di due parole: benedire e maledire. Benedire deriva dal latino “benedicere”, composto da “bene” (bene) e “dicere” (dire), che significa “dire bene” o “augurare il bene”. Questo termine descrive l’atto di invocare protezione, grazia o favore divino su qualcuno o qualcosa. Al contrario, maledire deriva dal latino “maledicere”, composto da “male” (male) e “dicere” (dire), che significa “dire male” o “augurare il male”. Indica l’atto di invocare una maledizione o un danno.
Attenzione: nessuno dovrebbe mai maledire qualcun altro. Chi lo fa diventa strumento del demonio. Il verbo del cristiano è “amare”, e chi ama desidera sempre il bene dell’altro, applicando il comandamento dell’amore.
Maledire sporca l’anima di chi lo fa e causa un progressivo allontanamento da Dio. Bisogna stare attenti perché la maledizione colpisce soprattutto chi la pronuncia. Il Siracide scrive: “Chi maneggia la pece si sporca, chi frequenta il superbo diviene simile a lui” (Siracide 13,1). Il denigratore, parlando male del tuo lavoro, non solo ti mette in cattiva luce, ma, contravvenendo al comandamento dell’amore, si sporca di uno dei peggiori peccati: uccidere l’entusiasmo e la speranza. E questo, come puoi immaginare, a Dio non piace per nulla!
Ippocrate, 400 anni prima di Cristo, diceva che riporre fiducia nelle capacità di un’altra persona è come aprire le finestre per far entrare il sole, permettendo alla luce e al calore di rendere tutto più luminoso. Con la nostra fiducia contribuiamo al successo dell’altro. Al contrario, danneggiamo chi ci rifiutiamo di riconoscere, impedendogli talvolta perfino di agire.
«Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?» (vv. 2-3). Chi ci conosce da tempo, chi ci ha visti crescere, non sempre sa essere obiettivo nel valutare le nostre capacità. Probabilmente perché ha visto tutti i nostri fallimenti. Occorre non guardare chi ci sta intorno attraverso la lente opaca dell’abitudine, ma essere pronti ad accogliere le sorprese che possono coinvolgere ciascuno di noi: sì, possiamo cambiare, anche se sembra improbabile! Guarda Zaccheo, San Paolo, e San Disma: l’incontro con Cristo ha operato un profondo cambiamento in loro. Non rimanere ancorato alle tue convinzioni, ma apriti sempre al possibile.
Oltre a mantenere la nostra anima luminosa, abbiamo il dovere di usare uno spirito critico quando ascoltiamo commenti negativi sugli altri. Così evitiamo di prestare orecchio alle maldicenze e di diventare complici nel diffondere informazioni non verificate.
«Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità (vv. 5-6). Vedi com’è potente la maldicenza? Può perfino impedire a Gesù di operare miracoli. I miracoli di Cristo non sono una esibizione di potenza, ma segni dell’amore di Dio, che si attua dove incontra la fede dell’uomo. Maledire, parlare male di qualcuno, può paralizzare il bene. E noi non vogliamo che accada questo, vero?
#Santanotte
Alessandro Ginotta
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