Purtroppo non sempre l’uomo è disposto ad incontrare Dio. Non sempre è aperto ad accogliere il suo amore. Così, qualche volta, siamo proprio noi, con la nostra ostinazione ad impedire a Dio di guarirci, anche se Lui lo vorrebbe fare…
Il mio in(solito) commento a:
Quanti lo toccavano venivano salvati (Mc 6,53-56)
Da una sponda all’altra del Mare di Galilea, Gesù viene assediato dalla folla: lo cercano, lo inseguono, si gettano ai suoi piedi per tentare di toccare anche soltanto un lembo del suo mantello, nella speranza di venire guariti:
“Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse. E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati” (vv. 54-56).
Marco ci descrive un Gesù accerchiato e molto umano: “Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” (Marco 6,34). È così il suo cuore: si intenerisce davanti alla nostra sofferenza.
Come può un Dio che rinuncia alle comodità dei cieli per scendere in mezzo a noi a vivere, per camminare con noi, come può questo Dio che si è fatto carne, restare indifferente davanti al dolore, non prendersi cura di chi sta male, di chi si smarrisce, di chi sbaglia? Come può restare lontano da chi può essere salvato con un gesto d’amore?
Dio non sa resistere a compiere il bene. Non può evitare di spalancarci i cancelli del cielo e non si darà pace se anche solo uno di noi sceglierà di allontanarsi, di non seguirlo. In quel caso sarà Lui stesso a venirci a cercare in mezzo al deserto, dimenticando tutto e tutti.
L’amore che Dio prova per noi è così grande che il suo cuore si muove a compassione ogni volta che un ammalato gli chiede soccorso. E l’incontro con Gesù è qualcosa che ci trasforma radicalmente: ci converte. Ma questo incontro deve essere a “doppio senso”: da un lato il Creatore, proteso verso l’uomo, cerca sempre di incontrare ciascuno di noi, ma dall’altro la creatura deve accettare l’intervento divino ed accogliere dentro di sé il suo amore.
Purtroppo non sempre l’uomo è disposto ad incontrare Dio. Non sempre è aperto ad accogliere il suo amore. Così, qualche volta, siamo proprio noi, con la nostra ostinazione ad impedire a Dio di guarirci, anche se Lui lo vorrebbe fare. Perché? Perché Dio ci ama così tanto da concederci il libero arbitrio, ossia: la facoltà di sbagliare. Ed ogni volta che commettiamo il peccato ci allontaniamo da Lui. È come se gli voltassimo le spalle. È come se gli dicessimo: no, non mi interessa la tua guarigione, mi tengo la mia malattia.
Succede spesso quando siamo noi a sentirci “talmente perfetti da non avere neppure bisogno di Dio”. Chiusi nella bolla del nostro orgoglio, con l’amore di Dio che scorre sulle sue pareti, non riusciamo a percepirlo e così anche la guarigione ci scorre accanto, senza entrare in noi che rimaniamo ammalati.
Perché Dio non si impone, ma si propone. Quando vede una lacrima scendere sul nostro viso, non può che commuoversi e accorrere in nostro aiuto. Ma sta a noi permettergli di guarirci davvero.
Alessandro Ginotta
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