Tra il modo di pensare di Dio e quello di fare del mondo, c’è tutta la distanza che separa un grande cammello dalla cruna di un piccolo ago. Impossibile passarci attraverso, se ci affidiamo soltanto alle nostre piccole forze, ma facile per chi confiderà nella magnanimità di Dio
Il mio in(solito) commento a:
Vendi quello che hai e seguimi (Marco 10,17-30)
Certo che il punto di vista di Dio è completamente diverso dal nostro: Egli è Altissimo, incommensurabile, onnipotente, grandissimo, eppure si fa così piccolo e fragile per noi: «Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia» (Luca 2,7). Ma com’è “strano” questo Dio!? Il suo modo di pensare e di agire è così lontano dalle nostre abitudini, che ci risulta difficile comprenderlo. Ci chiediamo perché un Dio che poteva restare a godersi le sue comodità nei cieli, abbia deciso di scendere sulla terra. Di incarnarsi e vivere un’esistenza difficile. Una vita in mezzo agli ultimi, nascendo in una mangiatoia, al freddo ed al gelo. Rischiando ripetutamente la propria vita, fino a perderla per noi. Un Dio che fa questo per amore, non può non amare le proprie creature. E così Gesù si è fatto carne per camminare in mezzo a noi. Si è fatto uomo per vivere in mezzo a noi. Per salvarci. Per guarirci. Per liberarci dal male. Per portarci a vivere insieme a Lui.
Gesù, potevi almeno scegliere una culla al posto della mangiatoia! Non sai che nella greppia si tiene il foraggio per il bestiame? Sì. Lo sai, perché tu conosci e vedi ogni cosa. Anche le più nascoste. Allora quale messaggio ci volevi trasmettere, quando hai scelto di compiere un gesto così eclatante? Ci sono: Tu ci stavi invitando a cambiare prospettiva!
Sì, sono i poveri ad essere beati (cfr. Luca 6,20). Il mondo è di chi ha fame e sete (cfr. Luca 6,21). Di chi viene odiato, accusato, insultato e disprezzato (cfr. Luca 6,22). Non è Dio ad essere sbagliato, siamo noi ad aver guardato, fino ad ora, il mondo dalla parte sbagliata!
Gesù non è sceso sulla terra per dare una pacca sulle spalle ai migliori, ma per restare più vicino a chi ne ha bisogno, a chi soffre e si lamenta, a chi cerca luce lontano da Lui. Per farsi prossimo a chi, nella vita, cerca quel surrogato di Dio che è la finta felicità, quella che sorride, ma non scalda il cuore. Quella che fa star male e stordisce. Quella che ci porta sulla cattiva strada.
Ma Dio non lo può permettere. Egli è il buon Pastore che non esita a lasciare il gregge di novantanove pecore per inoltrarsi nel deserto a cercare l’unica che si è smarrita. Per questo, Gesù lo troviamo a pranzo con Zaccheo, a cena con una peccatrice, al pozzo con la samaritana… perché Dio è così. Non sa stare lontano da noi. E quando siamo noi ad allontanarci, perché non lo riconosciamo, o perché desideriamo la libertà di sbagliare con le nostre stesse mani, allora Gesù si fa ancora più vicino. Ci tende la mano. Ci cinge con il suo braccio. Ci risolleva e ci conforta. Perché Dio camminerà sempre con noi, anche – e soprattutto – nei momenti più dolorosi, anche – e soprattutto – nei momenti più brutti, anche quando nella nostra gola assaporeremo il sapore amaro della sconfitta. E’ lì che il Signore ci starà più vicino!
E’ venuto ad abitare in mezzo a noi. E, per farlo, non solo ha scelto una mangiatoia qualsiasi, ma una mangiatoia a Betlemme, la città, il cui nome in ebraico significa: “Casa del Pane”. Dio, venuto per farsi pane, viene deposto in una greppia usata per sfamare gli animali. L’Altissimo diventa piccolissimo. Il povero diventa beato. “Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato” (Luca 14,11).
C’è tutto il Vangelo, in questa scelta: ci sono le beatitudini, che invertono le prospettive. Ci sono la povertà ed il servizio, che troveremo dalla prima all’ultima pagina del libro che narra la storia d’amore tra il Figlio di Dio e l’uomo: “Si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto” (Giovanni 13,4-5). C’è l’incontro del Creatore con le sue creature, la discesa di Dio in mezzo agli uomini, la sua vicinanza, la sua premura, la sua misericordia. Dio lascia i cieli per venire verso l’uomo. Per visitarlo. Non per giudicarlo. Per risollevarlo dalla sua condizione di miseria e peccato. Non per condannarlo.
C’è il rifiuto, il ripudiare, il rinnegare Gesù, che non viene accolto proprio dalla gente che Lui è venuto a salvare. Non c’era posto per Maria e Giuseppe a Betlemme: non un albergo che li ospitasse, non una famiglia che li accogliesse. Lui, che non avrà neppure un posto dove posare il capo (cfr Luca 9,58) e a cui perfino il sepolcro verrà dato in prestito (Mt 27,60).
Solo una povera mangiatoia, tra freddo e sporcizia, per venire nel mondo. Quel mondo che Lui avrebbe salvato. Quello stesso mondo che Lui aveva creato: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Giovanni 1,9-11). Verrà rinnegato dai suoi stessi compagni, perfino dal primo degli apostoli. Verrà tradito da uno di loro. Verrà incarcerato, frustato, schernito, torturato ed ingiustamente assassinato.
Tra il modo di pensare di Dio e quello di fare del mondo, c’è tutta la distanza che separa un grande cammello dalla cruna di un piccolo ago. Impossibile passarci attraverso, se ci affidiamo soltanto alle nostre piccole forze, ma facile per chi confiderà nella magnanimità di Dio.
Eh sì, perché là, dove noi proprio non riusciamo ad arrivare, Dio ci potrà portare: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio” (Marco 10,27). Il miracolo: Dio, nella sua infinita bontà e misericordia, può perdonare i peccati del giovane ricco ed accoglierlo ugualmente nel Regno dei cieli. L’uomo da solo non può nulla. Dio può tutto #Santanotte
Alessandro Ginotta
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